Scuola

Non sarà che è la Scuola il vero spread italiano?

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di Piero Del Bene

La Scuola? Sotto molti aspetti si presenta come un ascensore sociale fuori uso. E se fosse proprio questa la causa principale della decadenza economica italiana e, di conseguenza, del dislivello di crescita tra noi e il resto d’Europa?

Si è da pochi giorni chiusa la piattaforma per la preiscrizione degli alunni alle scuole primarie e secondarie. I dirigenti scolastici nei loro collegi dei docenti tirano le somme. Qualcuno si espone anche sui rispettivi siti, congratulandosi coi propri docenti ed alunni, per i brillanti risultati raggiunti in termini di iscrizioni. In altre scuole comincia il de profundis e la conta delle cattedre che si perdono. Con essa inizia anche il rompicapo dei docenti perdenti posti che, quindi, dovranno fare domanda di mobilità. Anche questo è Scuola, ma fa la sua amara comparsa la considerazione che forse, da qualche anno, principalmente questo sia Scuola.

Il periodo di orientamento che ci lasciamo alle spalle si è contraddistinto per alcune polemiche nate sui social a seguito di qualche post di alcuni istituti che promettevano di dividere gli alunni per “censo sociale”: da una parte i “figli di papà”, dall’altra i figli di un dio minore. Le pagine dei giornali si sono riempite di commenti “scandalizzati” di coloro che in pubblico professano una Scuola uguale per tutti e nel privato fanno arrivare ai dirigenti scolastici i nomi dei professori con cui vorrebbero che i loro figli capitassero. Molti istituti, infatti, lasciano intendere di avere una sezione “protetta” alla quale sicuramente sarà iscritto il figlio di… Non sappiamo se tale sezione effettivamente esista, ma è utile millantarla. 

Il fatto è che i tempi sono cambiati e questo si sa. Questo cambiamento si accompagna con quello che, nel frattempo, stanno vivendo le scuole secondarie dal punto di vista di quello che è diventato a tutti gli effetti un vero e proprio mercato dell’alunno. È interesse d’ogni scuola avere quanti più iscritti possibile, per questioni di prestigio ma anche di “vil danaro”. C’è bisogno dunque di quella materia prima, l’alunno, che come l’ISTAT ha nuovamente certificato, è sempre più rara. Il mercato è infatti il punto di incontro tra più acquirenti di un prodotto raro: è il nostro caso. Come conquistare lo studente? Ecco il vero problema, l’elemento discriminante. Tengo dritta la barra della mia rotta e chi mi ama mi segua? Oppure mi conviene offrire ciò che gli alunni e le loro famiglie chiedono (ferme restando le richieste del Ministero)? In altri termini, la domanda può diventare più o meno così: cosa offriamo ai nostri studenti, ciò che riteniamo giusto o ciò che le famiglie ritengono giusto? Si tratta di una domanda terribilmente simile a quella di chi fa palinsesti televisivi. 

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Interpellati, infatti, costoro rispondono che piacerebbe trasmettere cultura tutte le sere, ma fa molto più audience il trash e dunque si devono adeguare, perché l’alternativa è chiudere i battenti. Si corre così il rischio che non debbano essere più gli alunni a mettersi in moto per raggiungere la meta ma che questa si renda sempre più vicina e a buon prezzo. Ciò potrebbe anche significare che il prodotto, alla fine, sia di qualità inferiore. Ma interessa ancora in Italia questo dettaglio? Un tempo chi studiava lo faceva per avere maggiori opportunità occupazionali, ma oggi la Scuola sta sempre più perdendo questa prerogativa. I nostri genitori ci hanno voluto lasciare strumenti migliori dei loro per vivere meglio di loro. In qualche caso sono stati i nostri nonni con i nostri genitori a fare lo stesso. Oggi sembra non essere più così. La Scuola è vista addirittura come un qualcosa di inutile perché si lavora o meno a prescindere da quanto si è studiato e in alcuni casi, paradossalmente, le possibilità di impiego possono aumentare se si è studiato meno, dal momento che i lavori non qualificati, oggigiorno, sono gli unici che, nonostante la crisi, continuano a garantire opportunità di impiego. Alcuni miei ex alunni mi hanno inferto un colpo durissimo quando mi hanno raccontato che si erano iscritti dopo la maturità in un istituto privato dispensatore di titoli vuoti di significato. Certificati che non certificano. Anche i loro genitori si sono aggiustati a quest’idea: visto che i figli non avevano voglia di studiare hanno concesso loro di entrare in questi istituti dove tutto è semplificato perché, tanto, leggete attentamente: “Una volta entrati a Scuola come insegnante o sei bravo o non lo sei, lo stipendio ti arriva lo stesso!”. Un colpo mortifero! Avevo dimenticato che una delle ultime ricerche del Censis mostra dati piuttosto allarmanti su una Scuola sempre in declino e un grado di sfiducia degli italiani nei suoi confronti (dall’asilo all’università) molto elevato.

