La violenza sessuale vista dalla cattedra: ecco perché c’entra la pornografia

6 Settembre 2023

scuola

I fatti di Palermo e Caivano non possono essere catalogati come “casi isolati”. Lo vedo da insegnante: la pornografia sta cambiando lo sguardo dei nostri ragazzi. Si chiede giustamente alla scuola di intervenire dal punto di vista educativo e chi lo fa, talvolta, dimentica che questa è popolata anche da persone adulte che, ultimamente, hanno lo stesso approccio problematico dei ragazzi…

Nell’ultimo mese è esplosa sui media una questione che potremmo definire della sessualità deviata. I due violenti stupri collettivi di Palermo e Caivano sono stati i detonatori che hanno fatto saltare il coperchio a quello che si sta rivelando un vero e proprio vaso di Pandora che contiene anche i numerosi atti di violenza di uomini contro donne e femminicidi. La reazione dell’opinione pubblica è stata di sconcerto, stupore, indignazione. Sono arrivate sulle pagine dei giornali le analisi degli esperti di sociologia. 

I giornalisti hanno intervistato la gente comune che, come di solito in questi casi, ha manifestato impreparazione. 

Il tono di costoro è esemplificato dalla domanda: possibile che possano esistere tali manifestazioni di squallore nelle nostre città, tra i nostri giovani? 

Ovviamente sono arrivati i propositi ed i proclami per risolvere il problema, come se fosse una cosa di poco conto e facile da ottenere. L’approccio sociologico è di sua natura omologante per cui è necessario premettere che non tutte le persone sono da ascrivere ad un certo gruppo. Un aspetto di questi fatti, in particolare, colpisce. È ancora molto diffusa l’idea che si tratti di episodi gravissimi ma, tuttavia, limitati a pochi casi riconducibili a situazioni di disagio sociale. A parziale rassicurazione, per chi ha questi pensieri, sono giunte le notizie secondo le quali, alcuni dei giovani che hanno partecipato alle azioni violente, sembrano appartenere a famiglie colluse con la malavita, di livello sociale basso. Quasi a voler affermare che, sì, la situazione è grave, ma non riguarda tutti. Il disagio persisterebbe in ambienti malandati contro i quali è giusto che ci si rivolti. Ma, tutto sommato, non riguarda tutti noi. E quindi sembra vincere la tentazione dell’autoassoluzione sociale.

Sarà pure vero! Tuttavia, osservando il fenomeno dalla cattedra, non sono d’accordo. Nelle mie classi insegno scienze e, da programma, affronto anche l’apparato riproduttore. Iniziamo con quello dei vegetali, degli insetti e, infine, degli animali. In terza si affronta la riproduzione umana. Negli ultimi anni ho notato un cambiamento di non poco conto. Fino a pochi anni fa, la parola sessualità

generava sorrisini di disagio. Oggi, ma già da qualche anno, tale parola, soprattutto se pronunciata con una certa serenità liberante, induce ben altre reazioni. Sempre più spesso attiva reazioni al limite del morboso. 

Quasi tutti i ragazzi sono, giustamente, ancora diffusamente ignoranti, ma sempre più spesso ostentano una certa familiarità con questi temi. Credono di sapere, ma alla fine non sanno. Perché credono di sapere? Perché quasi tutti, già in prima media e chissà da quando hanno avuto accesso a video porno attraverso gli smartphone. E questo genera problemi seri agli adulti, figurarsi agli adolescenti! 

Guardando il mondo dalla cattedra, dico che, probabilmente, il peggio non è ancora arrivato. E il problema riguarda anche le ragazze. Da qualche tempo, il mondo femminile ha scelto di seguire alcuni ideali sessuali tipicamente e beceramente maschili. Pochissimi anni fa, mia figlia raccontava di ragazze del liceo che discutevano di come esercitarsi per i rapporti orali. Qualche mese fa, un mio alunno delle scuole medie esibiva sul proprio stato social una foto in cui, da sedicente macho quale si ritiene, palpeggiava la fidanzatina, che mostrava di esserne contenta. Si tratta di una cultura, ormai, che pervade la testa di molti ragazzini, sia maschi che femmine. Nelle nostre terze medie si fa fatica a tenere in classe le ragazzine “vestite”. 

Bisogna lottare per spiegare loro che la classe non è il luogo per l’ostentazione del fisico, per ammiccare al belloccio di turno che di suo è già alle prese con una tempesta ormonale di difficilissimo controllo.

