CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Santa Zelia, quando i santi desideri non coincidono con la volontà di Dio

21 Agosto 2017

Santa Zelia e Santa Teresa

Nel blog di oggi, don Silvio ci offre una lettera di Zelia carica di dolore ma anche intrisa di speranza. Racconta la scoperta della grave malattia che avrebbe portato la santa madre di Teresa alla morte nel giro di pochi mesi. Emerge tra le parole tutta la preoccupazione di questa prova improvvisa ma anche la certezza di aver affidato la sua vita nella mani del buon Dio.

Alla cognata

17 dicembre 1876

Mia cara sorella,
il cuore mi batte pensando al dolore che sto per arrecarle. Ho esitato un momento a dirle tutta la verità, ma sento che è necessario, ho bisogno dei suoi consigli. […]
Finalmente, sono stato dal dottor X. che, dopo avermi ben esaminata, ben palpata, mi ha detto, dopo un minuto di silenzio: «Sa che quello che lei ha è di una natura gravissima? È un tumore fibroso. Si tirerebbe indietro di fronte ad un’operazione?». Ho risposto: «No, benché abbia la certezza che, invece di salvarmi la vita, questa operazione abbrevierebbe i miei giorni». Ho aggiunto delle prove in questo senso così bene che egli ha ripreso subito: «Lei ne sa quanto me, tutto questo è la verità, perciò non gliela posso consigliare, perché è molto incerta». Gli ho chiesto se vi era una probabilità su cento: mi ha risposto evasivamente. Gli sono grata della sua franchezza, perché mi affretterò a liquidare i miei affari per non lasciare la mia famiglia nell’imbarazzo. Mi ha proposta una ricetta. Gli ho detto: «A che cosa servirà?». Mi ha guardato e mi ha replicato: «A nulla, è per far piacere ai malati».
Non ho potuto evitare di dire tutto in casa. Ora me ne pento, perché è stata una scena di desolazione… tutti piangevano, quella povera Leonia singhiozzava. Ma ho citato loro tante persone che erano state dieci e quindici anni così; mi sono mostrata ben poco preoccupata, sbrigando le mie faccende allegramente come al solito, forse di più, e così ho un po’ calmato i miei. Però sono molto lontana dall’illudermi e stento ad addormentarmi alla sera, quando penso all’avvenire. Tuttavia, mi rassegno il meglio possibile; ma ero lontana dall’attendere una simile prova. […]
Se lei ha qualche parere da darmi sull’operazione, la prego di scrivermi questa settimana, perché Paolina arriva mercoledì e non voglio che veda la sua lettera.
Mio marito non si può consolare; ha abbandonato il divertimento della pesca, ha portato le sue lenze in soffitta, non vuole più recarsi al Circolo Vitale, è come annientato. La stessa sera è andato a trovare il Signor Vitale per rendergli conto del consulto; egli persiste a dire che l’operazione è necessarissima; mi dia lei il suo parere la prego. […]
Non si preoccupi assolutamente per me, non sono molto malata in questo momento, è poca cosa e, se non avessi l’ingrossamento, non ci baderei neppure. Ho un callo al piede che mi fa molto più male, non ho bisogno di vederlo per sentirlo.
Checché ne sia, profittiamo del buon tempo che ci resta e non preoccupiamoci; d’altronde sarà sempre e soltanto quello che Dio vorrà. Se il male si aggrava, farò dei pellegrinaggi. Se avessi ascoltato Luigi, credo che saremmo già a Lourdes, ma non c’è fretta. In questo momento desidererei venire a passare un giorno da voialtri: vedrebbe che ho una buona cera, buon appetito e che sono molto allegra; ed è vero che non mi addoloro.
In attesa di sue notizie, l’abbraccio di tutto cuore.

