CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

In missione come famiglia

10 Ottobre 2016

famiglia

(Foto: © Claus Mikosch - Fotolia.com)

Nella lettera di oggi, don Silvio scrive ad una coppia che s’interroga sull’impegno missionario e alla luce di tante piccole esperienze di sposi che hanno lasciato la loro casa per un periodo più o meno lungo, sottolinea la necessità che la famiglia sia protagonista di una nuova stagione missionaria.

Cari amici,

ho vissuto una bella esperienza a Verona, ho ascoltato testimonianze che mi hanno fatto comprendere in modo nuovo che gli orizzonti del protagonismo familiare non solo non restano confinati nelle mura domestiche ma neppure in quelle parrocchiali. Ho compreso che la famiglia può e deve partecipare attivamente – cioè da protagonista – anche alla nuova stagione missionaria.

Ho incontrato famiglie che hanno vissuto in prima persona l’impegno missionario vivendo per alcuni anni (in genere tre) in un Paese del sud del mondo. Si tratta di coppie molte diverse: una giovanissima (9/10 anni di matrimonio) che ha vissuto per sei anni in Ciad. Sono partiti due anni dopo le nozze. Hanno avuto due figli in Africa, un terzo dopo il loro ritorno in Italia. Giovani pieni di entusiasmo e con tanta fede nella Provvidenza che hanno lasciato il lavoro per vivere un’esperienza dai contorni indefiniti; e che sono tornati senza avere alcuna garanzia, se non quella che Dio non abbandona coloro che per Lui hanno donato tutto.

Un’altra coppia è partita dopo diversi anni di matrimonio, fin dall’inizio pensavano ad un’esperienza missionaria ed hanno fatto diversi viaggi in luoghi di missione, ma non si decidevano mai, attendevano un segno. Quando è giunto hanno risposto con gioia e sono andati per tre anni in Camerun: la moglie è insegnante del metodo sintotermico e ha avuto occasione di fare anche in Africa percorsi di educazione alla procreazione responsabile. La scuola elementare frequentata da uno dei figli ha voluto partecipare alla missione consegnando al bambino una macchina fotografica e assegnandogli la qualifica di reporter. Un piccolo dettaglio ma fa capire in che misura le scelte di fede diventano lievito. Nei tre anni di permanenza africana il ragazzo ha scritto 28 lettere! Un’altra coppia, della diocesi di Padova, è stata invece per tre anni in Ecuador. Questi ultimi sono partiti con i loro tre figli, la prima era in piena adolescenza. Non è stato facile ma il Signore li ha accompagnati ed ha permesso anche ai figli di fare un’esperienza di condivisione.

Storie diverse eppure accomunate da una stessa passione per il Vangelo, dal desiderio di condividere con altre Chiese quello che loro avevano ricevuto. Storie speciali, in apparenza, e tuttavia così raccontate in modo così semplice da apparire quasi ordinarie e alla portata di tutti. Sono queste storie che fanno intravedere quella che Andrea Riccardi chiama “la forza debole del Vangelo” e lasciano in chi li ascolta il profumo di Cristo.

Non tutti sono chiamati a partire, anzi la stragrande maggioranza degli sposi è chiamata a restare nel luogo dove li ha posti la Provvidenza. E tuttavia, la testimonianza di queste famiglie missionarie – che rappresentano solo alcune pagine di un libro ben più ricco di storie – suscita in me una grande riconoscenza per le opere che Dio compie nel nostro tempo. E genera altri desideri di bene. Mettiamoci all’opera e preghiamo perché lo slancio missionario pervada la nostra Chiesa e doni a tanti altri sposi il coraggio di mettersi in gioco come apostoli, testimoni umili e fedeli di quel Gesù che riempie di luce e di gioia la nostra vita. Vi consegno queste parole nella certezza che troveranno un terreno che le farà germogliare.

Don Silvio




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