CORRISPONDENZA FAMILIARE

Il silenzio che uccide. Non stanchiamoci di annunciare il Vangelo della vita

5 Febbraio 2024

C’è un silenzio che uccide. La cultura della vita non trova spazio nell’agenda della politica e nella comunicazione mediatica. L’aborto invece fa sempre notizia. In Francia si promuove una modifica legislativa per dare all’aborto il pieno riconoscimento costituzionale in modo da zittire sul nascere ogni voce contraria. Anzi, in modo da condannare ogni timida difesa del diritto alla vita. In Polonia, una delle prime preoccupazioni del nuovo governo dell’europeista Tusk è stata quella di reintrodurre una legge per ridare all’aborto diritto di cittadinanza. Colpisce la tempestività e l’ostinazione con le quali si persegue questo progetto, il cui unico scopo è quello di sopprimere una creatura umana, come se da questo dipendesse il rinnovamento sociale. E in Italia?

In Italia tutto tace. La politica e la cultura preferiscono glissare. Una cosa è certa: di quei bambini che sono nascosti nel grembo materno, in attesa di venire alla luce, non si parla. Non si deve parlare. Una censura degna dei regimi più autoritari. Sono bambini invisibili, anzi non sono neppure bambini ma cose di cui la madre può disporre liberamente. In nessun altro ambito della vita sociale la libertà viene esaltata in questa forma così assoluta.

La drammatica vicenda di Giulia Cecchettin, la giovane di 22 anni uccisa dall’ex fidanzato, ha fatto discutere a lungo sulla violenza contro le donne e sulla prevenzione che si può e si deve mettere in campo. Tutti insistono sulla necessità di attivare percorsi educativi nelle scuole per favorire conoscenza e consapevolezza e suscitare una più grande responsabilità. Almeno si spera. Niente di nuovo. Ogni volta che emerge un problema sociale – dalla criminalità all’ecologia, dalla pace all’immigrazione, dalle dipendenze alla sessualità – accanto all’inasprimento delle pene per chi viola la legge, si chiede di prevedere un’informazione più accurata che inizi da quel laboratorio di umanità che si chiama scuola. Non mi pare di aver mai sentito nulla di simile in relazione all’aborto. Evidentemente non lo si ritiene (più) un problema sociale da combattere. Anche in questo caso, s’impone il silenzio. Si può e si deve parlare di tutto ma non dei bambini che attendono di venire alla luce. E guai se qualcuno pretende di far entrare questo argomento nelle aule scolastiche. 

Qualche giorno fa, uscendo di casa, Gamal Ghobrial ha trovato davanti alla porta un fagottino con neonato di circa un mese. È accaduto a Milano. Il bimbo non è stato abbandonato ma lasciato in un luogo sicuro. La stessa sorte di Enea che lo scorso mese di aprile la mamma, rimasta anonima, ha lasciato nella Culla per la vita del Policlinico milanese. Non è andata così per altri neonati che purtroppo sono stati ritrovati privi di vita. Colpa di quel silenzio che uccide perché non dà tutte le informazioni necessarie. La paura di sconfessare l’aborto impedisce di annunciare ad alta voce tutto quello che si può e si deve fare per tutelare la vita dei bambini prima di nascere. 

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C’è un altro silenzio che mi inquieta. Nelle ultime settimane il Papa ha concesso alcune interviste, che hanno avuto grande eco, specie quella televisiva nel programma di Fabio Fazio. Sono stati affrontati i più svariati argomenti ma anche in questo caso non c’è spazio per i bambini che attendono di vedere la luce. La questione vita nascente viene accuratamente elusa. Capisco che il giornalista non ha alcuna voglia di toccare un tema che avrebbe costretto il Papa a ribadire che l’aborto è un drammatico errore. “Per avere una vita tranquilla si fa fuori un innocente”, disse qualche anno fa, paragonando gli esecutori materiali ai nazisti. Parole forti che avrebbero suscitato polemiche ma avrebbero avuto il merito di sollevare il velo. E invece silenzio. 

Capisco il giornalista ma non comprendo perché l’entourage del Papa, che certamente ha preparato l’intervista, non abbia sentito il bisogno di inserire anche un argomento che è parte integrante di quel Vangelo che la Chiesa non si stanca di proclamare con insistenza “al momento opportuno e non opportuno”, come scrive l’apostolo Paolo. Perché lasciare proprio questo tema nel cassetto dei ricordi? Non so rispondere a questa domanda ma non credo che sia un gesto di cortesia diplomatica. Il silenzio contribuisce a far crescere la cultura di morte. 

“Bisogna continuare a parlare di pace”, ha ribadito più volte il cardinale Zuppi. Ha ragione, non possiamo né dobbiamo abituarci alla guerra. Nella prolusione ai recenti lavori del Consiglio Episcopale ha detto che “non dobbiamo stancarci di invocare il dono della pace, di educarci alla pace, a partire dalle nostre case, dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità”; ed ha invitato le diocesi italiane ad “abolire il linguaggio della discordia e della divisione” per assumere la pace come paradigma essenziale del dialogo tanto all’interno della comunità quanto nel confronto con la società civile.

L’impegno per custodire la vita nascente rientra a pieno titolo nella missione di pace che la Chiesa sente la necessità di promuovere ad ogni livello. La pace inizia dal grembo materno, da quell’alleanza originaria tra la mamma e il bambino che palpita dentro di lei. Non stanchiamoci di annunciare il Vangelo della vita, la povertà dei mezzi e le difficoltà che oggi incontriamo ci stimolano ad essere ancora più convinti. Lo dobbiamo a quei bambini che ancora non hanno voce. 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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