Nostro figlio era in pericolo di vita. Poi una grazia, arrivata nel momento più buio
Di una coppia di sposi della Fraternità di Emmaus
Sono sposa di L. da 22 anni e madre di quattro figli. Ho svolto servizio in parrocchia e fatto parte di gruppi parrocchiali sin dalla mia più tenera età: incontri vocazionali, GMG, volontariato alla mensa delle Piccole Suore della Carità, ma ad un certo momento della mia vita, dopo l’ennesima costatazione di scelte sentimentali sbagliate, decido di allontanarmi dai vecchi amici per esplorare diverse realtà…
Nell’estate del 2000 mi si pone una scelta non indifferente: GMG o campeggio con la nuova comitiva? Scelgo il campeggio. Tra tutte le persone così tanto lontane dal mio mondo si accende una luce: è L. che mi segue, cerca la mia compagnia con discrezione e mi chiede di raccontargli la mia vita. Il 17 settembre del 2000 il nostro primo bacio, il 20 settembre 2001 il nostro primo figlio, forse inconsapevolmente cercato. Alla scoperta del suo arrivo, sentivamo che c’era qualcosa che in lui ci univa profondamente, qualcosa più importante di tutto, della nostra spensieratezza e delle carriere lavorative e solo un grande comune desiderio: crescerlo insieme come marito e moglie.
Ci sposiamo nella mia parrocchia dedicata a San Marco. La fatica dell’Amore non tarda ad arrivare per due come noi così diversi: io esuberante, pronta a buttarmi con entusiasmo in ogni cosa, logorroica e soprattutto amica di tutti e per tutti. Lui, riservato, silenzioso, concreto, ansioso per il futuro, poco socievole e spesso amante della solitudine, il che crea una distanza dolorosa tra noi, data dai suoi silenzi impenetrabili. Quasi mai d’accordo sulle più svariate questioni, due punti di vista opposti su ogni cosa: che fatica dialogare e trovare la quadra! Sebbene accompagnati dalla preghiera e dal sostegno della famiglia di L., avevo spesso la sensazione di essere sola. Eppure, non volevo arrendermi alla mediocrità, desideravo di più. Mi rendevo sempre più conto che per essere sposi non basta fare ognuno la sua parte da solista, non basta condividere lo stesso letto, ma occorre fare gli stessi sogni.
Sull’esempio dei miei cognati, impegnati nell’apostolato nel cammino neocatecumenale, porto L. a frequentare la mia parrocchia di sempre con gli amici della giovinezza, anche loro sposati con figli. Nasce un gruppo famiglia e ci diamo da fare per crescere insieme nella fede, come sposi e come genitori. La svolta avviene nel 2018, con l’incontro di una coppia di sposi della Fraternità di Emmaus, custodi dell’unico Santuario in Italia dedicato ai Santi Coniugi Luigi e Zelia Martin, genitori di Santa Teresa del Gesù Bambino. La mia inquietudine trova finalmente un po’ di pace, sento che nel racconto di questi sposi c’è tutto quello che mancava nel mio matrimonio: che progetto ha Dio per me e mio marito? Che senso ha il nostro amore se non è capace di emettere quella luce che vedevo sprigionare da quella coppia?
L. ed io faticavamo a costruire la nostra casa sulla roccia, perché pensavamo di essere autosufficienti, ed io stavo lentamente esaurendo tutte le mie riserve di amore per lui, stavo finendo pian piano nel tunnel della rassegnazione.
Iniziamo il cammino che la Fraternità propone agli sposi e durante la Novena all’Immacolata un segno: una donna rintracciata negli Stati Uniti per lavoro mi racconta di avere problemi economici, di fare fatica a pagare il mutuo della casa lasciata in Sicilia perché da tanti anni spera di avere un figlio attraverso la fecondazione assistita ed ogni tentativo costa 20.000 dollari.
Non so perché, ma le dico di non farlo più, di lasciare la cura assicurandole le mie preghiere e chiedendo l’intercessione dei Santi Luigi e Zelia Martin: le invio ogni giorno le preghiere da recitare insieme anche se distanti ed in orari diversi. A gennaio ricevo un messaggio: “Avvocato buongiorno, prima di tutto le dico che aspetto un bambino. Il mio cuore esplode di gioia: il Signore mi fa capire che devo pregare così, desiderando la felicità ed il bene degli altri prima di ogni altra cosa”.
Mi viene proposto dal nostro direttore spirituale di impegnarmi in un ministero particolare: pregare per la mia comunità attraverso la Promessa Eucaristica, che consiste nella Messa quotidiana, almeno un’ora di adorazione eucaristica a settimana e l’adorazione notturna almeno una volta al mese.
Mi sento inadeguata, temo di non riuscire a conciliare questo impegno con la gestione della famiglia, ma quella parola, “Eucaristia”, mi fa superare ogni dubbio ed ogni ostacolo: il mio cuore ha già detto di sì. Desidero stare sempre più vicino a Gesù e per quanto faticoso conciliare tutto, giorno per giorno mi rendo conto che consegnando a Lui ogni sofferenza, incomprensione, umiliazione, ad ogni eucaristia tutto svanisce e resta solo una grande pace nel mio cuore con il desiderio di amare Gesù e di farlo amare agli altri.
