CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Dinanzi alla morte, tanti perché e una certezza. In ricordo di un amico

26 Marzo 2018

Quando il male è così devastante diventiamo tutti (colui che soffre ma anche coloro che lo accompagnano) come fuscelli trasportati dalla furia della tempesta. Siamo impotenti. Spettatori di una tragedia che nessuno ha voluto e nessuno può evitare. In questi casi possiamo solo aggrapparci a Cristo”. Dal diario di don Silvio, alle porte della settimana santa, una testimonianza su come muore un cristiano.

Caro Luigi,
tra pochi giorni cade l’anniversario della morte di tuo padre, uno dei primi amici della nostra Fraternità, uno di quelli che ha vissuto fino in fondo la sfida del Vangelo. Qualche giorno fa a Nazaret ti ho visto mentre pregavi e piangevi nello stesso luogo dove una foto scattata alcuni anni fa ritrae tuo padre con la sua inseparabile chitarra. Una scena commovente che, sulla soglia della settimana santa, mi invita a rileggere alcuni appunti di quell’esperienza dolorosa e luminosa.

Nel manifesto funebre che annunciava la morte c’era scritto: “Mimmo si è addormentato nel Signore”. Non era solo una bella frase che rispecchia e annuncia la fede nella resurrezione, queste parole raccontavano lo stile con cui ha vissuto tutto il tempo della malattia, anche e soprattutto le ultime settimane. Ha pregato fino all’ultimo, con l’aiuto della sua famiglia e degli amici della Fraternità. Ha ricevuto più volte l’unzione degli infermi, si è comunicato tutti i giorni, ha recitato il Rosario. La sera prima di morire, quando Alberto era andato a casa con Gesù Eucaristia, era assopito, esausto per la lotta. Non appena si è svegliato ha chiesto di ricevere l’Eucaristia. Voleva addirittura andare in chiesa. Non voleva mancare all’appuntamento con il Signore. Quell’ultima sera io stesso l’ho nutrito con il Corpo di Cristo. Abbiamo preparato un altare dinanzi al letto ma il vero altare era proprio quel letto in cui tuo padre faceva della sua malattia un’offerta gradita a Dio.

In una delle notti passate a combattere contro il male che devastava il suo corpo disse ad un certo punto: “Torno a casa”. Si preparava all’incontro con Dio. Questa certezza non gli ha impedito di chiedersi mille volte perché. Aveva tutte le ragioni per farlo: non aveva ancora compiuto 50 anni, i figli erano ancora troppo piccoli e bisognosi di un padre. Tu comprendi bene questo dramma perché hai sperimentato in prima persona il vuoto, come di chi sente franare  il terreno sotto i piedi.

Perché Signore? È un interrogativo che poteva apparire straziante a chi stava accanto a lui e sperimentava l’impotenza di fermare il male. Ma quella domanda era pur sempre una preghiera rivolta a Colui che scruta ogni cosa. È la supplica che Marta rivolge a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” (Gv 11,21). La sofferenza ci spoglia di ogni maschera e fa emergere le domande vere, quelle decisive che tante volte rimangono nascoste. Ma la domanda sul dolore non ha una risposta preconfezionata. Quando il male è così devastante diventiamo tutti (colui che soffre ma anche coloro che lo accompagnano) come fuscelli trasportati dalla furia della tempesta. Siamo impotenti. Spettatori di una tragedia che nessuno ha voluto e nessuno può evitare. In questi casi possiamo solo aggrapparci a Cristo, come all’albero maestro della nave, per evitare di essere travolti. In Lui troviamo la forza di amare nonostante il dolore e di fare del dolore un altro gradino del cammino di fede. La sofferenza può diventare la palude in cui affondiamo, e con noi tutti i progetti che abbiamo accarezzato; ma può anche diventare una scala che ci fa salire ancora più in alto. Tuo padre appartiene alla categoria di coloro che hanno custodito la fedeltà. Ed hanno vinto la loro battaglia.

 

Siamo entrati nella settimana santa, la liturgia ci invita a contemplare la “beata passione del Signore Gesù”. Queste parole contengono un annuncio e una provocazione. Quella sofferenza, che istintivamente rifiutiamo, appartiene alla categoria delle beatitudini. Gesù ha aperto una strada. Beati quelli che sanno incamminarsi in essa.

Caro e giovane amico, le nozze che ti prepari a celebrare sono il punto di arrivo di un cammino di fede e il punto di partenza di una storia santa. L’esperienza vissuta ti permette di affrontare la vita con la maturità di chi è pronto a lottare e con l’ingenuità di chi è disposto a perdere tutto per amore del Signore. Chiedi questa grazia e resta fedele alla grazia ricevuta, proprio come ha fatto tuo padre. Ti abbraccio con affetto.

Don Silvio




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