L'intervista

È un buon padre se sostituisce la mamma? Il professor Marchesini dice no…

Pubblicato da adpfp1 il


di Ida Giangrande


Nella rivoluzione dei ruoli genitoriali se la donna è emersa talvolta con prepotenza, l’uomo che fine ha fatto? Ne ho parlato con Roberto Marchesini, psicoterapeuta e autore di vari libri.

Nel suo libro “Le virtù. Il cammino del cavaliere”, lei parla di virtù appunto, una parola in disuso. Da dove nasce l’esigenza di scrivere un libro che tratti questo argomento?

Qualche anno fa ho scritto un libretto divulgativo, di taglio psicologico, per una certa categoria di pazienti. Il libro in questione si intitola Quello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità (Sugarco, Milano 2011). Questo mio lavoro ha riscosso un certo successo, ma aveva un limite. Una volta che un uomo aveva preso coscienza di essere un «uomo in crisi» e aveva deciso di uscire da tale condizione, gli si poneva una domanda: in quale direzione mi muovo? Il problema è che la nostra società propone un modello virile (palestrato, tatuato, social, sessualmente promiscuo…) che molti miei pazienti (giustamente) rifiutano. Così ho scritto un secondo libretto, questa volta di taglio educativo, intitolato Codice cavalleresco per l’uomo del terzo millennio (Sugarco, Milano 2017). Il modello che proponevo, in alternativa a quello mainstream, era il cavaliere. Tra le varie reazioni che questo secondo lavoro ha suscitato, una mi ha colpito parecchio: avendo incidentalmente parlato di virtù, ho notato che questo tema suscitava entusiasmo tra i pazienti. Le virtù, in effetti, rappresentano una bussola fondamentale per crescere, migliorare, soltanto che – come aveva notato lei – è una parola in disuso. Così ho scritto un terzo libretto dedicato esclusivamente al tema delle virtù: Le virtù. Il cammino del cavaliere (Sugarco, Milano 2019). Ecco, quindi, una trilogia scritta con lo scopo di aiutare l’uomo contemporaneo a diventare la persona che è (in potenza), e che vorrebbe diventare.

Oggi si fa spesso riferimento ai valori, un’immagine illusoria e, sotto certi aspetti, conveniente dato che chiunque può intendere i valori a modo proprio. Ma a ben guardare, secondo il suo punto di vista esiste una differenza netta e profonda tra valore e virtù

Esatto. Diciamo che i valori sono «fuori di noi», mentre le virtù sono «dentro di noi». I valori non costano, le virtù costano sia nell’acquisizione che nel loro esercizio. Faccio un esempio: io posso essere «per l’ambiente, per la famiglia» (due valori a caso), e questo mi costa poco o niente. Ma essere coraggioso (virtù della fortezza), sincero, onesto… beh, queste cose hanno un prezzo. Non nasciamo coraggiosi, lo diventiamo solo esercitando ogni giorno la virtù della fortezza, in modo consapevole. Per farlo occorrono costanza, perseveranza, altre virtù. Ed è per questo che le virtù (come i vizi) sono legati l’uno all’altro. Ed ecco un’altra differenza tra le virtù e i valori.

Nell’antichità la virtù era quasi l’obiettivo principale dell’uomo, ma forse nell’antichità c’era anche la certezza interiore che l’uomo fosse nato per un “oltre”, che il compimento o la realizzazione dell’uomo e della donna non fosse strettamente legato al “qui ed ora”, a questa terra. Che fine ha fatto questa certezza interiore nell’uomo di oggi?

Credo che l’idea di una vita oltre quella terrena non fosse così chiara nell’antichità, prima del cristianesimo. Nemmeno per gli ebrei, considerata la domanda che i sadducei fanno a Gesù (Mt 22, 23-33). I farisei erano aperti alla possibilità della resurrezione, i sadducei la rifiutavano. Ma, al di là di questo, certamente la visione antica (greca e romana) era una visione metafisica: la realtà più importante è quella che non cade sotto i sensi; inoltre nessuno è ciò che è «qui e ora», ma ciò che deve diventare. Ciò che conta è realizzare il proprio telos, la propria natura, il proprio progetto. Ed è qui che entrano in campo le virtù (e i vizi): esse sono una «seconda natura», acquisita con l’esercizio costante, che racchiude la prima e originaria e la guida verso il suo compimento (le virtù) o la devia (i vizi). Ma il punto fondamentale è il telos, lo sviluppo, la piena realizzazione di sé. Il mondo moderno, eliminando la metafisica (noi viviamo in un mondo materialista) elimina il telos, il dover essere, il dover diventare. Ognuno è ciò che è, non ciò che deve diventare. Ognuno è ciò che è con i propri difetti e i propri limiti. Non c’è più un progetto, un orizzonte, un dover essere. Quindi le virtù sono diventate inutili.

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(Foto: http://psicologiacattolicesimo.blogspot.com/)

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