CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Una scienza cieca e priva di umanità. Diamo voce alla vita

18 Gennaio 2021

gravidanza

Una lettera, un colloquio per la vita fatto per caso un giorno, durante il lavoro. Parole di speranza che lo Spirito mette sulle labbra di una mamma che parla ad un’altra mamma. Basta poco e il miracolo della vita si rinnova. Sì, perché il miracolo non è una vita sana ma la grazia di essere accolto e amato. Sempre.

Caro don Silvio,

oggi il Signore mi ha fatto il regalo più bello che potessi immaginare, l’ho ricevuto proprio durante il mio lavoro che, come tu sai, è sempre infarcito di rumori e chiacchiere.

È venuta una cliente che non vedevo da un po’ di tempo, scherzando le ho detto che la trovavo un po’ in sovrappeso. Mi ha detto di essere incinta del suo 4 figlio. Ha aggiunto che fino alla settimana scorsa portava in grembo due gemelli, uno è morto per cause naturali, si prepara ad abortire il secondo a causa della toxoplasmosi che gli è stata diagnosticata. Ne parlava come se fosse la cosa più naturale, come un normale passaggio sanitario.

Rimango di stucco!

Non sapevo come fare, il negozio era piena di gente. Ho iniziato a pregare in silenzio, dentro le voci che mai come in quel momento mi parevano assordanti. Avevo sempre sentito spesso parlare dei colloqui per la vita ma fino ad oggi non ne avevo mai fatto uno. Non sapevo da dove partire né cosa dire. Ho chiesto allo Spirito di donarmi le parole giuste. La invito a prendere un caffè e inizio a parlare con il cuore, da mamma a mamma… non servono nozioni per parlare di maternità e di figli.

Mi ha ascoltato con grande attenzione, in fondo le dicevo quello che già sapeva. Ha pianto tanto con me. Mi ha riferito che era stato proprio il suo medico a consigliarle di non mettere al mondo un bambino che avrebbe tanto sofferto nella vita. Le ho consegnato parole che mai avrei pensato di poter dire, parole che Dio ha messo nel cuore e sulle labbra. Le ho fatto capire che questo figlio è una luce di speranza. Le ho detto di pensarci bene: “Sei tu la madre e solo tu puoi decidere se ucciderlo o dargli la vita”. Mi ha abbracciato. Ho pianto con lei.

Le ho detto di non sentirsi sola, ho promesso che l’avrei sostenuta e accompagnata nei mesi futuri. È andata via. L’ho accompagnata con lo sguardo. Poco dopo mi ha scritto un messaggio bellissimo: fino ad oggi tutti le avevano consigliato di uccidere quel bambino, io ero stato l’unica a scrivere nel suo cuore parole di speranza, quelle che lei voleva ascoltare.

Ti assicuro che pregherò ogni giorno per questa mamma e la sua creatura, sento che il buon Dio li ha affidati a me. Questo colloquio è per me come un segno, mi invita a fare ancora più attenzione alle persone che incontro ogni giorno, ciascuno porta nel cuore un dolore o una ferita. Mi sento chiamata a seminare parole di speranza.

Caro don, chiedo anche a te di pregare, questa vicenda è ben lontana dall’essere conclusa. Senza il cammino di fede, che mi ha insegnato l’amore per la vita nascente, non avrei avuto il coraggio di intervenire. Oggi comprendo ancora meglio che la fede è seme di umanità.

Nunzia

La lettera di questa amica è giunta agli inizi del nuovo anno, come uno squillo di tromba, un piccolo segno di vita, come il sussulto di Giovanni Battista nel grembo della madre (Luca 1,44). Un giorno qualsiasi, durante il lavoro abituale, una chiacchierata tra amiche… diventa l’occasione per annunciare che quel bambino, ancora nascosto, ha diritto di vedere la luce e di vivere la sua storia. Nessuno ha il diritto di soffocare la sua voce.

Nella vicenda di questa donna c’è un punto dolente, particolarmente triste ai miei occhi: nessuno ha preso le difese di quel bambino, nessuno lo ha riconosciuto come un bambino. Neppure il ginecologo che conosce bene la verità oggettiva. Tutti hanno paura dei possibili danni che la toxoplasmosi può generare in un corpo che si va formando. È solo un’eventualità, d’altra parte è impossibile fare una diagnosi. Il semplice sospetto basta per soffocare la vita. È sempre la paura a comandare, in questo caso la paura di far soffrire, come se la sofferenza, ogni tipo di sofferenza, fosse sempre e solo una condizione catastrofica. Una plateale menzogna spacciata per realtà. Una fake news che nessuno denuncia.

Andrea Bocelli è nato nel 1958, cieco fin dalla nascita, appena in tempo, prima di quella cultura che oggi pretende di eliminare ogni patologia. Siamo nelle mani di una scienza cieca e muta, incapace di vedere e di parlare, una scienza sempre più alleata con la tecnica e sempre più priva di quella sapienza umanistica che ha fatto dei Paesi che si affacciano sul mare magnum un faro di civiltà nella storia.

La vicenda non si è conclusa con quel primo colloquio, il medico appariva irremovibile e scaricava tutte le responsabilità sulla povera donna. Niente di nuovo sotto il sole, lavarsi le mani e attribuire agli altri la colpa è cosa antica. Il più famoso di tutti è certamente quel Governatore della Giudea che ogni domenica viene chiamato in causa: “Patì sotto Ponzio Pilato”, diciamo nel Credo. Un errore che gli costa caro. Non mi pare che la sua vicenda sia un simbolo di saggezza e di imparzialità. Dovremmo ricordarlo a molti medici che, con estrema leggerezza, si lavano le mani dinanzi alle tragedie che contribuiscono a causare.

Era dunque necessario interpellare un altro medico che unisce scienza e coscienza, un medico di lungo corso che lavora presso una struttura sanitaria di primissimo livello. Abbiamo preso noi l’appuntamento, l’abbiamo accompagnata, il professore le ha dato speranza ma non illusioni, per ora non ci sono anomalie, è ovvio che la gravidanza deve essere attentamente monitorata. In fondo è questo il compito dei medici: sono chiamati ad amare e servire la vita, sempre e comunque. Dopo il colloquio con il medico la mamma in attesa chiama Nunzia e le dice, piangendo, che metterà al mondo quel bambino, è figlio suo come gli altri. Attendiamo e preghiamo.

Il racconto della mia amica continua: “Questa esperienza mi ha segnato e mi ha insegnato tante cose, ho capito che quel bambino aveva bisogno di me, il Signore della vita ha voluto utilizzare la mia flebile voce per difenderlo dagli attacchi di una società ingiusta. Ho capito che Dio si fida di me e che ciascuno di noi può essere un apostolo della vita, anche nelle situazioni più ordinarie”. È proprio così! La paura rende ciechi. L’amore dona l’audacia di essere apostoli della vita. Niente di più bello.

Don Silvio




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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