CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

“Un po’ di pane e tre gocce di vino. Era la mia cattedrale”

9 Marzo 2020

(Foto: Cody Wheeler / Shutterstock.com)

Da oggi e fino a nuovo ordine niente Messa. Per nessuno. Tutti gli esercizi commerciali possono continuare la loro attività, a condizione di custodire le distanze previste dalle norme governative. Per le chiese invece nessuna concessione condizionale. Ma è possibile proibire la Messa?

Qualcuno sghignazza. A me viene da piangere. Da oggi e fino a nuovo ordine niente Messa. Non era mai avvenuto, neppure in tempi di guerra. Neppure quando le epidemie seminavano paura e morte. Proibire le Messe è un colpo al cuore. C’è qualcosa di strano in questo divieto. Tutti gli esercizi commerciali possono continuare la loro attività, a condizione di custodire le distanze previste dalle norme governative. Per le chiese invece nessuna concessione condizionale. Almeno questa è l’interpretazione ufficiale.

Il pensiero va subito al Novecento, un secolo segnato da grandi progressi sul piano dello sviluppo scientifico e tecnologico ma anche attraversato da inaudite barbarie. Tra gli autori il comunismo occupa il primo posto, distanziando di gran lunga tutti gli altri totalitarismi, come ha dimostrato il Libro nero pubblicato vent’anni fa da Stéphane Courtois. Dove il male allunga i tentacoli, Dio si diverte ad accendere piccole luci, segno di una fede che ha custodito la speranza e diventa un annuncio. Vi racconto due storie. 

La prima ha per protagonista Francesco Saverio Nguyen van Thuan (1928-2002) era vescovo di Hanoi (Vietnam) quando nel 1975 i comunisti conquistarono la città. Fu imprigionato per tredici anni, la maggior parte li ha passati in un totale isolamento. La sua cella era assai piccola e per giunta senza finestre. Viveva in condizioni disumane. È stato lui stesso a ricordare questa drammatica vicenda personale. Ascoltandolo, il cardinale Angelo Comastri, allora arcivescovo di Loreto, notava che nel racconto biografico non emergeva alcuna forma di risentimento, come se stesse parlando di qualcun altro. Per questo, stupito e sconvolto, gli chiese come aveva fatto a custodire la sanità mentale e come era uscito vittorioso da un’esperienza così terribile? Il Cardinale lo guardò con meraviglia, come per dire una cosa che a lui sembrava fin troppo scontata, e rispose con un sorriso: “L’Eucaristia!”. E raccontò lo stratagemma che aveva usato per poter celebrare l’Eucaristia. Gli diedero il permesso di scrivere ai suoi cristiani per chiedere le cose indispensabili, tra le altre cose chiese un po’ di vino per il suo mal di stomaco. I fedeli capirono e gli mandarono il vino per la Messa. E così, per molto tempo ha celebrato mettendo in una mano tre gocce di vino e una goccia d’acqua e nell’altra un’ostia: “e così celebravo ogni giorno la Santa Messa e mi sentivo in una cattedrale e il mio cuore si riempiva di gioia”. 

La seconda esperienza è quella della comunità cattolica ucraina durante i lunghi e durissimi anni della persecuzione. L’ha raccontata p. Pavlo Vyshkovskyy, un sacerdote originario di quella terra, in un libro che tutti dovrebbero leggere: Il martirio della Chiesa cattolica in Ucraina (2006), pubblicato in Italia dall’associazione “Luci sull’Est”. È una denuncia precisa e documentata della persecuzione subita dalla comunità cattolica. Pagine agghiaccianti che portano alla luce una storia che l’Occidente  ha dimenticato troppo in fretta. In quelle pagine emerge la testimonianza di un popolo che non ha mai abbandonato la fede anzi ha trovato in essa la forza per resistere al male. Ed emerge, in particolare, uno straordinario amore per l’Eucaristia. Durante gli anni duri della persecuzione erano pochissime le chiese aperte, la maggior parte dei sacerdoti uccisi o confinati nei lager. La gente era disposta a fare anche decine di chilometri pur di ricevere il Corpo del Signore. A volte dovevano attendere anni prima di avere questa possibilità. Una giovane dottoressa per non perdere il lavoro, appena possibile, appena possibile si recava a Leopoli (500 km da casa) per confessarsi e ricevere la santa Comunione. 

Un sacerdote, incarcerato per anni in un lager, porta questa esperienza: “Penso che chi non si è trovato mai nell’impossibilità di celebrare o ascoltare la S. Messa non apprezzi quale grande tesoro sia la Messa! Per me e per gli altri sacerdoti, che nell’Unione Sovietica abbiamo rischiato per celebrarla, ha un valore immenso. Nel carcere, quando eravamo affamati perché il cibo bastava solo a tenerci vivi, vedevo che i sacerdoti per salvare il digiuno eucaristico saltavano la colazione e lavoravano a stomaco vuoto fino a mezzogiorno; l’ora più adatta per celebrare clandestinamente la S. Messa. […] Scoperti eravamo severamente puniti, ma per noi la Messa era un tesoro, per cui valeva la pena fare qualsiasi sacrificio” (p. 81).

Testimonianze come queste ci fanno vergognare della nostra poca fede ma, nello stesso tempo, ci stimolano a vivere con maggiore consapevolezza l’esperienza eucaristica. Solo una fede audace e pronta ad ogni sacrificio può vincere il mondo. Battere in ritirata, prima ancora della battaglia, è da stupidi. Sapere che, prima di noi, tanti battezzati hanno dato la vita per custodire quel Vangelo che è giunto fino a noi, ci rende più responsabili e c’impegna a non annacquare la fede in un mare di belle parole.

Verranno giorni in cui lo Sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno”: queste parole risuonano all’inizio del tempo quaresimale, come un annuncio e un monito, rimandano alla passione di Gesù e ai tempi in cui la croce riappare nella storia, personale e collettiva. Sappiamo bene che il Risorto accompagna i nostri passi, ci fidiamo della sua promessa. E tuttavia, la Messa è il banchetto nuziale. Senza la Messa non possiamo fare festa. Accettiamo l’assenza forzata ma non ci rassegniamo. E chiediamo di prevedere corridoi eucaristici per tutti coloro che chiedono con fede di poter gustare la fragranza di quel Pane che dà vita.




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2 risposte su ““Un po’ di pane e tre gocce di vino. Era la mia cattedrale””

GRAZIE per questa riflessione. Possa lo Spirito Santo colmare e ispirare i nostri vescovi per la salvezza del popolo a loro affidato. Gesù, aiutaci!

Caro don Silvio, queste testimonianze sono preziosissime, è il sangue dei martiri, grazie di ricordarle. Mi domando come mai i Vescovi non si siano “accontentati” delle norme igieniche tra cui la distanza di un metro, niente strette di mano, etc. considerando che nessuna autorità civile in Italia può vietare il culto comunitario, o non vale più il Concordato e dobbiamo dire che oltre al virus abbiamo importato dalla Cina ben altro male?

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