Eucaristia

di Assunta Scialdone, teologa

Perché alcuni cattolici chiedono con insistenza la Santa Eucaristia?

6 Maggio 2020

Santa Messa

Si parla tanto di riapertura delle Messe, ma cosa si nasconde in quel piccolo pezzo di pane? Cosa rappresenta l’Eucaristia per un credente? Rispondere a queste domande vuol dire andare alla radice della vera emergenza.

“L’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve nutrirsi alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”. Così i Vescovi italiani, in comunione con il Santo Padre, scrivevano il 26 aprile scorso. Un’affermazione che trova vigore nel Catechismo e in numerosi documenti magisteriali, nonché nella Sacra Scrittura. L’Eucaristia, infatti, non può essere considerata solo un’azione liturgica, di culto, essa raggiunge la sua perfezione solo se l’agape liturgica diventa amore nel quotidiano. Per il cristiano il dono di Grazia del Signore Gesù che si riceve nella Divina Liturgia e l’amore verso il prossimo diventano una cosa sola all’interno di essa: “Ite. Missa est” si chiosava giustamente in latino. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, infatti, al numero 1324 si legge: “L’Eucaristia è «fonte e culmine di tutta la vita cristiana». «Tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua»”.

In questo periodo di pandemia, che ha visto la sottrazione del “pane Eucaristico” al popolo santo di Dio per motivi di salvaguardia della salute fisica, molte domande sono sorte e molte altre sorgeranno. Tra coloro che sono più lontani dalla fede cattolica ci si chiede cos’è l’Eucaristia e perché alcuni battezzati chiedono, insistentemente, di celebrarla mostrando una reale sofferenza spirituale e fisica quasi come se non riuscissero a vivere senza. In molti cristiani praticanti, invece, il vedere questo desiderio dell’Eucaristia intriso di passione, fa nascere sgomento, smarrimento ed in alcuni un facile giudizio di esagerazione. Costoro, infatti, affermano che “si può vivere anche senza l’Eucaristia, perché l’importante è compiere il bene verso il prossimo”, arrivando persino a definire “esaltati” le persone di questo piccolo gruppo di cristiani. Altre volte questi vengono, letteralmente, accusati e derisi perché chi li accusa ritiene più importante la salute fisica che quella spirituale. Il mondo è bello perché è vario. Tuttavia, l’aver riscontrato, in molti cristiani praticanti ed impegnati nella pastorale, una certa indifferenza e mancanza del desiderio di unirsi a Cristo, ha lasciato perplessa una parte della Chiesa che cerca (e dovrà cercare) di analizzarsi ed analizzare la situazione per dare risposte costruttive per il prossimo futuro. Sembrerebbe che, per i molti, non si possa fare a meno del cibo corporale, ma si possa fare a meno del pane Eucaristico. Sembrerebbe, per alcuni cattolici praticanti, che si possa vivere e nutrire la vita spirituale anche restando legati alle sole pratiche devozionali (cose sante) senza avvertire il desiderio Eucaristico dimenticando ciò che S. Tommaso affermava in riferimento all’Eucaristia: “Come il cibo corporale è necessario per la vita a tal punto che senza di esso non si può vivere, (…) così il cibo spirituale è necessario per la vita spirituale, in modo che senza di esso la vita spirituale non si può mantenere”. Inoltre, tra i cristiani pervasi dal fuoco del desiderio eucaristico costretti a nutrirsi della sola comunione spirituale, ci si chiede che valore ha tale comunione. Che differenza c’è tra la comunione sacramentale e la comunione spirituale?

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A Jean Sulivan, scrittore francese, sacerdote e studioso di filosofia, è stata attribuita questa frase che, in questo periodo storico, sembrerebbe illuminante: “La verità è come un’immensa vetrata caduta a terra in mille pezzi. La gente si precipita, si china, ne prende un frammento e brandendolo come un’arma, dichiara: ho in mano la verità! Bisognerebbe, invece, raccogliere con pazienza tutti i pezzi, saldarli con l’amicizia e, alla fine, la verità risplenderebbe”. Impresa, questa, abbastanza ardua, ma non impossibile. Vale la pena fare un piccolo tentativo ben sapendo di non poter giungere alla Verità assoluta su questo argomento fino a quando non saremo alla presenza dell’Altissimo e vedremo chiaramente “faccia a faccia”. Si consiglia di proseguire nella lettura di questa riflessione con umiltà e abbandono dei propri preconcetti e convinzioni, perché la verità non è posseduta solo da alcuni. Essa è piuttosto una Persona che ci possiede.

