CORRISPONDENZA FAMILIARE

La stagione della malattia. La testimonianza di un medico

11 Marzo 2024

Cari amici, oggi condivido con voi la lettera di un amico, sposo e padre, medico presso l’Ospedale San Paolo di Napoli e diacono permanente. La sua professione lo fa vivere a stretto contatto con la sofferenza, spesso quella più dura da portare, non raramente quella che conduce alla morte. La sua esperienza è un frammento di luce, il segno di una fede che accompagna la necessaria azione terapeutica con quella carica di umanità che diventa annuncio e consolazione; e soprattutto con quella preghiera, visibile o nascosta, che attira la benedizione di Dio sugli ammalati e i loro familiari.

La sua testimonianza invita tutti a portare nel cuore e nella preghiera coloro che vivono il tempo della malattia. Per molti è solo l’ultimo capitolo della vita, quello in cui ci si arrende al destino; chi ha fede sa che si tratta di un’esperienza decisiva per comprendere il senso della vita e aprirsi alla grazia. Buon cammino a tutti.

Don Silvio

Caro don,

la Quaresima ha per me un particolare significato, sono chiamato a contemplare Gesù crocifisso nei pazienti che quotidianamente incontro nel mio lavoro. I turni in ospedale s’intrecciano con le visite domiciliari, da diversi anni il mio lavoro mi porta ad entrare nelle case di tanti malati terminali per terapia trasfusionale. Dietro ogni richiesta non c’è solo una persona ma un’intera famiglia, avvolta nel dolore, che non smette mai di aggrapparsi alla speranza fino all’ultimo istante di vita.

Ogni volta che varco la soglia di una nuova casa, incontro persone che mi consegnano il loro dolore, sono storie cariche di angoscia e di speranza, i loro occhi mi ispirano sempre tenerezza e compassione, specie quando si tratta di ammalati giovani. Entrare nella stanza del paziente per me significa entrare nel “Santuario della sofferenza”, uno spazio sacro abitato da Dio. Se vigile e cosciente, la persona che attende intravede nel sanitario colui che gli porta la vita: il sangue. Nei loro occhi vedo un intreccio inestricabile di dolore e speranza. Mi chiedono quali sono le loro condizioni cliniche, vogliono sapere i tempi della cura e tutto quello che ha a che fare con la malattia. Questo tema occupa molto spazio, naturalmente. Cerco però di aprire anche altri orizzonti, chiedo di raccontarmi qualcosa del passato, aneddoti significativi o curiosi che aiutano a riconciliarsi con la vita.

La situazione cambia radicalmente quando il malato non è cosciente. In questo caso il suo calore, i suoi piccoli movimenti prendono la mia anima, prego in silenzio e cerco nel Signore una spiegazione ma non sempre mi è data.

Davanti a queste croci nascoste ma tanto feconde, ho il dono di accostarmi in una duplice veste: non solo come medico chiamato a curare il corpo e a lenire il dolore, ma anche come diacono, chiamato a prendermi cura delle ferite più profonde e ad accompagnare con discrezione e umiltà la sofferenza, a cercare spazi possibili di dialogo e di vicinanza.

Non vi è ammalato che non riceva la benedizione di Dio. Prima di salutare i miei pazienti, è mia abitudine toccare sempre il loro capo e invocare lo Spirito Santo perché dia forza ai familiari, amore e misericordia al sofferente.

Il letto del dolore è per me un altare dove, giorno dopo giorno, si consuma il sacrificio della sofferenza. In punta di piedi mi accosto verso quest’altare, contemplando la presenza di Gesù sofferente. Sì, è vero, in ognuno di loro c’è Gesù che soffre ed io mi sento chiamato a curare le sue piaghe, le sue ferite come il Buon Samaritano e lo affido al Buon Dio.

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In alcune circostanze, soprattutto nel periodo del Covid, quando le Chiese erano chiuse mi sono adoperato a portare ad alcuni Gesù Eucarestia. Dal Gesù sulla croce al Gesù Risorto.

In un’occasione ho sperimentato la potenza della preghiera e della benedizione. Un giovane ragazzo, in precoma, dopo essere stato più volte toccato per le diverse pratiche mediche non aveva mai dato segni di risveglio, ma nel momento in cui, prima di lasciarlo, tocco la sua fronte invocando il Signore, solo per un attimo, apre gli occhi e rivolgendosi verso la madre le chiede se in quell’ istante lo avesse toccato un sacerdote.

Era la mia mano, quella di un diacono, ma sono certo che il Signore aveva toccato la sua anima fino a fargli sentire la Sua presenza. Al mattino presto del giorno seguente, il ragazzo è tornato alla casa del Padre.

Rendo grazie a Dio che mi permette di intrecciare l’arte medica con quella spirituale, è davvero una Grazia. Porto nel cuore e nella preghiera ognuno di loro, chi ancora soffre e chi è già in Cielo. Sono certo che chi è chiamato ad una vocazione di grande sofferenza ha necessità di essere sostenuto e accompagnato non solo nel corpo. Dalle loro “Croci” davvero cadono petali di rose che, come scrive S. Teresa di Gesù Bambino, sono fonte di Grazia e di Amore, quell’Amore nascosto che diventa universale attraverso il Cristo Risorto.

Caro don, mi hai chiesto di raccontare la mia esperienza, spero che queste confidenze possano dare luce a coloro che soffrono e a quanti sono chiamati ad accompagnarli. Ti auguro ogni bene.

Massimo Pace




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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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