CORRISPONDENZA FAMILIARE

La fede di un popolo cambia la storia

31 Luglio 2023

Ogni pellegrinaggio ha una sua particolarità. Recarsi in Polonia vuol dire respirare la fede di un popolo, ripercorrere la storia di una Nazione che ha fatto del cristianesimo il centro e il cuore della sua vita e della sua cultura.

Cari amici, 

vi scrivo dalla Polonia, oggi termina un pellegrinaggio che ho vissuto assieme ad un numeroso gruppo di amici – sacerdoti e sposi, giovani e meno giovani. C’erano anche tre famiglie al completo, genitori e figli. Impossibile raccontare un’esperienza così ricca ma posso almeno condividere alcuni spunti di questa bella avventura. 

Un pellegrinaggio è anzitutto un’esperienza di fede, è un viaggio nei luoghi visitati dalla grazia ma soprattutto un cammino interiore di conversione. Non è solo la curiosità di vedere luoghi o di sapere fatti, ma il desiderio di conoscere quello che Dio ha detto e ha fatto attraverso eventi e persone. Un’esperienza come questa suscita inevitabilmente il desiderio di rileggere la propria vita per capire quello che oggi chiede a noi, quello che abbiamo fatto e quello che siamo chiamati a realizzare. Un pellegrinaggio non tocca superficialmente le emozioni ma scava dentro di noi, lascia parole e immagini, pensieri e propositi. 

Ogni pellegrinaggio ha una sua particolarità. Recarsi in Polonia vuol dire respirare la fede di un popolo, ripercorrere la storia di una Nazione che ha fatto del cristianesimo il centro e il cuore della sua vita e della sua cultura. La Polonia è saldamente legata all’Europa ma c’è un particolare episodio che lega la storia del nostro continente alla nazione slava. Vienna era assediata dai turchi da due mesi, la città austriaca era l’ultimo baluardo dell’Europa cristiana. Il re polacco Giovanni III Sobieski decise di agire e con un intervento militare geniale sconfisse l’esercito musulmano. Era il 12 settembre 1683. In ricordo di quella storica vittoria, attribuita alla Vergine Santa, Papa Innocenzo XI istituì la festa del Nome di Maria. 

La storia della Polonia è quella di un popolo che ha difeso la sua libertà a prezzo di grandi sofferenze. Un popolo che poco più di trent’anni fa ha riconquistata la sua indipendenza, dopo quattro decenni di dominio sovietico. La Polonia è stato il primo Paese del blocco comunista a liberarsi dal dispotismo di un regime che aveva soppresso la libertà di pensiero. Nel 1989 Solidarnosc, lo storico sindacato guidato da Lech Walesa, vinceva le elezioni e apriva un capitolo nuovo nella storia europea, culminato di lì a poco con la caduta del muro di Berlino. 

Il primo passo del nostro pellegrinaggio ci ha portato a Varsavia, sulla tomba di due pastori, entrambi beatificati: Stefan Wyszynski (1901-1981) e Jersy Popiełuszko (1947-1984). Il primo vescovo e cardinale, il secondo un umile prete. Due pastori che, in modi e forme diversi, sono stati una luce per la comunità ecclesiale, hanno messo in alto il Vangelo in modo che potesse far luce a tutti quelli che stanno nella casa. Il card. Stefan Wyszynski è stato un’immagine fedele del buon Pastore, ha guidato con saggezza la Chiesa polacca per più di trent’anni (1948-1981. Ha saputo custodire l’umile fede del popolo e libertà religiosa durante gli anni di un comunismo che governava con pugno di ferro. Wyszynski è morto agli inizia degli anni ’80 ma ha posto le basi per quella libertà riconquistata pochi anni dopo. 

Padre Jersy Popiełuszko è un semplice vicario parrocchiale. Aveva una salute fragile e non sembrava dotato di particolari capacità. La sua vita cambia nell’estate 1980 quando iniziano le proteste degli operai non per chiedere un aumento salariale ma per ottenere il rispetto della dignità e spazi di libertà. Come un novello Davide, don Jerzy fu inviato a celebrare una Messa in mezzo agli operai. Così inizia il suo ministero pubblico. Non è lui che ha scelto di andare, quel giorno tutti i preti erano già impegnati non rimaneva che lui, l’ultimo arrivato. Senza volerlo, si trova in mezzo alla rivoluzione silenziosa di un popolo che, con mezzo assolutamente pacifici, riuscirà a sconfiggere la prepotenza e la violenza del comunismo. Colui che lo aveva inviato gli ha dato anche le risorse per svolgere il suo ministero. Usava le armi di ogni prete: Messa e Rosario. E tuttavia, la sua voce divenne scomoda, sempre più scomoda, fino al punto da decidere di ucciderlo. La sua vicenda ripercorre quella di Gesù. Quando Giovanni Paolo II andò a pregare sulla sua tomba disse: “Come Cristo, il suo sangue ha salvato l’Europa”. La sua vicenda è esemplare: ha predicato e testimoniato il bene fino a quando due sicari del regime comunista non l’hanno torturato e ucciso selvaggiamente. “Io mi sono offerto e non mi tiro indietro”, disse un giorno don Jersy. Era cosciente che la sua missione poteva concludersi nel sangue ma, seguendo le orme del suo Maestro, ha continuato, fino a pagare con la vita l’amore per i fratelli. È un martire che attraverso il suo cammino di sofferenza si rese sempre più simile a Cristo sofferente nella via della Croce. 

