CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Quelli della porta socchiusa. Le oasi di accoglienza…

6 Settembre 2021

cuore

Non è facile aprire le porta di casa per accogliere due bambini nel tempo più duro della pandemia, quando tutti facevano a gara a chiudere porte e finestre. Non è facile accogliere bambini che portano nella carne ferite che li rendono particolarmente fragili e bisognosi di cure. Se alcuni ci riescono è solo grazie a Dio.

C’è la santità della “porta accanto”, per usare un’espressione di papa Francesco, e c’è la santità della porta socchiusa, quella di chi ha fatto dell’accoglienza lo stile abituale della sua vita e resta sempre vigilante per non perdere l’appuntamento con la carità e con quel Dio che si nasconde nel volto dei più piccoli. 

Pensavo a questo mentre ascoltavo Roberta che, ad un incontro dei catechisti della Fraternità di Emmaus, raccontava l’esperienza delle oasi di carità che accolgono minori e madri con figli. Sposa e madre di cinque figli, insieme alla sua famiglia da otto anni ha scelto di lasciare le comodità della casa per vivere la carità a tempo pieno. Da quattro anni la sua esperienza è ancora più ampia perché coordina il lavoro delle altre oasi di accoglienza della Fraternità. Invece di dare numeri, che pure sono significativi, ha preferito raccontare storie di chi ha scelto di fare accoglienza e di quei bambini che hanno trovato e sperimentato per la prima volta l’abbraccio e il calore di una famiglia. Storie commoventi che fanno intravedere i miracoli che Dio compie servendosi del poco che noi gli diamo.

Leggi: Se è accoglienza per tutti, dovremmo evitare due pesi e due misure 

In effetti, si apre all’accoglienza non chi si sente capace ma chi crede che Dio sia capace di rivestire di amore la nostra umana fragilità. Vivere con la porta socchiusa significa anzitutto permettere a Dio di entrare con assoluta libertà. È Lui che cambia il nostro sguardo, è Lui che dona il coraggio e la forza di fare accoglienza, per Lui accettiamo di vivere in una continua precarietà per rispondere agli appelli della carità, anche quelli che arrivano nei momenti più difficili. 

Non è facile aprire le porta di casa per accogliere due bambini nel tempo più duro della pandemia, quando tutti facevano a gara a chiudere porte e finestre. Non è facile accogliere bambini che portano nella carne ferite che li rendono particolarmente fragili e bisognosi di cure. Non è facile accogliere bambini che fin dalla nascita sono soggetti alle crisi di astinenza a causa della droga di cui faceva uso la madre. Non è facile accogliere una donna emotivamente ferita e psicologicamente labile e perciò incapace di dare ai figli quello di cui hanno bisogno. Dinanzi ai drammi della vita, specie quelli che subiscono i più piccoli, è impossibile non percepire un’intima e dolorosa tristezza che, a volte, si traduce in una silenziosa ribellione contro le tante ingiustizie che accompagnano la vicenda umana. Senza una particolare grazia di Dio non è possibile restare al proprio posto e continuare a fare con serenità tutto il bene possibile. 

Non è facile non tanto per l’oggettiva fatica fisica, che pure dobbiamo mettere in conto, quanto per quella psicologica che rischia di affossare la buona volontà e costringere al ritiro anticipato. 

Le parole di Roberta mi hanno permesso di ripercorrere con il cuore i tanti passi di una storia che da 25 anni riempie di gioia e di affanni la mia vita e quella di tanti sposi e consacrati che hanno accolto la sfida dell’accoglienza. Ho ringraziato il buon Dio che ci ha permesso di iniziare a vivere l’avventura della carità senza misurare i passi e le fatiche. L’ho ringraziato per tutti coloro che hanno avuto il coraggio di mettersi al servizio gratuitamente; e per tutto il bene che in questi anni abbiamo ricevuto e donato, per tutti i gesti e le parole che abbiamo seminato con generosità, per la carità fiorita e anche per quella fatica che non ha portato i frutti sperati. 

L’oasi di accoglienza non è semplicemente un luogo in cui la carità diventa legge. E sarebbe già tanto! È molto di più. È un silenzioso annuncio della fede, un segno visibile di quel Vangelo che chiede di costruire una storia in cui fede e carità s’intrecciano e si sostengono reciprocamente: da una parte sperimentiamo che la fede non può fare a meno di tradursi nella carità più concreta; e dall’altra impariamo che, senza la fede, la carità si troverebbe ben presto priva della sorgente da cui scaturisce ogni impegno e che sostiene ogni fatica. 

Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13,2). Così scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei. È questa la certezza della fede. Fare accoglienza non significa soltanto rispondere alle necessità dei fratelli più piccoli e fragili ma vivere immersi in una storia in cui Dio stesso si fa presente. Ed è questa la gioia più grande. 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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