Le interviste sulla Pastorale Familiare/1
“C’è bisogno di ri-evangelizzare il sacramento del matrimonio”: Mons. Renna sulla pastorale familiare
Immagine derivata da: Syrio, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Mons. Luigi Renna, che dal 2022 guida l’arcidiocesi di Catania, ci aiuta a guardare con realismo e speranza alle sfide che oggi attraversano la famiglia: dalla riscoperta del sacramento del matrimonio alla necessità di accompagnare i giovani nel vivere un amore fedele e fecondo. La pastorale familiare, afferma, deve aiutare le coppie a costruire relazioni solide, radicate nella fede e aperte alla vita. Attraverso i gruppi famiglia, i percorsi di preparazione al matrimonio e l’impegno nella comunità cristiana, la Chiesa può sostenere i coniugi nelle crisi e guidarli verso la “santità della porta accanto”, quella che si manifesta nella quotidianità condivisa, nel perdono e nella perseveranza dell’amore.
Da vescovo, quali sono le sfide principali che, secondo lei, riguardano la famiglia?
Credo che in questo momento storico dobbiamo avere uno sguardo pastorale attento a ciò che avviene nella Chiesa senza trascurare quello che accade nella società civile e nella cultura contemporanea. Nella Chiesa c’è bisogno di ri-evangelizzare sul sacramento del matrimonio, che per molti credenti è un rito senza un autentico slancio di fede e, di conseguenza, senza grandi impegni etici. Dalla vita di coppia ricompresa come un essersi sposati nel Signore rinasce il senso di una famiglia cristiana. Questo non mette al riparo dalle crisi, ma aiuta ad affrontarle con fede e con il desiderio di crescere nell’amore. Per quanto concerne la società civile, abbiamo sotto gli occhi la scelta di molte persone di vivere da single: dobbiamo aiutare a non avere paura di scegliere di amare, di “fare famiglia”, di aprirsi alla vita.
Quali sono le esperienze pastorali più fruttuose quando si parla di famiglia?
Credo che siano quelle in cui si aiutano a riscoprire le motivazioni profonde del sacramento nuziale. I gruppi famiglia, ad esempio, permettono un percorso efficace nella misura in cui aiutano a riscoprire la forza della fede e la bellezza del Vangelo, che aiutano a guardare lontano, per tutta la vita, e sostengono davvero una storia di amore e di coppia. Vedo che alcuni percorsi, come ad esempio quello di Mistero grande, sono di grande aiuto alla vita familiare. Anche alcune occasioni di accompagnamento nella vita dei propri figli possono rivelarsi occasioni in cui la comunità cristiana permette ad una coppia di riscoprire l’importanza di camminare con la comunità cristiana, con altre coppie.
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I percorsi di preparazione al matrimonio sono ancora validi?
I giovani che arrivano al corso sono già conviventi, per lo più hanno maturato una consapevolezza di cosa significa vivere insieme, ma non ancora di cosa sia questo “amore per sempre”, che è quello dell’amore cristiano, né sono sempre pronti a fare delle scelte responsabili di apertura alla vita. Si tratta di aiutarli a scendere più in profondità, a conoscere i propri sentimenti, a «costruire la casa sulla roccia» di un amore più grande. È fondamentale che rinasca una relazione con la comunità (sacerdoti e coppie accompagnatrici) e che si riscopra la fede. E che la comunità continui a cercarli anche dopo il matrimonio.
Quando si parla di fecondità del matrimonio nella Chiesa a cosa si fa riferimento?
Ad una fecondità che si può vivere semplicemente se c’è una dimensione di fede che diventa affidamento al Signore davanti al dono di un figlio, alla condivisione di una gioia, alla capacità di portare insieme la croce. La fecondità è l’efficacia della testimonianza di una coppia che cresce come «la santità della porta accanto» di cui ci ha parlato papa Francesco. Essa non ha limiti di età, anzi cresce con l’esperienza. Non è importante che la coppia “faccia” qualcosa in parrocchia, ma che viva la sua vocazione quotidiana: è quello che ci serve di più.
È importante anche aiutare i giovanissimi a comprendere e a vivere in modo sano la loro affettività. Da dove partire?
Occorrerebbe partire dagli anni in cui abbiamo per più tempo i ragazzi con noi, quelli dell’Iniziazione Cristiana. Se in quegli anni i nostri fanciulli e ragazzi incontrano non solo il singolo catechista, ma delle famiglie che testimoniano la loro esperienza di vita cristiana, allora avranno non solo una dottrina, ma anche un esempio. Lo stesso vale per gli anni dell’adolescenza: dovremmo far sì che le famiglie stesse possano entrare nel gruppo di chi accompagna, a livello associativo o nei gruppi parrocchiali. Quello che riescono a trasmettere due coniugi o due fidanzati è la catechesi più bella sull’amore matrimoniale.
La famiglia sembra oggi anche incapace di superare i piccoli e grandi conflitti della vita ordinaria.
Manca, secondo lei, una vera educazione alla riconciliazione?
Purtroppo, non vedo sempre riscontri positivi, non a causa di mancanze di proposte valide, ma di carenza di coinvolgimento personale. Oggi ci sono strumenti e percorsi che possono aiutare, come la terapia psicologica di coppia, la mediazione familiare, il percorso Retrouvaille. Sono strade che portano alla riconciliazione e a una relazione più solida solo quando entrambi i coniugi sanno mettersi in gioco. Non basta che sia uno di loro a volerlo. La spinta più grande davanti alle opportunità è l’amore che vuole salvare una vita di coppia e familiare.
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