Cercate una poesia per entrare nel mistero del Natale? Oggi ne proponiamo una

12 Dicembre 2023

Immagine derivata da: Dino Ignani, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Siamo nel tempo dell’Avvento. Per entrare nel mistero del Natale di Gesù occorre immergersi nella realtà profonda di questa festa, andare oltre le apparenze, affinare gli occhi dello spirito per vedere al di là di ciò che è solo di contorno. Proponiamo una poesia di Giorgio Caproni, che può aiutare a riconoscere quel Dio fatto carne, oggi, vivo e sofferente nella carne dei più deboli e poveri della terra.

Il Natale 

Nel gelo del disamore...
senza asinello né bue...
Quanti, con le stesse sue fragili membra,
quanti suoi simili, in tremore,
nascono ogni giorno in questa terra guasta!
Soli e indifesi, non basta
a salvarli il candore del sorriso.

La bestia è spietata. Spietato l'Erode ch'è in tutti noi. Vedi tu, che puoi avere ascolto. Vedi almeno tu, in nome del piccolo Salvatore cui, così ardentemente, credi d'invocare per loro un grano di carità. A che mai serve il pianto posticcio - del poeta? Meno che a nulla. È soltanto fatuo orpello. È viltà.

A Valerio Volpini

Questa poesia del grande poeta livornese Giorgio Caproni (1912-1990) apparve su “Famiglia cristiana” il 27 dicembre 1989, meno di un mese prima della sua morte. Il titolo sembra sin troppo lungo, e suona Dinanzi al Bambin Gesù, pensando ai troppi innocenti che nascono, derelitti, nel mondo. Ma poi il poeta corresse “derelitti” in “reietti”: più forte e diretto. Dunque, ci teneva a questo titolo così esteso, specie se confrontato alla brevità della lirica.

Anche la dedica è importante. Valerio Volpini, scrittore e intellettuale di area cattolica, era collaboratore storico della rivista dei Paolini e fu per molti anni direttore dell’Osservatore romano. Dal canto suo, Caproni era un laico inquieto, rispettoso dei credenti e, anzi, come dimostrano questi versi, loro convinto ammiratore. 

Nella prima strofa dominano termini che alludono alla mancanza, alla sofferenza: dal “gelo del disamore” a quel “senza” privativo, riferito ai due animali che nel presepe di solito invece riscaldano Gesù Bambino e sono per questo unanimemente simpatici. Mancanza, privazione che si riverbera subito dopo nelle “fragili membra” del Bambino, e di tutti i bambini in difficoltà che nascono “in tremore” su una terra che appare “guasta” (ancora vocabolario della sofferenza e della privazione). Sono “soli e indifesi” questi bambini, e non basta a salvarli “il candore del sorriso” di chi li guarda. 

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Toglie ogni dubbio sul tono spirituale della lirica la seconda strofa, avvisandoci senza preamboli che “la bestia è spietata”, al pari di un Erode che è dentro la storia di ciascuno: non personaggio lontano e così evidentemente malvagio da apparire quasi orco fiabesco. È un Erode qui e ora!

Ma a lui si contrappone subito dopo un’invocazione di speranza, rivolta dal poeta non ai suoi pari agnostici, ma ai cristiani come il suo interlocutore (“almeno tu, che puoi avere ascolto”), a cui chiede di invocare per tutti i bambini “un grano di carità” (con magnifico accostamento del concreto grano all’astratto carità). Il messaggio è fatto incalzante dalle ripetizioni “Vedi… vedi” e poi “tu…tu”. 

E finalmente, dopo il gelo iniziale, ecco la vampata della fede nel “piccolo Salvatore” in cui il fedele crede “così ardentemente”.

Non serve dunque a nulla la retorica dei poeti, come era lo stesso Caproni, le loro parole fatte “orpello”. Suonano infatti false e sono segno di “viltà”, parola che designa il peggio per un cristiano. Lo notò benissimo – nei primi anni Venti del secolo scorso, ancora lontano dalla conversione, il poeta Clemente Rebora scrivendo al fratello Piero, reo di avere aggiornato in una pubblicazione su Jacopone da Todi la parola “viltade” in “miseria”. Ecco, dunque, Rebora: “nel secolo di Dante viltà è proprio agli antipodi di bontà: la prima è l’inerzia spirituale che rende incapace di promuovere il bene – la seconda il coraggio morale che genera e verifica il bene verso l’ideale della Vita (Dio). Non si può usare altro termine”. 

Come si vede, il non credente Caproni non era poi così lontano da Clemente Rebora (che si convertirà e si farà rosminiano), se come lui era nemico della viltà e amico della carità.

Così, l’augurio che ci facciamo per questo Natale è di essere lontani dalle cose vili e mediocri, lasciandoci invece esplodere nella carità. Che è il nome dell’amore di Dio.




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Gianni Mussini

Gianni Mussini, quinto di otto figli, è nato a Vigevano nel 1951. Laureato a Pavia, alunno dell’Almo Collegio Borromeo fondato da san Carlo (e citato da Manzoni nei Promessi sposi). Docente di Lettere (da ultimo al Liceo classico “Ugo Foscolo”), ha anche insegnato per 12 anni alla Scuola interuniversitaria lombarda per la formazione degli insegnanti. Autore di due libri di poesia (tra cui Rime cristiane eccellentemente recensito dal Corriere della sera e da Avvenire) e di molti studi ed edizioni specialmente sul poeta Clemente Rebora, ma anche su altri autori (tra cui Jacopone da Todi, Cesare Angelini, Manzoni), per Garzanti, Scheiwiller, Piemme, De Agostini, Storia e Letteratura. Ha collaborato a testi scolastici (La Scuola, Le Monnier, De Agostini) e raccolto in volume testimonianze di Vite salvate (Interlinea, Novara, con prefazione di Claudio Magris), ora moltiplicate nel volume Donne in cerca di guai, uscito nel 2018. Per 8 anni è stato presidente dei Centri di aiuto alla vita della Lombardia e per 12 vicepresidente nazionale del Movimento per la vita. Dal 2005 al 2012 ha invece presieduto il Consultorio familiare onlus di Pavia (dedicato al servo di Dio Giancarlo Bertolotti), del quale è stato fondatore. Ha organizzato diversi convegni, nazionali e internazionali, sui temi della vita e della famiglia, e anche corsi di aggiornamento, anche letterari, rivolti a insegnanti. Per 17 anni ha infine organizzato il Festival nazionale “Cantiamo la vita”, con la partecipazione di ospiti di fama internazionale. Last not least. È sposato con Maria Pia, e con cui ha generato Cecilia, Giacomo e Lorenza.

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