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Prego più intensamente per il mio matrimonio, per l’unione profonda tra me e L., mio marito spesso mi chiede cosa provo quando prego; cerco di parlargli delle ferite della mia infanzia e come ho compreso che il Signore davvero prova tanto chi ama tanto, che quelle ferite lentamente hanno iniziato a trasformarsi in feritoie da dove passa sempre più luce.
Decidiamo di iniziare insieme il percorso delle Dieci Parole perché gli racconto che dopo avere letto “L’Arte di guarire” di Don Fabio Rosini ho compreso tante cose della mia vita e che sarebbe stato bello approfondire questo tema insieme. Tuttavia, appena finite le catechesi sul libro di Giobbe, succede un evento che non avremmo mai immaginato di vivere. Il 22 novembre 2021 il mondo per noi si ferma: dall’ospedale arriva una telefonata perché nostro figlio M. vittima di un incidente stradale è in grave pericolo di vita.
Notte lunghissima dietro la sala operatoria abbracciati ad ascoltare solo il battito del cuore di nostro figlio: perché? Tutta la mia pace scompare, non riesco a provare se non una terribile paura di non rivedere più mio figlio vivo. Dopo 5 ore di intervento M. sembra vigile, ci guarda e gli scivolano delle lacrime sul volto: poi entra in terapia intensiva e viene sedato e posto in coma farmacologico; ci dicono di tornare a casa e aspettare notizie.
Si attiva subito una rete di preghiera incredibile, l’affetto di tutti i fratelli e le sorelle della Fraternità, gli amici della parrocchia, i giovani Vincenziani da Roma, gli amici di tanti gruppi di preghiera, i miei nipoti collegati on line da diversi luoghi, il gruppo scout che prega con mia figlia C. ogni sera: un fiume in piena! Eppure, lo sconforto mi avvolge e sento istante per istante che mio figlio sta soffrendo e forse sta morendo ed io non posso fare nulla, nemmeno tenergli la mano: mi sento impotente ed ho solo un grande desiderio di piangere. Comprendo cosa doveva provare Abramo mentre saliva sul monte per immolare suo figlio Isacco: “Signore vuoi questo? Mi stai chiedendo mio figlio? Non capisco perché mi chiedi questo ma so che mi ami e non puoi permettere che io sia infelice: stai con me, fammi sentire la tua presenza perché è troppo buio, sto troppo male ti prego vieni a salvarmi”.
Il mio pianto era per mio marito, abituato a vedermi forte, dolore su dolore, profondo sconforto e cancellava ogni speranza: ma ad un certo punto sento finalmente il suo cuore gridare a me con tutta la forza di quel dolore perché non riusciva più a sopportare il mio pianto: “Posso sopportare tutto tranne vederti piangere”. Eccolo, il mio Signore, che cercavo e non vedevo più: eccolo di nuovo accanto a me che mi parlava come a Maria di Magdala davanti al sepolcro facendomi sentire di nuovo la sua voce potente: “Perché piangi? Sono io, sono qui con te”.
L’Amore di Dio ha toccato prima il cuore di mio marito per arrivare a me: mai mi ero sentita così amata, compresa, consolata. Improvvisamente non ho più sentito nessun desiderio di piangere ma solo quello di consolare mio marito che contava su di me, sulla mia forza per affrontare anche la cosa più terribile che speravamo non accadesse.
La mattina successiva vado in Chiesa e mi butto ai piedi del Santissimo, mi abbraccia un caro amico sacerdote, poi si inginocchia a pregare con me un parrocchiano e tornata a casa, alla fine di quei tre lunghissimi giorni di terapia intensiva, arriva la telefonata dall’ospedale: “Vostro figlio è fuori pericolo di vita”. Non credo alle mie orecchie, mi sento di non meritare una cosa così grande e scoppio in un pianto irrefrenabile ma questa volta è solo gioia.
Io oggi sono certa che attraverso il mio “sì” alla promessa eucaristica, tutta la grazia del Signore si è riversata sul mio matrimonio e sui miei figli. Nostro figlio ci ha detto di avere lottato per vivere perché pure avendo desiderato la morte al risveglio dal coma: il solo pensiero del dolore che avrei sofferto io per la sua morte era per lui un dolore di gran lunga superiore a quello che stava vivendo sulla sua carne.
Nostro figlio racconta anche di avere visto in carne ed ossa la zia defunta e racconta anche di una donna bellissima che gli è stata “attaccata”, ha usato proprio questo termine, tanto cha ad un certo punto sentiva fastidio, lui che non ama il contatto fisico troppo stretto. Io ho dato le risposte a tutto questo con gli occhi della fede.
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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).












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Grazie! Don Silvio, esprimi la bellezza della conuglialità, quale dono meraviglioso di Amore, ma indicando sentieri di amore coniugale, nel…
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