Paola Mastrocola, in un suo testo di qualche anno fa, dal titolo provocatorio “Togliamo il disturbo”, provò a riassumere questo concetto con le seguenti parole: “Forse i ragazzi non studiano perché non sanno di dover studiare. Mi viene il dubbio che non lo sappiano perchè noi non glielo abbiamo detto. Forse ci siamo dimenticati di dirglielo… O forse abbiamo pensato che era scontato e non ci piaceva dire cose così scontate. O forse abbiamo semplicemente lasciato perdere”. Però qualcosa dell’ascensore sociale che era la Scuola è rimasto nella mente dei genitori se è vero che in alcuni casi vengono ai colloqui per chiederti di aumentare il voto del figlio nonostante sia chiaro a tutti che non meriti un voto alto! Forse perciò la Scuola in passato rappresentava un ascensore sociale che permetteva, nella maggior parte dei casi, di salire nella scala sociale. Oggi solo il 16,4% dei nati tra il 1980 e il 1984 è riuscito a salire nella scala sociale (rispetto a quella che era la condizione della sua famiglia); un 29,5% è invece sceso sotto il livello di partenza: l’ascensore ha quindi cominciato una disastrosa discesa. Alla luce di ciò il calo dei laureati è assolutamente in linea con la situazione. Ad abbandonare gli studi sono soprattutto i ragazzi provenienti dalle famiglie svantaggiate. Insomma l’ascensore è “Fuori uso”. E non consola fare confronti col passato. 

Oggi è più di un luogo comune ripetere che la Scuola del passato era un concentrato di classismo e conservatorismo. Sarà. Ma, se così fosse, bisognerebbe spiegare perché l’ascensore sociale ieri era sempre in funzione mentre oggi è fermo come un convoglio abbandonato su un binario secondario di una stazione. Chi scrive è figlio di un contadino e di una casalinga che hanno conseguito la licenza di terza media ad un corso serale, mentre lui accedeva alla maturità. Pensate quale esempio per me! Per loro era come accedere in una stanza che avevano potuto vedere solo da fuori: ed era effettivamente così. Era come accedere ad un livello di vita migliore: avevano finalmente la licenza media!

Qualcuno si è posto la seguente semplice domanda: Non sarà che è la Scuola il vero spread italiano? Meglio, non sarà che è la Scuola dei diritti e di nessun dovere la causa principale della decadenza economica italiana e, di conseguenza, del dislivello di crescita tra noi e il resto d’Europa? Il libro di Ernesto Galli della Loggia, dal titolo “L’aula vuota” (Marsilio editore) è una requisitoria implacabile contro gli artefici di questo disastro: forse, il più grave mai perpetrato.

Chiudo questo che potrebbe sembrare un troppo pessimista articolo con due riferimenti a maestri dell’ascensione sociale. Il primo è un ex somaro oggi autore di best sellers: Daniel Pennac che, nel suo “Diario di Scuola” ad un certo punto riporta una confessione fattagli da una maestra che vogliamo fare nostra. “Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa solo bloing bloing, la cosa importante è che lo si facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all’insieme”. Essere fieri del proprio contributo, anche se piccolo, è ancora un valore? 

Il secondo riferimento tira in ballo un autore citatissimo anche se scomodissimo perché la sua vita ci lascia come un cazzotto nello stomaco: don Lorenzo Milani. “Avete presentato la Scuola come un male e dovevano riuscire ad amarla i ragazzi?”. In “Lettera ad una professoressa”, ad un certo punto si legge: “Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo”. Ritorna l’idea dell’ottimo triangolo con cui contribuire. E il fine ultimo? L’ultimo piano dell’ascensore? “Il fine giusto è dedicarsi al prossimo”. E, rivolgendosi, alla maestra, quindi anche a me, chiosa: “In questo secolo come vuole amare se non con …la Scuola?” ecco allora, che finalmente, alzo gli occhi dalla cattedra e vedo degli universi da coltivare, i miei alunni, non dei numeri da computare. Ecco la rivoluzione da compiere.




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