In questi giorni abbiamo potuto rileggere, sia pure per rapidi accenni, l’esperienza di Giovanni Paolo II e suor Faustina Kowalska. Sono personaggi che non hanno bisogno di presentazioni anche se spesso la nostra conoscenza si ferma alla superficie e non intravede o non si sofferma abbastanza sulla fatica della fede che ciascuno di loro ha vissuto. 

Giovanni Paolo II e suor Faustina non si sono mai incontrati: il giovane Karol Wojtyla arrivava a Cracovia nel settembre 1938, proprio nei mesi in cui la giovane suora concludeva la sua vita terrena nel convento di Lagiewniki, un quartiere alla periferia di Cracovia. E tuttavia, tra questi due straordinari testimoni della fede ci sono legami profondi. Il primo di natura mistica. Nel suo Diario santa Faustina riporta una visione in cui Gesù le dice: “Amo la Polonia in modo particolare e se ubbidirà al mio volere l’innalzerò in potenza e santità. Da essa uscirà la scintilla che preparerà la mia ultima venuta”. Nulla vieta di pensare che sia proprio Giovanni Paolo II questa scintilla. In fondo il suo pontificato è stato un segno grandioso della Provvidenza di Dio per questo nostro tempo, di fatto ha tracciato una via sulla quale tanti altri si sono incamminati con decisione. Il ministero di questo figlio della nazione polacca si inserisce a pieno titolo nel piano divino che affida alla Polonia un posto non secondario nella difesa e nella diffusione della fede. 

D’altra parte, dobbiamo riconoscere che proprio grazie a Giovanni Paolo II la testimonianza di Suor Faustina ha avuto il sigillo della Chiesa e un’eco mondiale: è stato lui, infatti, da vescovo di Cracovia, ad avviare la causa per il riconoscimento della santità e a portarla a compimento nel ’93 con la beatificazione e nel 2000 con la canonizzazione. 

Nella storia drammatica del ventesimo secolo, che ha visto esperienza particolarmente dolorose, il Signore ha acceso la luce della santità per orientare il cammino della Chiesa e dell’umanità. Nel Novecento la Polonia, unica tra le nazioni europee, ha sperimentato sulla sua pelle sia i soprusi del nazismo che quelli del comunismo, regimi diversi che hanno tentato di soffocare il cristianesimo, senza farsi troppi scrupoli circa i metodi da usare. Sr Faustina non ha visto con gli occhi della carne questi esiti drammatici ma ha certamente “saputo” qual era la posta in gioco. Tutto il suo messaggio è un invito a trovare nella misericordia divina la luce di cui l’uomo ha bisogno per vincere gli orrori ed evitare altri errori. Giovanni Paolo II, invece, è stato testimone oculare di entrambi i regimi ed ha visto come, al di là delle diverse connotazioni ideologiche, nazismo e comunismo avevano lo stesso disprezzo per l’uomo. 

Il cardinale Wyszynski, padre Popiełuszko, Giovanni Paolo II, santa Faustina e tanti altri testimoni che Dio ha donato alla Chiesa, sono persone di indubbio valore, luci spirituali in un secolo che ha conosciuto le tenebre dell’orrore. Eppure, la loro testimonianza fa parte di una storia più grande, sono figli di una storia, loro stessi si sentono parte di un popolo, sono il megafono di Dio, la loro voce amplifica quella dell’intera Nazione. Grazie a loro possiamo guardare più lontano. 

Un pellegrinaggio come questo ha tante cose da dire. Ma soprattutto mette nel cuore tante cose da dire e da fare. È un’esperienza che mette in cammino, dona il gusto e la gioia di fare di tutta la vita un pellegrinaggio che troverà il suo sigillo nell’abbraccio di Dio.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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