CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Non aver paura di entrare nelle case dove regna il dolore

27 Febbraio 2017

condivisione

Nel blog di oggi, don Silvio ci offre la possibilità, attraverso la lettera di Raffaella, di fare i conti con una fede concreta che non ha paura di portare la luce della condivisione e della consolazione nelle case dove la malattia spesso ha bruciato ogni speranza.

Carissimo don Silvio,

volevo scrivervi da alcuni giorni riguardo ad un’esperienza che sto vivendo da alcune settimane, ma l’ascolto dell’omelia e la lettura del commento al Vangelo di oggi mi hanno convinta a scrivere. Il parroco ha chiesto a noi della Caritas di visitare alcuni malati di tumore che stanno lottando strenuamente contro questo terribile male. All’inizio ero molto perplessa poiché mi sentivo inadeguata di fronte a questa sofferenza, ma anche impaurita poiché questa malattia mi ha rubato mio padre quando avevo 10 anni, il mio unico fratello sette anni fa e io  stessa ne sono stata colpita molti anni fa. Non volevo rivivere quel periodo. E tuttavia mi sono incoraggiata ripetendomi: Gesù vengo, vengo a visitare te malato.

Ma cosa dirò ad Aniello, Angelina e Lucia? Quali parole troverò per dare loro un po’ di consolazione? Sono andata con questi dubbi.

Il Signore ha provveduto! Sono riuscita anche a farli sorridere. Ora non vedo l’ora di tornare da loro oppure di telefonare. Ma devo dirvi anche questo: mi è impossibile eliminare dal mio cuore la pena per tanta sofferenza. Riemerge con prepotenza anche il ricordo di mio padre. Con Aniello sto rivivendo tutti le fasi della  sua malattia. E tuttavia, vedo che la mia sola presenza è molto gradita anche a chi li assiste. Rompe la monotonia delle giornate trascorse nel letto o in casa e la tristezza di quella vita ribaltata. In loro scorgo sempre tanta speranza che cerco di alimentare incoraggiandoli ad avere fiducia in Dio che li ama e li consolerà rendendo più lievi le loro pene. La preghiera comune aiuta me e loro. Vi saluto con affetto,

Raffaella

 

Cara Raffaella,

ci conosciamo poco ma quel poco mi ha permesso di scorgere la tua limpida spiritualità che si traduce nella preghiera e nella carità e fa della tua vita una bella testimonianza di Vangelo. Tu appartieni a quella categoria, purtroppo non numerosa, di persone che alle chiacchiere preferiscono i fatti. Quello che mi racconti in questa lettera è solo una conferma di uno stile che hai ormai acquisito. Dinanzi alla richiesta del parroco (dettata da una grande sensibilità pastorale) avresti potuto accampare non poche scuse: tutti gli altri ministeri che eserciti con tanta passione e, non ultimo, la tua personale esperienza che ti rende senza dubbio più vulnerabile dinanzi ai malati di tumore. E invece hai accettato la sfida, hai scelto di entrare nelle case abitate dal dolore per accendere la luce della consolazione e della speranza. Non è piccola cosa, credimi!

Tu non puoi fare miracoli ma puoi portare nella casa il profumo della condivisione. In un mondo dove tutti hanno fretta – e spesso anche fretta di morire! – e dove nessuno ha tempo di sostare dinanzi al letto di un malato, la tua presenza amicale è già un miracolo. Tu non puoi guarire gli infermi ma puoi comunicare la gioia della vita e infondere nei malati, che sentono di essere un peso per gli altri, la coscienza che la loro vita non è inutile. Mi scrivi che quando vai nelle case del dolore senti tutta la pena per la sofferenza e si risveglia la memoria dell’esperienza vissuta nella tua famiglia. E vorresti forse essere esente? Tu non devi entrare nella casa con il distacco professionale del medico abituato a incontrare il male ma con la partecipazione emotiva di chi incontra un fratello o una sorella che soffre. Sei parte in causa. Soffri con loro. È questa la fondamentale differenza tra il servizio sociale e la carità cristiana.

Cara amica, la tua è una bellissima testimonianza. Le tue parole oggi sono per me una luce di speranza. Viviamo in una società che ha paura della sofferenza e cerca di relegarla nello sgabuzzino delle cose inutili; e non teme, quando può, di gettarla nella spazzatura. Tu sei invece l’immagine di una Chiesa che non si ripiega su se stessa, una Chiesa sempre pronta a mettersi in cammino perché in qualche parte del mondo c’è qualcuno che attende una parola capace di trasformare la casa di dolore in casa della gioia. Il Signore ti doni la grazia di perseverare in quest’opera di bene e susciti tanti altri apostoli della carità. Ti auguro ogni bene, nel Signore.

Don Silvio




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