Vita eterna

di Assunta Scialdone

Perché i giovani continuano a chiedere cosa c’è oltre la morte?

16 Ottobre 2019

riflessione

I ragazzi si interrogano e mi interrogano sulla vita oltre la morte. Una domanda di senso che evidenzia il loro bisogno di speranza. La mia risposta? Il Vangelo.

Oggi giorno, specialmente tra i giovanissimi, ricorre, sorprendentemente, la domanda sulla vita oltre la morte. Quotidianamente, grazie al lavoro che svolgo, mi ritrovo a contatto con ragazzi preadolescenti e adolescenti che, appena raggiungono un rapporto confidenziale con me, esprimono le loro domande sull’esistenza dell’anima e della vita ultraterrena. Nei loro occhi s’intravede un desiderio di speranza e ciò mi stupisce perché la società attuale cerca di distruggerlo proponendo loro solo l’immanente del qui e ora. Partendo dallo studio archeologico delle catacombe, dei simboli ritrovati in esse, questi ragazzi scoprono che, come loro, anche le prime comunità cristiane esprimevano le loro inquietudini riguardanti la seconda venuta di Cristo interrogando le Scritture alla luce della storia. Non è superfluo parlarne più completamente, quindi. Lo faccio con loro con parole più accessibili, qui lo si può fare più compiutamente. Le prime comunità cristiane vissero animate dalla speranza di una fine prossima del mondo presente che si sarebbe verificata mentre queste persone erano ancora in vita. Nella prima lettera ai Tessalonicesi, ad esempio, leggiamo: «Sulla parola del Signore, infatti, vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore». (1Tss4,15) Questi fratelli della primissima ora attendevano la parusia, che significa sia presenza che venuta, cioè l’ultima venuta del Cristo alla fine dei tempi per un rinnovamento definitivo del mondo. Ciò spiega l’inquietudine dei Tessalonicesi sulla condizione dei cristiani morti prima di tale venuta: essi non parteciperanno alla parusia? Paolo risponde a questa inquietudine affermando che sia i vivi che i morti vi prenderanno parte. Con quest’affermazione la parusia si estende al di là della morte di questi primi cristiani.

Le prime comunità cristiane furono assalite da un’altra inquietudine generata dalla morte (prima della parusia) di intere generazioni mentre la storia continuava il suo corso. Forse la parusia non ci sarebbe stata più? La fede dà una risposta a tale interrogativo suddividendo la storia con la creazione di un tempo intermedio separato da quello ultimo. Cristo verrà sicuramente: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At1,11). Nasce così la convinzione che i cristiani non debbono essere ossessionati dall’idea della parusia imminente ma devono attenderla nella comunità assieme ai fratelli vivendo appieno la loro appartenenza a Cristo. La venuta definitiva del Cristo si allontana sempre di più e il tempo intermedio diventa il tempo della Chiesa, delle relazioni, della ferialità dei rapporti cambiando sempre di più i suoi connotati. Questo tempo diventa un Kairos: un tempo di grazia. All’interno di questo segmento di tempo, messoci a disposizione dalla Misericordia Divina, i cristiani dovrebbero essere animati dal desiderio di unirsi sempre di più a Cristo per divenire con lui una sola cosa. In altre parole, abbiamo a disposizione un tempo limitato entro il quale si devono operare delle scelte a favore o contro Dio. In questo tempo non c’è spazio per la tiepidezza perché in questo Kairos è in gioco tutta la nostra e l’altrui salvezza. 

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D’altra parte, uno strato più antico del Vangelo di Giovanni testimonia un’interpretazione della parusia incentrata maggiormente sul presente. Il Signore viene oggi nella tua vita, nella decisione di essere credente e non solo nell’ultimo giorno: già adesso avviene il giudizio attraverso la decisione (di ognuno di noi) di aderire o non aderire al Cristo. Già ora il Figlio dell’uomo fa risuonare la sua chiamata escatologica che richiama i morti in vita (Gv5, 25). Nell’oggi della storia il Signore passa nelle nostre vite e, bussando al nostro cuore che (è bene ricordarlo) può essere aperto solo dall’interno, ci chiede di compiere una scelta. La scelta riguarda il percorrere la via stretta della vera Vita. Si tratta di una via che si oppone alla logica e alle mode del mondo perché il mondo non ha riconosciuto la “luce vera”, come si dichiara nel prologo di Giovanni all’inizio del quarto Vangelo. È, ovviamente, una via che rivoluziona l’essere, il nostro modo d’essere. È evidente che la fede nella parusia cambia anche l’esperienza della storia: ciò che si vive nella quotidianità (decisioni, relazioni, persino le passioni) può già essere sperimentato come incontri con il Signore che viene a noi nell’attesa del compimento definitivo. La predicazione neotestamentaria del Regno di Dio vive una tensione che si articola tra il “già” e il “non ancora presente”. Tutto sta a tenere bene in mente in ogni momento questo fatto fondamentale. Se un marito tenesse a mente questa situazione mentre urla come un ossesso contro la propria moglie, continuerebbe? Probabilmente non inizierebbe nemmeno! Questo tempo si offre come una misura della fede di ciascuno.

La fede nella parusia significa, in definitiva, l’una e l’altra delle seguenti due cose. In ordine al futuro tale fede ci dice che verrà il giorno in cui Cristo regnerà. Ci sarà il mondo da lui promesso e già iniziato con la sua vita, il regno di Dio. In ordine al presente essa ci richiama al pensiero che possiamo e dobbiamo contare quotidianamente – anche se la storia del mondo continua in apparenza a scorrere senza essere toccata – sull’incontro con Cristo nelle esigenze concrete dell’amore del prossimo (sia esso coniuge, figlio, genitore anziano, vicino di casa molesto, datore di lavoro indigesto… metteteci ciò che volete), nell’assemblea radunata nel suo nome e nella celebrazione dell’eucaristia. Questi sono una manifestazione dell’incontro con il medesimo Cristo che incontreremo senza veli alla fine: per questa cosa occorre veramente un’overdose di fede!

L’ultima considerazione riguarda l’urgenza di raccontare con coraggio queste verità ai nostri giovani. Giusto per fare un esempio, la docente di Lettere di mia figlia, cominciando a spiegare la Divina Commedia, ha esordito dicendo: “Partiamo dal presupposto che oggi più nessuno crede ad una vita dopo la morte, perché essa non esiste!”. Questa è la temperie nella quale viviamo. L’insistenza nel trattare questo tema, dunque, scaturisce non solo dal bisogno di annunciare il cuore della nostra fede ma anche dal voler rispondere al bisogno di speranza presente nelle nuove generazioni e che in pochi oggi osano colmare con la Verità evangelica. Quando i ragazzi entrano in contatto con queste conoscenze i loro occhi s’illuminano di gioia e serenità perché tutto, nella loro vita, comincia ad acquisire senso e valore: può succedere anche, e succede, che trovino le risposte alle domande antropologiche sul senso della vita e sull’amore a partire dalla fine, cioè da ciò che resterà.




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