CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

“Vale sempre la pena lottare per custodire la vita”

9 Ottobre 2017

Una gravidanza improvvisa e inattesa, la decisione di sopprimerla e poi l’incontro con una coppia che annuncia la bellezza della vita e cambia il corso della storia. Questa, in sintesi, la storia su cui don Silvio ci invita a riflettere oggi.

Cari amici,
la storia che oggi vi racconto assomiglia molto ai miracoli che Dio semina nella nostra vita quando trova qualcuno disposto a prendersi cura degli altri. Tempo fa ho ricevuto una lettera da parte di una coppia di amici, l’ho custodita come una reliquia preziosa ed oggi la condivido con voi. Ecco il passaggio centrale.

“Alcuni amici ci hanno segnalato una coppia di ragazzi, appena diciottenni, e ci hanno chiesto di incontrarli per dire una parola a favore del bambino che la giovane portava in grembo. A causa dell’età e della mancanza di un lavoro, avevano rinunciato ad accogliere quel bambino. Con molta trepidazione abbiamo annunciato la preziosità della vita, abbiamo fatto capire che quel bambino non era un’idea ma una realtà, una creatura che poco alla volta si stava formando e si preparava a venire alla luce. Abbiamo cercato di far comprendere che il bambino non avrebbe ostacolato i loro progetti e che, in ogni caso, non aveva alcuna colpa di quell’oggettiva situazione di precarietà in cui si trovava. Lui se ne stava buono buono accucciato nel grembo della mamma, ignaro, e forse neanche tanto, del fatto di essere inatteso ed indesiderato.

Abbiamo ripetuto più volte, con tutto l’affetto che potevamo comunicare, che non c’era nessuna decisione da prendere: accettare o non accettare la vita, accoglierla o abortirla. Bastava una semplice ecografia per vedere il cuore pulsante di quel bambino, icona di un piccolo essere umano che chiedeva solo di essere amato. Le nostre parole non sembravano scalfire una decisione già presa. La giovane mamma che non voleva rinunciare alla sua giovinezza; il papà, invece, desiderava accogliere quel bambino che già sentiva come suo figlio.

Puoi immaginare come siamo tornati a casa! Avevamo un grande peso sul cuore. Da una parte ci sembrava di aver perso la battaglia, d’altra parte, ci siamo detti, che era necessario non perdere la speranza. Abbiamo preso l’impegno di amare e dare voce a questo bambino. Non so dirti perché, forse è l’istinto di una madre, ma fin dall’inizio, ho sentito questo bambino come se fosse il mio, mi sono sentita responsabile della sua vita, non ho mollato la mamma. Ho tanto pregato per lei e le ho inviato tanti messaggi per chiederle di non chiudersi alla vita. Quando parlavamo a telefono, non si stancava di ascoltarmi anche se continuava a restare ferma nella sua decisione. Ho continuato a inviarle comunicazioni WhatsApp fino a quando, la notte prima del fatidico giorno in cui aveva l’appuntamento in ospedale, mi scrisse una frase che riaccese la mia speranza. Le parole e la preghiera avevano aperto una crepa in quel muro apparentemente di granito. Continuai a sgranare il rosario e inviai un ultimo lungo messaggio di speranza, che però il suo cellulare non ricevette. Si era addormentata insieme alla sua paura.

All’alba del mattino seguente il miracolo accadde: anche se la ragazza non sapeva cos’era la preghiera, aveva chiesto un segno. Quel giorno, dal suo telefono spento apparvero i miei ultimi messaggi della sera precedente. Furono per lei come una piccola luce che aprirono il cuore alla vita. Avevano deciso di non andare ma non lo avevano comunicato subito. Quella mattina andai a Messa, come al solito, con la morte nel cuore. Al termine della celebrazione, la telefonata fu come un soffio di vita nuova: con una voce invasa dalla felicità, i due giovani comunicano che avevano accolto il dono della vita. Si apriva per loro un nuovo capitolo. Una sfida anche per noi che ci siamo impegnati ad accompagnarli e a sostenerli. Non abbiamo parole per ringraziare il buon Dio per questo dono. Grazie anche a te che ci hai insegnato a lottare per custodire la vita di ogni creatura. Restaci accanto con i tuoi consigli e la tua preghiera”.

“Abbiamo scomodato tutti i santi del Cielo”, mi ha scritto Giovanni. Davvero hanno pregato con fede ed hanno vinto una battaglia che sembrava difficile. Rileggendo questa lettera, a distanza di alcuni mesi, ho ripensato ai tanti colloqui per la vita che hanno accompagnato il nostro cammino e la nostra esperienza ecclesiale: quante mamme abbiamo incontrato e quanti bambini, proprio grazie a quel colloquio, oggi hanno una storia da raccontare e da scrivere. Lottare per la vita non è un optional ma un dovere, ce lo chiede quel bambino che non ha altra voce se non la nostra. Quando pensiamo alla parabola del buon samaritano, che oggi ci offre la liturgia, quando ci sentiamo chiamati a fermarci accanto a colui che soffre, raramente pensiamo ai bambini che attendono di nascere. Eppure, anche loro sono in pericolo ed hanno bisogno di qualcuno che si fermi accanto alle loro mamme per dire una verità semplice: “Nel tuo grembo c’è un bambino che desidera nascere per gridare a tutti la sua gioia di vivere. Dagli questa possibilità”. Sì, diamogli questa possibilità. Impegniamoci tutti. Un caro saluto.

don Silvio




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