Eppure, arrivano così a scuola. Non se ne può parlare senza creare qualche disagio e questo è un problema. Il rischio di passare per censori è molto alto ed esiste la possibilità di montare un colossale fraintendimento che si rivelerebbe peggiore del problema. Si chiede giustamente alla scuola di intervenire dal punto di vista educativo e chi lo fa, talvolta, dimentica che questa è popolata anche da persone adulte che, ultimamente, hanno lo stesso approccio problematico dei ragazzi. Più di qualche sociologo parla di “adultescenza” per definire questi adulti che rinnegano il proprio ruolo per provare a giocare a fare l’adolescente. 

Leggi anche: Vuoi imparare ad amare? Devi liberarti della pornografia. Parola dello psicologo Lickona (puntofamiglia.net)

A scuola c’è comunque qualcuno che prova ad organizzare azioni educative, ma da posizioni di minoranza e non sempre condivise. In una scuola, qualche anno fa, a chi proponeva un percorso di educazione sessuale ed affettiva, si rispondeva bloccando l’esperienza come fosse “cosa da catechismo” (Sic!). L’individualismo egemone rende assai complicato trovare uno zoccolo duro di valori condivisi, in questo campo più che in altri. Per fare un esempio, mentre si lavora per mettere al bando la maternità surrogata che dai più è considerata alla stregua di una violenza sessuale (si tratta comunque dell’utilizzo del corpo di un’altra persona per i propri scopi) ci sono importanti attori italiani che la definiscono una conquista di civiltà. Sarà difficilissimo uscire da questo impasse e l’isteria del mondo adulto ne è una parziale prova. La pornostar di fama nazionale che fino a qualche tempo fa, pubblicizzava patatine a colpi di spot a doppio senso e che, contemporaneamente usciva sui giornali nazionali adoranti, in interviste in cui ci teneva a spiegare che le donne, in fondo, amano essere dominate, oggi esce con proclami in cui chiede di chiudere tutti i siti porno, anche i suoi! Rimorsi? Vedremo.

Intanto, mentre scrivo questo articolo, la stessa pornostar riempie i tg con la sua proposta di girare un “porno romantico ed educativo” (lo ha definito così con involontario doppio ossimoro) alla cantante dal successo calante. 

D’altro canto, lontano dalla cattedra, incontrando giovani che si preparano al matrimonio, fidanzati da anni, si scopre la devastazione prodotta da frequentazioni di questi ambienti che degradano le persone. Perché in fondo, ma non tanto, di questo stiamo parlando: le persone non sono più fine ma mezzo e questo le spersonalizza e le rende oggetti di consumo, di divertimento sia nel caso del bullismo che in quello dell’esercizio sessuale. L’altra persona, il suo corpo, è considerato poco più che strumento per la soddisfazione dei propri bisogni. Il tutto in un clima di grande leggerezza, condito dai tanti “in fondo, che c’è di male? Sono cose naturali”. E tale pensiero, ci deve essere chiaro, ormai corrode tutti non solo i violenti da telegiornale. Ecco la più faticosa delle idee da digerire. Ed eccoci, dunque, all’inizio di un nuovo anno scolastico con questo ulteriore fardello da prendere sulle nostre spalle. Cosa fare per aiutare questi ragazzi? Chi deve farlo? Partendo da cosa? Collaborando con chi? L’ultima cosa utile in questi casi è scandalizzarsi.

In fondo sta accadendo esattamente quello che si voleva realizzare quando è esplosa la rivoluzione sessuale. La liberazione sessuale, in particolare, si nutre di questa falsità: fai quello che vuoi e sarai

felice. E invece attorno alla cattedra vedo una grande infelicità diffusa, tanta solitudine affettiva e scarsissima soddisfazione. Personalmente partirò da un proposito: nessuna persona è strumento. Ne parlerò in classe, ho intenzione di provare a coinvolgere qualche famiglia più sensibile. Ne va del futuro non mio, ma delle figlie e dei ragazzi che ho di fronte. Anche le famiglie sono in difficoltà perché non si riconoscono nei propri figli che sembrano allevati da sconosciuti. E in parte è così. Oggi i nostri giovani sono educati da quello che gira nei cellulari nel remoto di una cameretta dove spesso non entrano nemmeno i genitori pensando, erroneamente, che lì dentro i figli siano al sicuro. Anche di questo si deve parlare.




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Piero Del Bene

Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare.

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