CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

La fede di Zelia Martin: restare al proprio posto fino alla fine

28 Agosto 2017

Nel blog di oggi don Silvio ricorda il passaggio alla vita eterna di Santa Zelia Martin avvenuto nella notte tra il 27 e il 28 agosto 1877, esattamente 140 anni fa. Nelle ultime lettere della santa madre, emerge una tempra spirituale che lascia senza parole. Espressione di una fede che di fronte alla malattia custodisce il legame con il cielo.

Mio caro Luigi,
mettiamoci nelle mani del buon Dio, egli sa meglio di noi quello che ci occorre: «È Lui che fa la ferita e che la fascia». Andrò a Lourdes con il primo pellegrinaggio e spero che la Santa Vergine mi guarirà, se ciò è necessario. Frattanto stiamo tranquilli”. (LF 179, 24 dicembre 1876)

Mia cara sorella
[…] Sono molto inquieta riguardo a Paolina; durante i suoi quindici giorni di vacanza ha avuto costantemente il mal di capo e, se non avessi avuto paura di contrariarla, non sarebbe rientrata in collegio. […] Maria deve andare al ritiro delle allieve anziane che comincerà l’11 giugno; aspetto questo momento con impazienza per rivedere la mia Paolina. Tutte queste preoccupazioni mi fanno dimenticare il mio male: non ho molto tempo per pensarci, al punto che mi figuro sempre che la morte sia per me lontana a perdita di vista. Tuttavia di tanto in tanto arriva fino a me qualche lampo sulla realtà e mi preoccupo di pellegrinaggi più di quanto lei immagini. Sto più o meno lo stesso, non soffro molto, ma sento ora quasi senza interruzione il lavorio intero del male, però è una sofferenza ben sopportabile. (LF 200, 10 maggio 1877)

Cara sorella,
ho lavorato per quattro, e quattro capaci di lavorare senza perdere tempo. Ho condotto una vita dura tanto che mi costerebbe molto ricominciarla, credo che mi mancherebbe il coraggio. E proprio ora, che finalmente potrei respirare, vedo il segno della partenza, come se mi dicessero:: «Tu hai fatto abbastanza, vieni a riposarti». Ma no, non ho fatto abbastanza, queste bambine non sono allevate. Ah, se non fosse per questo, la morte non mi farebbe paura. (LF 205, 7 giugno 1877)

Mio caro fratello,
ieri ti chiamavo con grandi grida, credendo che tu solo mi avresti potuto dare sollievo! Ho sofferto, per ventiquattro ore, più di quanto avessi sofferto durante tutta la mia vita, perciò quelle ore le ho passate a gemere e a gridare. Imploravo tutti i santi del Cielo, gli uni dopo gli altri: nessuno mi rispondeva! Finalmente, non potendo ottenere altra cosa, ho domandato soltanto di poter passare la notte nel mio letto; nel pomeriggio non vi avevo potuto resistere: ero in una posizione orribile, impossibile appoggiare la testa da nessuna parte. Si era provato tutto, ma la mia povera testa non poteva toccare nulla, né io fare il minimo movimento, nemmeno per inghiottire del liquido. Il collo era preso da tutte le parti e a muoverlo il più leggermente possibile mi dava dolori atroci. Alla fine, mi è stato possibile rimanere a letto solo a condizione di starvi seduta. Quando il sonno voleva venire, il movimento impercettibile che certo facevo risvegliava tutte le sofferenze. Ho dovuto gemere tutta la notte; Luigi e Maria e la domestica, sono rimasti presso di me. Quel povero Luigi, di tanto in tanto, mi prendeva nelle sue braccia come una bambina. (LF 216, 27 luglio 1877)

Caro fratello,
non posso scrivere più a lungo, le mie forze sono agli estremi. Avete fatto bene  a venire ad Alençon, mentre potevo ancora restare con voi. Che volete? Se la Santa Vergine non mi guarisce, è perché il mio tempo è finito e il buon Dio vuole che mi riposi altrove che sulla terra… (LF 217 – 16 agosto 1877).

Cari amici,
nella notte tra il 27 e il 28 agosto 1877 – e dunque esattamente 140 anni fa! – Zelia varcava la soglia della vita ed entrava nella luce senza tramonto. Otto mesi prima aveva saputo di essere affetta da un grave tumore al seno, presente da tempo e ormai così diffuso da impedire qualunque intervento chirurgico. Una sentenza come questa avrebbe abbattuto chiunque altro, Zelia invece proprio in quel periodo rivela la sua tempra spirituale, la forza interiore che ha ispirato e sorretto tutta la sua vita. Se dinanzi alla vita appare come una donna dinamica e intraprendente, capace di rispondere con una straordinaria forza di volontà alle diverse responsabilità; quando si trova dinanzi alla morte emerge la sua fede rocciosa, non si lamenta, non chiede sconti, evita ogni sterile ripiegamento. Resta al suo posto fino alla fine. È una madre sempre attenta a premurosa, fino al punto da scrivere: “queste preoccupazioni mi fanno dimenticare il mio male: non ho molto tempo per pensarci, al punto che mi figuro sempre che la morte sia per me lontana a perdita di vista” (10 maggio 1877). In una lettera inviata agli zii il 9 agosto, tre settimane prima della morte, la figlia primogenita scrive: “la nostra povera mammina è così dimentica di sé che non è contenta se non quando ci vede partire. Per farle piacere il Babbo fa fare alle mie sorelle delle gite in barca. Ma quale attrattiva si può trovare a passeggiare quando si ha la propria madre tanto ammalata?”.
Le numerose lettere che scrive in questo periodo così delicato e decisivo della sua vita offrono un quadro luminoso della sua fede che contrasta con il male oscuro che consuma i suoi giorni terreni. Se non avessimo altre testimonianze sulla sua vita, se gli unici documenti in nostro possesso fossero le lettere di questo periodo, basterebbero per riconoscere la sua santità perché nessuno può vivere così, preparandosi a morire, se non avesse una fede robusta nella presenza amorevole di Dio. Zelia soffre al pensiero che le figlie resteranno sole ad affrontare la vita ma sa che non mancherà loro la Provvidenza di Dio. Non si rassegna e lotta fino alla fine con le armi della preghiera ma senza mai cadere nella pretesa di essere guarita. Offre una straordinaria testimonianza che resterà per sempre e ben impressa nella mente e nel cuore delle figlie. La malattia e la morte non solo non scavano un solco tra l’uomo e Dio, non solo non suscitano alcuna ribellione, ma svelano ancora di più quanto sia necessario custodire il legame con il Cielo.
Zelia lascia questa vita ma dal Cielo continua la sua battaglia. Vent’anni dopo, Teresa, la figlia più piccola, si troverà nella stessa condizione della mamma. Anche lei vivrà gli ultimi mesi con lo stesso fiducioso abbandono che aveva segnato tutta la sua breve esistenza. Con una differenza: lei non dice, come la mamma, che si avvicina per lei il tempo del riposo, al contrario sente e dichiara che sta per “entrare nella vita” e per dare inizio alla sua missione: “passerò il mio Cielo e far del bene sulla terra”. La testimonianza di Zelia e di Teresa non solo sono una memoria luminosa di una vita rivestita di fede ma offrono anche la certezza di poter contare sulla loro intercessione. A queste due sante donne affidiamo oggi le persone che lottano con la malattia, per loro e per noi chiediamo la grazia di custodire fino alla fine l’amore e la speranza. Un caro saluto

Don Silvio




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