Madre oggi
Dov’è finita la parola “mamma”?
di Gianni Mussini
Tra riproduzioni in vitro, sentimentalismi mediatici e gelide caricature di famiglia, proviamo a tracciare un sentiero che ci riconduce all’icona della maternità per eccellenza: la Vergine con il Bambino.
Eccoci alla parola fatale. Quella che nel suono imita il mugolio del bambino davanti alla mammella da cui riceve il latte, e davanti al sorriso di chi gliela porge. Sarà forse questa fisicità così istintiva e naturale a dare fastidio al “mondo nuovo” di Aldous Huxley in cui “mamma” è una parola pornografica e la magia erotica con cui la vita si trasmette è gelidamente sostituita dalla riproduzione in vitro: alla larga dalla natura, dalle mamme e dalle mammelle (buone semmai, queste ultime, per i film un po’ spinti). La stessa legge che da noi disciplina l’aborto nomina ben 48 volte la “donna” e una sola la “madre”: a rivelare l’imbarazzo del legislatore e magari la prevalenza linguistica di certo femminismo duro, ripiegato sui “diritti” e dimentico della caritas materna in cui pure consiste una radice essenziale della femminilità.
Ma è comunque roba vecchia perché negli ultimi decenni, con la diffusione pervasiva dei media e soprattutto con l’imperversare dei reality, si assiste piuttosto a un abuso della nostra parola, con una pornografia di tipo “sentimentale” che produce impudiche confessioni pubbliche tra madri e figlie, con baci, abbracci e pianti in diretta. E con il trionfo, artatamente fomentato da conduttori e conduttrici, di “buoni sentimenti” che sono in realtà cattivi sentimenti, impregnati di retorica e falsità (consapevole o, peggio, inconsapevole). Neanche questa è però una novità assoluta. Già prima di quel Sessantotto che ci ha scaraventato nella modernità, certe pagine strappalacrime del libro Cuore di Edmondo De Amicis (capace, a onor del vero, anche di mirabili reportage di viaggio) nutrivano il senso comune delle famiglie italiane. E un film come Mamma, interpretato dallo squisito tenore Beniamino Gigli, veniva regolarmente riproposto al cinema e in TV con una colonna sonora il cui pezzo forte era la canzone omonima: che non per caso vinse a furor di popolo Canzonissima diventando poi il cavallo di battaglia di Claudio Villa, ovvero l’incontrastato “reuccio” della musica popolare. Dettaglio autobiografico: nel viaggio di ritorno da una gita scolastica, ormai vicini a casa, un nostro bravo e caro professore ci invitò a intonare proprio quel brano tremendo e memorabile:
Mamma son tanto felice perché ritorno da te
la mia canzone ti dice che è il più bel giorno per me
mamma son tanto felice, viver lontano perché…
Mamma, solo per te la mia canzone vola
mamma, sarai con me tu non sarai più sola…
Sino al botto finale:
Mamma, ma la canzone mia più bella sei tu
sei tu la vita e per la vita non ti lascio mai più.
E senza omettere richiami alla migliore (e peggiore) tradizione letteraria:
Sento la mano tua stanca cerca i miei riccioli d’or
sento, e la voce ti manca, la ninna nanna d’allor
oggi la testa tua bianca io voglio stringer al cuor…
CONTINUA...
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