Cari amici,

la lettera che oggi vi propongo inaugura l’ultima fase della vita terrena di Zelia, è stata scritta pochi giorni prima del Natale 1876 ed è indirizzata alla cognata, Celina Fournet, che nel corso degli anni è diventata la sua più intima confidente. La notizia che deve comunicare contrasta con la gioia della festa che tutti si apprestano a celebrare. Pochi giorni prima, infatti, Zelia si è sottoposta ad una visita medica che, contro ogni aspettativa, ha dato un esito assai negativo. La diagnosi suona come una campana a morto. Nello sguardo e nelle parole del medico non s’intravede alcuna speranza. All’inizio sembra aprire la porticina della speranza ma dinanzi alle precise domande della donna, e accortosi della sua femminile determinazione, il medico aggiunge che il male ha raggiunto ormai uno stadio che rende inutile qualunque operazione chirurgica. Non c’è medicina che possa invertire il processo degenerativo.

Quel male viene da lontano, accompagna Zelia da lungo tempo, almeno una decina d’anni. È una patologia a cui non ha dato la dovuta importanza non solo a causa dei consigli poco avveduti del fratello Isidoro ma anche per la sua determinazione e la sua capacità di sopportare il male. E come spesso accade, anche ai nostri giorni, quando prendiamo coscienza del male … è troppo tardi.

Fino a quel momento, e sono passati 18 anni dal giorno delle nozze, Luigi e Zelia hanno affrontato insieme le fatiche del matrimonio e le avversità della vita: hanno accolto tutti i figli che la Provvidenza ha loro donato, hanno condiviso la sofferenza per la morte dei loro quattro bambini, di comune accordo hanno tracciato un percorso educativo per le figlie, insieme hanno costruito una stabile e fruttuosa attività lavorativa, hanno coltivato sane amicizie, hanno esercitato una carità semplice ed eroica, sono passati attraverso il fuoco della guerra. La loro vita coniugale e familiare era piena di affanni ma anche colmata di tanta gioia perché era costantemente vissuta in obbedienza a Dio, fonte della pace e della consolazione. Per questo motivo la paura non è mai diventata angoscia. La sofferenza, anche nei momenti più acuti, non ha mai generato  un’aperta ribellione. Insomma, la loro vita coniugale è stata davvero ammirevole, come hanno poi testimoniato tutti quelli che li avevano conosciuti.

Ma ora si trovano ad affrontare una situazione assolutamente imprevista, come annota Zelia con la consueta sincerità: “ero lontana dall’attendere una simile prova”. La loro casa è allietata dalla presenza di cinque figlie: Maria, la primogenita, non è ancora maggiorenne; l’ultima, Teresa, non ha ancora compiuto quattro anni. Zelia sente che la vita viene a mancare proprio quando le sue figlie avrebbero avuto bisogno di una mamma in piena forma. La situazione è triste, anzi è tale da gettare nella più grande angoscia. E tuttavia, facendo forza sulla fede, la signora Martin scrive: “Checché ne sia, profittiamo del buon tempo che ci resta e non preoccupiamoci; d’altronde sarà sempre e soltanto quello che Dio vorrà”. È il grido della speranza, nasce dalla certezza che Dio non abbandona i suoi figli. Zelia appartiene alla categoria, poco numerosa, di coloro che sanno “sperare contro ogni speranza”; ma non confonde la speranza con l’illusione, non pretende che i suoi legittimi desideri debbano necessariamente coincidere con la volontà di Dio.

Zelia entra nel tempo della malattia e s’incammina sulla via stretta della croce. Lei non lo sa, le restano pochi mesi di vita. Saranno giorni pieni e vissuti con un’intensità straordinaria, come attestano le numerose lettere scritte in quel periodo. Se vogliamo comprendere la santità di questa donna – e la fede che circola in quella famiglia – dobbiamo approfondire il tempo oscuro della sofferenza, quando tutte le luci si spengono e la fede appare nella più assoluta gratuità. Un caro saluto a tutti e a ciascuno di voi.

Don Silvio




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