CORRISPONDENZA FAMILIARE

Essere padri sui passi di San Giuseppe

18 Marzo 2024

La festa liturgica di san Giuseppe mi invita ad offrire una riflessione sul ministero genitoriale che egli ha esercitato all’interno della Santa Famiglia. Una testimonianza apparentemente lontana da quella ordinaria e tuttavia capace di offrire ai papà non poche provocazioni. Non è possibile affrontare un tema così vasto, mi limito a ricordare quali sono le origini della paternità, anzi Chi è all’origine della paternità. Lo faccio alla luce di una pagina evangelica giustamente famosa (Mt 1, 18, 24).

L’evangelista Matteo narra la profonda inquietudine di Giuseppe dinanzi all’inattesa gravidanza di Maria e la decisione di farsi da parte, per lasciare a Dio piena libertà di azione. Questa deliberazione è certamente frutto di un prudente discernimento, vissuto in preghiera, ma non corrisponde alla volontà di Dio, anzi viene apertamente sconfessata da una parola che riceve durante la notte, nella cornice misteriosa del sogno: 

il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 
ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù” (1,20-21).

Questa parola lo libera dall’inquietudine ma, al tempo stesso, lo carica di una nuova e più grande responsabilità. Assolutamente imprevista. Le parole dell’angelo hanno un duplice e complementare significato: da una parte annunciano l’identità divina del bambino che Maria porta in grembo e dall’altra svelano il ministero affidato a Giuseppe. La prima parte è certamente consolante perché annuncia che Dio è all’opera; la seconda invece è più preoccupante perché chiede al giovane operaio di Nazaret di offrire la sua collaborazione per realizzare l’opera di Dio. Emerge così la fondamentale alleanza tra Dio e l’uomo. L’iniziativa è sempre di Dio ma l’uomo è invitato a collaborare con Lui. 

L’umiltà

Un annuncio come questo non può non suscitare una legittima apprensione e forse (non lo sappiamo ma possiamo immaginarlo) anche una certa ansietà. Il compito che Dio affida a Giuseppe va ben oltre le sue capacità. Avrebbe tutte le ragioni per declinare l’invito. Ma la sua fede non gli consente di farlo. Non misura le sue capacità, si fida di Colui che lo chiama. È questo lo stile del credente. 

In una rappresentazione teatrale (scritta per la festa del Natale 1896) santa Teresa di Gesù Bambino presenta una scena ordinaria della vita di Nazaret. Giuseppe rientra dal lavoro e siede accanto a Maria che tiene in braccio il Bambino. Quando la Vergine lo pone sulle ginocchia dello sposo, il volto di Giuseppe s’illumina di gioia, lo stringe al cuore e contempla il mistero della divina presenza. La sua è una vera e propria adorazione.

“O carissimo Bimbo, com'è dolce il tuo sorriso! Ma è proprio vero che io, il povero falegname Giuseppe, ho la felicità di portare tra le mie braccia il Re del Cielo, il Salvatore degli uomini? È vero che sono lo sposo della madre di Dio, il custode della sua verginità? O Maria, ditemi che profondo mistero è mai questo? L'Atteso dei Colli Eterni, l'Emmanuele, oggetto dei sospiri di tutti i Patriarchi, è qui sulle mie ginocchia, guarda me, suo povero e indegno servitore” (La fuga in Egitto: PR 6).

La Santa di Lisieux ha ben compreso che la fede di Giuseppe è condita di umiltà, invece di sottolineare la fatica e la responsabilità, appare la gratitudine per aver ricevuto un dono così grande. 

Questa fede è una salutare provocazione per tutti i genitori. Crescere un figlio richiede impegno e fatica, il compito educativo comporta gioie e dolori. Ma prima di tutto, è bene coltivare la consapevolezza che un figlio è un dono straordinario, un segno della fiducia che Dio ripone nell’uomo e nella donna. 

Leggi anche: San Giuseppe custode della vita: l’atto paterno di cura dei bambini nel grembo

La missione genitoriale

Giuseppe non avrebbe potuto accogliere e vivere la sua responsabilità genitoriale senza una particolare grazia. Paolo VI scrive che ha dovuto “convertire la sua umana vocazione all’amore domestico nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni capacità, nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa” (Paolo VI, 19 marzo 1966). Ha vissuto questo ministero fino al dono totale di sé.

L’esperienza di Giuseppe, apparentemente così lontana da quella ordinaria, in realtà ha molto da dire ai genitori. In primo luogo ricorda che ogni figlio, anche quello generato nella carne, appartiene a Dio e porta in sé il mistero di Dio. Questa consapevolezza dona una cornice nuova all’impegno educativo, carica i genitori di una più grande responsabilità. Non basta dare ai figli tutto quello che serve per crescere e sviluppare le capacità insite nella natura umana. Non basta dare l’amore e il pane. Occorre anche fare di tutto – il possibile e anche l’impossibile – per aiutarli a riconoscersi figli di Dio e a crescere secondo l’immagine che Dio ha stampato in ciascuno di loro. 

Nel brano evangelico c’è un dettaglio significativo: l’angelo affida a Giuseppe il compito di dare il nome ma non spetta a lui scegliere il nome. Dare il nome significa manifestare la propria autorità ma Giuseppe deve esercitare la sua paternità nella cornice scritta da Dio. La testimonianza di questo impegna i genitori a vivere il compito educativo come un autentico ministero ecclesiale, cioè un impegno che viene da Dio e deve essere costantemente vissuto nella di Dio. È una grazia da chiedere con umiltà, stando in ginocchio. 

In cammino

Quando si sveglia dal sogno Giuseppe non ha dubbi e si dispone a compiere fedelmente quello che “gli aveva ordinato l’angelo del Signore” (1,24). Si mette a servizio dell’opera che Dio gli ha affidato. Nel giorno delle nozze gli sposi hanno solennemente manifestato l’impegno ad “accogliere con amore i figli che Dio vorrà donare e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa”. Nel Rito del Battesimo, che rappresenta l’inizio sacramentale della genitorialità, questo impegno è stato ulteriormente ribadito: “Cari genitori, chiedendo il Battesimo per il vostro figlio, voi vi impegnate a educarlo nella fede, perché, nell’osservanza dei comandamenti, impari ad amare Dio e il prossimo, come Cristo ci ha insegnato”. 

Nella Lettera Patris corde (2020), Papa Francesco ha scritto: “Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui”. Per rispondere a questa chiamata non basta la buona volontà, anche l’amore genitoriale si rivela insufficiente. C’è bisogno di una fede sincera e audace, umile e coraggiosa. 

Il compito educativo oggi è ancora più gravoso e impegnativo ma siamo certi che Colui che chiama e affida questo ministero, dona anche la grazia per esercitarlo nella maniera più generosa e feconda. Lui dona a grazia, ma i genitori hanno la responsabilità di chiederla e accoglierla. Invito tutti i papà ad affidarsi con fiducia all’intercessione di san Giuseppe. 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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