CORRISPONDENZA FAMILIARE

La sinodalità familiare. In preparazione al Sinodo

9 Ottobre 2023

famiglia

La Chiesa non è un’aggregazione di individui ma una comunità che ha il timbro di una famiglia, come insegna Gesù: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). Il Maestro invita a vivere le relazioni ecclesiali come una particolare e più matura espressione di quei legami affettivi che strutturano la vita umana fin dal suo sorgere. La famiglia offre alla comunità ecclesiale la grammatica fondamentale per vivere la fede come un’esperienza in cui l’incontro, il dialogo e la collaborazione diventano elementi essenziali.

La parola sinodo deriva dal greco sýnodos, è composto da syn (con) e odòs (via). Sinodo significa perciò camminare insieme. Non basta trovarsi sulla stessa strada, occorre decidere di camminare insieme verso la stessa meta. Una scelta come questa può nascere solo dalla coscienza di una comune appartenenza alla storia di Dio e dal desiderio di coltivare e custodire la comunione fraterna, segno e annuncio della vita nuova che viene da Dio. Gli uomini facilmente si dividono, tot capita, tot sententiae, dicevano i latini. Ciascuno ha la sua opinione e la difende a denti stretti. Nessuno è disposto a rinunciare ai suoi progetti. Accade purtroppo anche all’interno della vita ecclesiale. Anzi, è il pane quotidiano di un’esperienza che, malgrado la fede comune, è intessuta di divergenze che non di rado sfociano in contrasti che lacerano la veste dell’unità. L’unità è dono di Dio, è un segno visibile ed eloquente della presenza divina, come dice Gesù: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). 

La dimensione sinodale è un’espressione della comunione ecclesiale, nasce dall’unica fede e manifesta la carità fraterna. È uno stile interiore, uno sguardo del cuore. La Chiesa non è un’aggregazione di individui ma una comunità che ha il timbro di una famiglia, come insegna Gesù: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). Il Maestro invita a vivere le relazioni ecclesiali come una particolare e più matura espressione di quei legami affettivi che strutturano la vita umana fin dal suo sorgere. La famiglia offre alla comunità ecclesiale la grammatica fondamentale per vivere la fede come un’esperienza in cui l’incontro, il dialogo e la collaborazione diventano elementi essenziali. Una fede in cui la progettualità pastorale nasce dal volersi bene, dall’accogliersi come fratelli. È la premessa per fare della sinodalità uno stile di vita ecclesiale. 

A pensarci bene l’esperienza familiare rappresenta la prima espressione della sinodalità. Il matrimonio, infatti, è umanamente il luogo in cui la differenza tra le persone si presenta in tutta la sua ampiezza. L’uomo e la donna per natura sono radicalmente diversi, ciascuno di loro ha un carattere e una storia che, malgrado le buone intenzioni, non sembrano fatti per trovare un punto di accordo. Viene in mente uno sketch comico che gioca sulle parole: “Siamo fatti per stare insieme”, dice lui. E lei ribatte: “Dobbiamo essere fatti per restare insieme”. La comunione coniugale non è affatto scontata, non è l’esito naturale della passione, non è data dalla somma dei sentimenti, anche quelli più sinceri. Una comunione che dura nel tempo è il frutto maturo di un amore che accetta la sfida della differenza, cerca e trova un’armonia che non elimina la diversità ma la integra nella cornice del bene comune. 

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L’unità coniugale si costruisce sempre con grande fatica. È una testimonianza che tutti gli sposi possono dare. Fu così anche per i santi Luigi e Zelia Martin, i genitori di santa Teresa di Gesù Bambino. Zelia infatti era espansiva e intraprendente, sapeva custodire relazioni con tante persone. Il primo biografo scrive che era dotata di una “vivace intelligenza” e aveva “il dono di suscitare simpatia” (Piat, Storia di una famiglia, 53). Luigi, al contrario, era taciturno, per carattere e per scelta. Il suo passatempo preferito è la pesca, gli offre la possibilità di ritirarsi in luoghi incontaminati per immergersi in un silenzio che parla di Dio. Due caratteri così diversi sembrano fatti per non incontrarsi mai, e invece Luigi e Zelia imparano a costruire unità nonostante la diversità dei temperamenti. Questo miracolo è stato possibile perché ciascuno ha accettato di modificare il suo stile di vita. 

L’unità coniugale nasce dall’intrecciare, con sapienza e pazienza, stili e caratteri molto diversi. Il sentimento apre gli occhi ma è solo il primo e decisivo passo di un cammino di comunione che va costruito giorno dopo giorno, superando le difficoltà che nascono dal peccato e dalla naturale diversità. L’unità coniugale si costruisce a partire da un ideale comune ma anche questo elemento si rivela insufficiente se ciascuno degli sposi non impara a guardare oltre sé stesso e a misurare le scelte a partire dal bene comune. La vita comune deve essere ispirata e orientata da una regola semplice che oggi non è più moneta corrente: di cosa ha bisogno l’altro? Ciascuno veste il grembiule del servizio e cerca di capire e fare ciò che rende felice il coniuge. 

La vita dei santi Luigi e Zelia è intessuta di episodi piccoli e grandi in cui la comunione è desiderata e perseguita. Mi limiti a vitare un solo passaggio che però ha un grande valore perché è condita di sofferenza. Avendo coscienza che la malattia incalza, Zelia manifesta a Luigi il desiderio che dopo la sua morte tutta la famiglia si trasferisca a Lisieux per trovare sostegno nella famiglia del fratello Isidoro. È una scelta assai importante per lei e tuttavia non insiste, non vuole in alcun modo obbligare il marito a fare una scelta contro la sua volontà. A sua volta Luigi, dopo la morte della moglie, non esita nemmeno un istante a lasciare la città alla quale era molto legato per trasferirsi a Lisieux. Nei lunghi anni di vita comune con Zelia aveva imparato che il bene della famiglia veniva prima delle sue personali e legittime esigenze. 

In apparenza sono solo dettagli di una vita a due ma sono quelli che permettono di intravedere tutto il mosaico della vita coniugale e di comprendere il segreto che ha orientato i loro passi verso un’unità sempre più piena. Ciascuno è sempre pronto a rinnegare se stesso mettendo al primo posto il bene dell’altro. È il Vangelo del “perdere se stessi” applicato alla vita coniugale: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc 9,24). 

L’esperienza sinodale della famiglia ha molto da dire alla Chiesa, anzi è la premessa di quella prassi di comunione che Papa Francesco promuove con tanta energia. È strano perciò che si parli così poco di famiglia e meno ancora della comunione coniugale, come se non fosse uno dei pilastri della vita ecclesiale. Devo purtroppo constatare che il documento preparatorio del Sinodo non parla mai degli sposi, eppure l’accresciuta fragilità della coppia è sotto gli occhi di tutti. Né basta dire che il tema è stato già ampiamente affrontato in Amoris laetitia. Tanti altri temi sono già stati proposti eppure vengono costantemente richiamati come impegni irrinunciabili. 

Dare alla famiglia il suo posto nella prassi pastorale significa imparare che la sinodalità si costruisce a partire dalle piccole cose quotidiane – un sorriso, una stretta di mano, un dialogo sincero, un pasto comune – a condizione di avere un ideale che raccoglie tutto e tutti. Un ideale che ha un volto e un nome: Gesù di Nazaret. 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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