CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Una Chiesa che s’inginocchia. Per il bene di tutti

30 Marzo 2020

Chiesa

Una chiesa aperta offre l’immagine di un Dio che ha le braccia sempre spalancate, desideroso di accogliere tutti. È annuncio di quella Gerusalemme celeste le cui porte “non si chiuderanno mai” (Ap 21,25).

Ieri pomeriggio sono uscito. Lo confesso. Il ministero sacerdotale mi impone di portare consolazione a chi ne ha più bisogno. Le strade erano vuote, pochi anche i controlli, la gente tappata in casa. Chiuse anche le chiese che ho incontrato lungo il mio itinerario. In altri tempi avrei sentito il suono festoso delle campane che invitavano a Messa e avrei visto tanti recarsi nel luogo sacro, alcuni solo per abitudine ma altri con il desiderio sincero di non perdere l’appuntamento con il Signore della vita. Niente di tutto questo. Le chiese sprangate, neanche un prete a far compagnia al suo Signore, anche lui chiuso in casa in attesa che passi la tempesta. 

Capisco tutto, comprendo che occorre esercitare l’arte della prudenza e della pazienza ma questo spettacolo mi ha rattristato e addolorato. Una chiesa aperta offre l’immagine di un Dio che ha le braccia sempre spalancate, desideroso di accogliere tutti. È annuncio di quella Gerusalemme celeste le cui porte “non si chiuderanno mai” (Ap 21,25). Quei pochi che vi entrano avranno la gioia di trovare qualcuno in preghiera, segno di una Chiesa che s’inginocchia ai piedi del Signore, affidando a Lui le lacrime e i sospiri dell’umanità, le inquietudini e i desideri. Una Chiesa che non cade nella sterile agitazione né si lascia prendere dalla paura ma, proprio nel momento più critico, rende testimonianza che “se il Signore non costruisce la casa invano si affaticano i costruttori”, come dice il Salmo.

Alcuni preti lo hanno capito, hanno lasciato le chiese aperte e hanno anche cercato di garantire una presenza, pronti a dire una parola e, perché no, anche a donare quel Pane eucaristico che, per noi, rappresenta il primo dei beni. Grazie a questi presbiteri e a quei laici che non si sono chinati al diktat di un Potere che, usando i guanti gialli, vuole a tutti i costi restringere la libertà religiosa. La loro semplice e umile audacia conforta e sollecita i cristiani più tiepidi e paurosi. 

Leggi anche: La dolorosa privazione dell’Eucaristia

Dinanzi alla paura del contagio, anche la fede sembra ritirarsi. Eppure, la stessa paura non impedisce alla gente di fare lunghe file per entrare nei supermercati o negli uffici postali. Si dirà che si tratta di cose necessarie. Appunto. In questo tempo siamo chiamati a capire che cosa è veramente necessario, di cosa abbiamo bisogno per vivere. A Marta che si lasciava dominare dalle cose da fare, Gesù ricorda che “di una cosa sola c’è bisogno” (Lc 10,42). Nei tempi ordinari, quando tutto va bene, quando non manca niente, possiamo leggere questo Vangelo senza sussulti. Ma nelle condizioni in cui ci troviamo, diventa una provocazione. E non solo questo brano. Proviamo a rileggere le parole del Vangelo, scopriremo che hanno un altro sapore e un altro valore. Ogni parola diventa una sfida per il nostro buonsenso, per le nostre ragionevoli… ragioni, per le nostre troppo comode scuse. 

Non c’è solo la fila dei supermercati, ci sono anche le Caritas che attuano una concreta solidarietà per venire incontro alle famiglie più povere del territorio. Un lavoro capillare che consiste nel preparare i beni di prima necessità, chiamare le famiglie perché vengano a ritirare la spesa o portarle nelle case. Un’opera meritoria che trova il plauso di tutti e le telecamere dei TG, pronti a immortalare questo volontariato che viene attivato anche nei tempi della pandemia e quindi si rivela oggettivamente più rischioso. Niente di strano. Queste persone possono muoversi senza difficoltà. Ed è giusto perché offrono un servizio sociale. Nessuno interviene per limitare la libera circolazione della carità, salvo quelle regole che tutti devono e vogliono osservare per la garantire la propria incolumità.

Ma allora, non mi spiego perché non sia possibile celebrare Messa alla presenza di un numero ristretto di fedeli. Forse andare in chiesa, che oggi è in gran parte deserta, è più rischioso che frequentare un supermercato di media grandezza dove ogni giorno passano almeno mille persone? O forse i presbiteri sono così incapaci da non saper rispettare le previste norme igienico-sanitarie? Non capisco perché sia possibile attuare la spesa sospesa e non sia possibile concedere a quelli che lo desiderano di ricevere l’Eucaristia al di fuori della Messa. 

Nessuna indicazione è giunta in proposito dai nostri vescovi se non la frettolosa decisione di rinunciare alla Messa, senza colpo ferire, senza neppure aprire un confronto serio, senza tentare di capire se vi sono alternative da mettere in campo. Possibile che in tutti gli altri ambiti considerati vitali sia possibile individuare le giuste modalità mentre quando si tratta della vita orante e sacramentale dobbiamo chiudere i battenti senza neppure fiatare? Evidentemente, c’è qualcosa che non va. E se finora nessuno si è ribellato ad alta voce è solo in nome della comunione ecclesiale, un bene da custodire e coltivare con impegno serio. 
Può darsi che il prolungarsi dell’emergenza conduca la Chiesa a rivedere una posizione che io ritengo eccessivamente mite, per usare un eufemismo, e subordinata ad un potere civile che, come si può leggere nella recente Nota del Ministero degli interni, afferma la libertà di culto – com’è buono lei, avrebbe detto Fantozzi – ma pretende di dire chi e perché deve partecipare alla Celebrazione. Un’invadenza intollerabile. La Chiesa ha alle spalle una storia bimillenaria, non può e non deve lasciarsi intimorire. Non per custodire la fede di pochi ma per promuovere il bene di tutti.




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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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