RECIPROCITÀ IN FAMIGLIA
Reciprocità e responsabilità all’interno della famiglia
di Massimiliano Padula, Sociologo, Pontificia Università Lateranense
Abbiamo ricevuto una lettera dal Prof. Massimiliano Padula, Sociologo, docente presso la Pontificia Università Lateranense. Egli si interroga su maternità, paternità, responsabilità e reciprocità all’interno della famiglia. Crediamo che le sue parole possano offrire spunti per un dibattito su questi argomenti sempre attuali.
Gentile direttrice,
vorrei sottoporle una riflessione sulla situazione attuale della famiglia.
Nel 1955 il sociologo americano Talcott Parsons pubblicava (insieme al collega psicologo Robert Bales) “Famiglia e socializzazione”, uno studio in cui analizzava la famiglia nucleare, quella formata da un marito, da una moglie e dai figli. Quello elaborato da Parsons è un modello che riflette appieno le caratteristiche della modernità otto-novecentesca: anzitutto “l’isolamento” rispetto a relazioni allargate tipiche delle comunità premoderne. E, in secondo luogo, “la differenza netta tra marito e moglie”: il primo, portatore di reddito attraverso un lavoro salariato, la seconda, relegata all’ambito domestico e alla cura dei figli. Secondo lo studioso, questo prototipo famigliare rappresentava un ordine logico perché le donne tendono naturalmente a occuparsi degli altri, mentre gli uomini sono predisposti atavicamente all’approvvigionamento di risorse per sostentare i congiunti. Ci sono voluti decenni per destrutturare questa visione stereotipata. Oggi, nonostante permangano ancora differenze, la percentuale di donne che studiano, si laureano e lavorano è in continuo aumento. Eppure, la distinzione dei ruoli intra-familiari risulta, in molti casi, ancora basato sui retaggi tradizionali. Uno spunto per riflettere sul legame tra famiglia e contemporaneità nasce dal post pubblicato (e poi cancellato) su Facebook dalla moglie del sindaco di Rieti che si lamenta di essere lasciata da sola di notte a badare al figlio di un anno mentre il suo consorte era “a far serata”. È una richiesta legittima che ogni coppia alle prese con un neonato ha vissuto, così come è legittima la necessità di star fuori per far fronte a impegni pubblici. Ma, nella stragrande maggioranza dei casi, a rimetterci è la madre, chiamata ad assumersi carichi e responsabilità sproporzionati e in contrasto con il suo ruolo di donna che rimane collocato in perimetri di rinuncia e sempre “un passo indietro” a quello dell’universo maschile.
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Altro approfondimento riguarda la genitorialità in generale. Come ogni scelta dotata di stabilità, anche il decidere di generare una vita è in controtendenza con una realtà sociale accelerata che offre certamente nuove opportunità di affermazione del sé. Però rischia di comprimere “l’essere per qualcun altro” come avviene nel caso di una mamma o di un papà che, invece di essere felici del dono infinito che un figlio rappresenta, rischiano di vivere la loro condizione con frustrazione e pentimento. Le vie di uscita ci sono, ma elencarle asetticamente è un’operazione inefficace. Ciò che è importante evidenziare è che l’investimento e la valorizzazione della famiglia passano anzitutto da due direttrici: una “strutturale”, l’altra “culturale”. A cosa serve concedere assegni, bonus, detrazioni se poi non si percepisce il valore sociale e politico della maternità e della paternità? Nello stesso tempo, che utilità ha insistere sulla necessità di fare figli quando sono assenti politiche di sostegno agli stessi? Struttura e cultura sono quindi due variabili interdipendenti che dovrebbero essere acquisite quando si parla, si ricerca, si legifera su quella che il sociologo Pierpaolo Donati definisce il “genoma che fa vivere la società”. Che non sarà mai il luogo della perfezione, ma sicuramente è l’unica opportunità concessa all’umanità per rinnovarsi, crescere, rigenerarsi e continuare a esistere.
Massimiliano Padula
Sociologo, Pontificia Università Lateranense
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