Coppia

di Assunta Scialdone

Natale, festa dei bambini? No, piuttosto crocevia dell’esistenza di ogni uomo…

18 Dicembre 2019

Presepe

È tutto pronto, il Natale si avvicina, ma stiamo attenti: nella nascita di quel Bambino c’è una Parola incarnata rivolta a noi. Siamo davvero pronti a comunicare con Dio?

Tra pochi giorni celebreremo la nascita di Gesù a Betlemme e nelle Celebrazioni Eucaristiche risuonerà il meraviglioso prologo del Vangelo di Giovanni. È meraviglioso perché ci fa innalzare verso vette altissime, ma, nello stesso tempo, è complicato da comprendere nella sua pienezza. Qualche teologo ipotizza che proprio contemplando la bellezza di questo scritto sia stato attribuito all’evangelista Giovanni il simbolo dell’aquila. In questa sede cercheremo di porre in luce solo alcuni aspetti di questo scritto: quelli che possono aiutarci a vivere meglio la contemplazione del Bambino Gesù dal quale inizia il compimento del progetto di Dio sugli uomini che troverà la sua massima espressione nella parusia finale alla celebrazione del “matrimonio mistico” tra il Creatore e le sue creature.

L’inizio del Vangelo di Giovanni è memorabile: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio». Il termine “In principio” (arkhē) è simile al termine che troviamo all’inizio della Genesi: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Sembrerebbe che queste due pagine siano legate da un sottile filo e che, tuttavia, abbiano da comunicarci qualcosa di diverso inerente alla creazione. L’autore genesiaco inizia il suo scritto sottolineando l’opera maestosa della Creazione. Giovanni, invece, sembra voglia sottolineare un aspetto della creazione che non era stato posto ben in evidenza dall’autore genesiaco, lasciandoci intravedere qualcosa antecedente alla creazione stessa, svelandoci un mistero nascosto all’ambiente giudaico. Giovanni, infatti, ci mostra ciò che esisteva prima della creazione del mondo. Mentre nella Genesi il termine berē’šȋ t (tradotto nella versione dei settanta con en arkhē) si riferisce all’inizio della creazione, l’inizio di Giovanni riguarda il principio prima di ogni principio, ovvero la vita stessa in Dio. Ha dunque il senso dell’inizio assoluto, metafisico. L’inizio di Giovanni è il tempo assoluto di Dio, situato al di là del tempo storico, accessibile proprio a partire dalla rivelazione in Gesù Cristo. L’evangelista afferma con grande determinazione che prima di tutto esiste il Logos. Come mai Giovanni attribuisce a Gesù il termine Logos? Cosa significa? Il termine greco λόγος ha un’incredibile varietà di significati, ma, nel nostro caso, viene il più delle volte tradotto con Verbum, Parola. Logos può significare «legame, relazione, discorso connesso, compaginato». La sua funzione allora è quella di chi vive una relazione eterna con Dio ed entra in relazione con il mondo e gli esseri umani. 

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Il narratore utilizza deliberatamente questo termine per inglobare tutte le sue potenzialità di “legame” “azione”, “comunicazione”, “progetto”, “rivelazione”, “fondamento”. Esso lascia intendere una Parola che porta in sé un progetto e non una parola astratta. La «Parola» è l’anima della comunicazione e quindi, per entrare in contatto con noi, Dio si fa alfabeto, lettera, Parola, quasi a dire che personifica la comunicazione. Prima della creazione del mondo Dio ha un progetto, Logos, da compiere e questo progetto è Dio stesso. Per meglio comprendere il termine Logos, dobbiamo consultare anche il Talmud, questo insegnamento considerato dagli ebrei Parola di Dio. Gli ebrei credevano e credono che Mosè sul monte Sinai abbia ricevuto due leggi: quella scritta sulle tavole che ritroviamo nei primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco) e quella orale che consiste nella spiegazione della prima. Tale legge orale è stata trasmessa nei secoli fino a quando venne messa per iscritto nella forma oggi chiamata Talmud. Ebbene, il Talmud afferma che il mondo fu creato per mezzo delle dieci parole. Quando a Mosè furono dati i comandamenti (Es 31,18), Jhwh scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza: appunto, le dieci parole (in greco “deca” (dška) e “parole” “logos”, da cui deriva “decalogo”, cioè i dieci comandamenti). La teologia ebraica affermava che tutta la creazione avvenne per i dieci comandamenti: quindi, nell’osservanza delle dieci leggi date a Mosè si realizza la creazione. “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo”. Giovanni, utilizzando il termine Logos, sembrerebbe sottolineare che prima della creazione esisteva un’unica Parola che ha un valore incommensurabile e che Dio voglia innalzare l’uomo al suo stesso livello, concedergli la condizione divina (divinizzarlo) infondendogli una vita che essendo quella di Dio sarà incorruttibile e che nemmeno la morte sarà capace di superare.

