Papa Benedetto, grande educatore: cacciato dalla Sapienza, mostrò fermezza e mansuetudine
9 Gennaio 2024
Da docente, ad un anno dall’ultimo saluto a Papa Benedetto, mi chiedo: cosa ci ha lasciato come insegnante e educatore? In lui possiamo trovare due qualità assai utili ad un educatore: la libertà di generare un pensiero non a tutti gradito e la libertà di dire, quando richieste da un amore reale, anche cose scomode, senza avvertire la necessità di indorare la pillola.
“Educare non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande emergenza educativa, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita”.
Ad un anno dalla sua Nascita al Cielo, sembra doveroso offrire un ritratto, sia pure parziale, di papa Benedetto XVI, quale modello di educatore e docente.
Leggendo dalla cattedra i commenti che hanno accompagnato il suo “ritorno a casa”, come amava definirlo, si osserva che ben pochi sono stati quelli che riguardavano il pontefice quale educatore e formatore di coscienze. Troppo conservatore per i progressisti, troppo progressista per i conservatori, papa Ratzinger sembra aver scontentato un po’ tutti mentre era in vita. In qualcuno ha suscitato sentimenti anche più pesanti. Come non ricordare la copertina de’ il Manifesto che annunciava la sua elezione col titolo e la foto di un cane pastore tedesco? Repubblica si affrettava a commentare che l’Europa cattolica era nata con Benedetto e sarebbe morta con un altro Benedetto.
Eppure, il pontefice tedesco molto ha detto e molto ancora ha da dire al mondo dell’educazione. Intanto pose tra i primi, con chiarezza, la questione dell’educazione proponendola alla Chiesa ed alla società con grande profondità, come spesso gli capitava. “In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione all’altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita”.
Si intravedono in questa citazione due qualità assai utili ad un educatore: la libertà di generare un pensiero non a tutti gradito e la libertà di dire, quando richieste da un amore reale, anche cose scomode, senza avvertire la necessità di indorare la pillola. Ma la sua profondità si evidenziava soprattutto nell’analisi delle vere cause dei problemi. Nel messaggio per il Capodanno del 2010 così si espresse: “L’essere umano si è lasciato dominare dall’egoismo, perdendo il senso del mandato di Dio, e nella relazione con il creato si è comportato come sfruttatore, volendo esercitare su di esso un dominio assoluto. (…) Non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia e nella società a rispettare sé stessi: il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale. I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in sé stessa e in relazione agli altri”.
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Scrivo mentre si immettono nell’atmosfera tonnellate di anidride carbonica per i festeggiamenti del nuovo anno: dove sono ora gli ecologisti ad intermittenza? La transizione ecologica? I cambiamenti climatici? Benedetto ci dice che, se vogliamo aiutare a crescere, dobbiamo curare l’integro umano, tutto l’uomo, dentro, nel suo intimo, e fuori, nella società. Anzi. Quest’ultima cambierà quando ognuno avrà fatto il proprio lavoro nel proprio intimo. In fondo al pensiero del teologo tedesco c’è, come si vede, tutto quel realismo che è uno dei principali compiti dell’educatore moderno.
Tutte le difficoltà educative sono, per così dire, il rovescio della medaglia di “quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna”. Egli stesso ha incarnato tale libertà quando, dall’alto della sua mansuetudine, ha accettato di non poter entrare nell’Università la Sapienza di Roma, dove pure era stato invitato, perché una parte del mondo studentesco ed accademico si era opposto. Fu come dire che riconosceva a tutti la libertà di non volerlo. Ma chi non lo volle fu capace di riconoscere la libertà di volerlo, manifestata dagli altri? Ecco un modo di formare coscienze donando sé stesso. In una lettera aveva scritto: “ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di sé stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore”. Prima scritto e poi incarnato in maniera esemplare o, come sarebbe meglio dire, testimoniale.
Un vero educatore parla di ciò che vive e vive ciò di cui parla. Ecco un altro caposaldo dell’educazione secondo Ratzinger. Nemmeno il mondo accademico fu, in quell’occasione, capace di comprenderlo: come pretendere che i giovani che vivono quest’humus esclusivo possano diventare inclusivi? La sua chiarezza dell’argomentazione e la conseguente linearità dell’esposizione diventano allora un atto di amore formativo per chiunque voglia confrontarsi apertamente col pensiero diverso. Il discorso di Ratisbona, in questo senso, fu un altro passaggio fondamentale. Sbagliò a citare Michele Paleologo o, piuttosto, quell’atto non si deve interpretare come un’occasione di confronto libero offerto a tutti, anche i più chiusi? L’educazione si fida delle capacità degli altri. Sbagliato?
“Il rapporto educativo è però anzitutto l’incontro di due libertà e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà”. Quanto è centrale questo assioma (che è semplice fatto oggettivo) oggi? Tra i tanti temi che si potrebbero ancora estrarre dalla vita di Benedetto, ne propongo qui uno che oggi è assai dibattuto. Lo introduco ancora una volta con una citazione: “Anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita. Perciò, cercando di tenere al riparo i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore, rischiamo di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone fragili e poco generose: la capacità di amare corrisponde infatti alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme”. Paolo Crepet ha costruito la sua fortuna di conferenziere e divulgatore insistendo su questi contenuti. Benedetto, all’epoca, era considerato, invece, una specie di menagramo, uno che vede il mondo soprattutto a tinte fosche.
Oggi, a distanza di anni, qualcuno gli chiederà anche scusa, magari riconoscendo e dichiarando di non averlo capito? Lo ha fatto qualche lontano: qualche comunista, (Vacca, Tronti, Barcellona, Sorbi, Cacciari) lo aveva fatto addirittura mentre Benedetto XVI era ancora in vita e regnante. Quali frutti ha raccolto il severo maestro Ratzinger? Poteva sperare di raccoglierne? Lo dirà la storia, ma qualche indizio già si intravede. Ne è un esempio il Ratzinger Schuelerkreis. Benedetto XVI non ha mai voluto raccogliere una scuola teologica intorno a sé. Eppure, sin dagli anni di Regensburg, i suoi studenti si erano costituiti in un circolo, che poi si è incontrato con lui ogni anno, anche quando divenne arcivescovo di Monaco, quando divenne prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede e infine quando divenne Papa. Con il tempo ha incluso un secondo Circolo, il nuovo Schuelerkreis, composto non dagli studenti di Ratzinger ma da coloro che studiavano Ratzinger. Oggi è costituito in una struttura che organizza simposi in tutto il mondo. L’invito alla Libertà nella Verità, sostanze di ogni rapporto educativo, sempre da riscoprire e incarnare ad ogni livello, come si vede, continua a raccogliere adesioni.
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