 

Lo stesso prologo ci ricorda che nel mondo veniva la Luce Vera, ma che il mondo non l’ha accolta. Ecco perché Dio fa fatica ad abitare nel mondo. Spesso il mondo cerca di rinchiudere Dio nel privato perché non incida nella vita sociale oppure cerca di piegare e modificare la Parola in base alle mode momentanee. Tutto ciò non è possibile perché Egli è la Verità e non ce ne possono stare altre. Alla luce di tutto ciò si comprendono meglio le parole riportate in Gv 16, 33, dove si legge: «Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!». Le tenebre non hanno estinto la Luce. Lo splendore della Luce sarà sempre più forte delle tenebre. In altri termini, la Parola di verità, la Parola di luce, la Parola di Dio ci rende più luminosi, ci fa diventare come Dio, perché ci trasforma. L’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, mediante la Parola che ascolta, diventa come Lui. “La Parola divenne carne e venne a porre la sua tenda in mezzo a noi”: ecco il centro dell’inno. La Parola diviene carne. Gesù è il primo che vive della Parola del Padre e ha vissuto nella sua carne l’essere Figlio, mostrandoci la nostra verità di figli e di fratelli. La carne, che è il principio della nostra vita, sarà il luogo nel quale vivremo la condizione di Figlio, la comunione col Padre che ci ha creato, la comunione col Padre verso il quale ritorniamo e la comunione coi fratelli. Questa è già vita eterna mentre viviamo il tempo della storia. Quindi il farsi carne della Parola – il Vangelo poi ci farà vedere questa carne del Figlio – non è altro che il rivelare a noi la via per diventare una cosa sola con Dio.

 

In Gv 16, 28 leggiamo come una sorta d’esplicitazione del prologo: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo. Ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre». Dall’eterno nel tempo storico, dall’essere al divenire, dalla Parola cosmica alla Parola incarnata. Grazie al Logos che s’incarna nel Kronos, tutti possono accedere al futuro escatologico descritto nel capitolo 22 del libro dell’Apocalisse. Di solito ciò che c’è in principio è anche ciò che c’è alla fine. Nella descrizione della venuta di Gesù in Ap. 22, si fa menzione al fiume d’acqua viva limpido come cristallo che scaturisce dal trono di Dio e dall’Agnello. Ritroviamo l’albero della vita presente anche nel principio genesiaco. Albero che l’uomo non può più mangiare a causa del peccato originale e che nel regno di Dio ridiviene accessibile a coloro che hanno il sigillo di Dio sulla fronte ed hanno lavato le loro vesti. È chiaro il riferimento al Battesimo. Nel verso 13 troviamo: «Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine». Alla luce di tutto ciò, dal verso 17ss. si legge: «Lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”. (…) “Sì, vengo presto!”». Intravediamo qui il matrimonio mistico tra Lo Sposo Gesù e la Sposa Chiesa costituita dai Figli di Dio. 

 

Natale festa dei bambini? Questa lettura sembra figlia di un certo buonismo svilente, tipico dei nostri tempi. Stando al Prologo, Natale è quell’irruzione dell’eterno nel tempo che sollecita ciascuno, opportunamente inquietato, ad una risposta esistenziale drammatica: Natale diventa, dopo il Prologo, il crocevia delle esistenze di ogni uomo. In tal senso è una festa molto virile e per nulla sdolcinata. Si tratta di una chiamata a raccolta verso una svolta esistenziale di ciascuno che si affacci alla finestra dell’eternità. È l’apertura di uno squarcio su una dimensione diversa riservata a quanti non si accontentano del kronos ma intravedono in esso un kairos decisivo nel percorso verso la propria santificazione.




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