C’è da ribadire che cibarsi dell’Eucaristia rafforza l’unione con Cristo. Il Signore, infatti, dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,56). La vita in Cristo ha il suo fondamento nel banchetto Eucaristico. Gesù nella sua ultima cena con gli apostoli fa due gesti: spezzare il pane e prendere il calice del vino. Lo spezzare il pane indica il gesto del padre di famiglia che, con delicato amore, si preoccupa dei bisogni dei suoi. Esso richiama anche il gesto dell’ospitalità con cui lo straniero viene accolto nella famiglia ospitante che gli concede di partecipare alla propria vita familiare. Pensiamo alla vicenda dei discepoli di Emmaus e dello straniero che si affianca a loro sul cammino. Il gesto di dividere il pane viene lasciato al viandante misterioso il quale in quel dividere imprime un con-dividere che contiene il significato dell’unire a sé. Li unì a sé creando la comunione tra loro tre, ma anche una comunione nuova tra i due discepoli e persino quella comunione che poi li riporterà sulla strada verso Gerusalemme, verso gli altri “fratelli”. Nell’ultima cena, infatti, Gesù, nello spezzare il pane, distribuisce se stesso come vero “pane (…) per la vita del mondo” (Gv 6,51). In tale gesto intravediamo l’intima natura dell’Eucaristia. Essa è agape, amore reso corporeo, nutrimento di cui l’uomo ha bisogno. Da allora Gesù si lascia spezzare come pane vivo per tutti noi. Gesù prende poi, in quella ultima cena, quel calice che il canone romano definisce come praeclarus (glorioso). Tale riferimento s’ispira al Salmo 23 nel quale si legge: «Davanti a me tu prepari una mensa, sotto gli occhi dei miei nemici (…) Il mio calice trabocca». Il calice ricolmo di vino rappresenta il suo amore. Esso richiama le nozze. Richiama quell’ora di cui Gesù parlava con sua madre alle nozze di Cana di Galilea. L’Eucaristia è un vero e proprio convito di nozze che si cela sotto l’espressione novum Testamentum. Questo calice è il nuovo Testamento, «la nuova alleanza nel mio sangue» (1Cor 11, 25). Il canone romano vi aggiunge poi “per la nuova ed eterna alleanza” a voler esprimere l’indissolubilità del legame nuziale di Dio con l’umanità. Stringere un’alleanza vuol dire creare una consanguineità reale ed eterna tra noi e Dio. Come non intravedere in tutto ciò, anche con una certa evidenza, il legame forte ed inscindibile tra Eucaristia e matrimonio? Come i due sposi diventano una carne sola, allo stesso modo Dio lo diventa con noi in una forma unica ed indissolubile.

Alla luce di quanto detto, è più facile comprendere le ragioni di quel piccolo gruppo di cristiani che, alla sottrazione dell’Eucaristia, hanno avvertito quella sofferenza inaudita ed incomprensibile, a volte, anche da loro stessi. Essi sperimentano l’esperienza della sposa del Cantico dei Cantici: “L’ho cercato, ma non l’ho trovato”. Oppure quella di cui si legge, nella prima Strofa del Cantico Spirituale di San Giovanni della Croce: “Dove ti sei nascosto, Amato? Sola qui, gemente, mi hai lasciata! Come il cervo fuggisti, dopo avermi ferita; gridando t’inseguii: eri sparito!”. Dopo aver ripercorso i gesti della Sposa, questi fedeli si sono dovuti “accontentare” della Comunione Spirituale. Da ciò sono sorte le precedenti domande che possono essere così riformulate: in questa modalità si realizza l’unione con Cristo? Se sì, in che grado? Il catechismo della Chiesa Cattolica non fa alcuna menzione della comunione spirituale, ancor meno il Codice di Diritto Canonico. Essa viene menzionata nel Catechismo Tridentino, detto Catechismo Romano, all’interno del quale si legge: “Essa è anzitutto una comunione; E dunque una partecipazione reale alle grazie dell’Eucaristia, benché distinta dalla partecipazione sacramentale propriamente detta”. Al numero 229, tale testo distingue tre modi di ricevere l’Eucaristia: il primo è quello sacramentale propriamente detto; «Altri ricevono l’Eucaristia solo spiritualmente; e sono quelli che, animati dalla fede viva che opera per mezzo della carità (Galati 5,6), si nutrono di questo pane celeste con i desideri e i voti ardenti, riportandone se non tutti, certo i più grandi vantaggi. Vi sono infine altri che ricevono l’Eucaristia sacramentalmente e spiritualmente: e sono quelli che, seguendo l’avviso dell’Apostolo, hanno prima provato se stessi e indossato la veste nuziale, per poi avvicinarsi alla sacra mensa, riportandone tutti i copiosi e utilissimi benefici sopra ricordati. È evidente però che si privano di beni immensi e celesti coloro che, pur potendosi preparare a ricevere il sacramento del corpo del Signore, si contentano di riceverlo solo spiritualmente».

La comunione solo spirituale, non si fa esteriormente, come quella sacramentale, ma interiormente e mentalmente, senz’alcun atto materiale e corporale: spiritualmente, cioè soprannaturalmente e divinamente. È detta anche comunione interiore, del cuore, invisibile e mistica perché ci unisce a Gesù in modo misterioso e nascosto, senza alcun segno visibile come nella comunione sacramentale. È detta anche comunione virtuale, perché ha la virtù di farci partecipare ai frutti dell’Eucaristia. Essa deve essere preceduta da un forte desiderio di unirsi a Cristo che si compie con la comunione spirituale. «Tutte le volte che tu mi desideri, diceva Gesù a Santa Matilde, tu mi attiri in te. Un desiderio, un sospiro, basta per mettermi in tuo possesso». Le due modalità hanno un peso diverso. Nostro Signore, infatti, mostrava ogni giorno alla pia Paola Maresca un ciborio d’oro contenente le sue comunioni sacramentali e uno d’argento contenente quelle spirituali, indicandole così il valore delle une e delle altre. Dunque, quella spirituale è una comunione anche se non al massimo grado. La comunione spirituale, raccomandata dal santo Concilio di Trento, è un’estensione vantaggiosissima del Sacramento adorabile della Eucaristia, la quale produce ed aumenta la grazia secondo i gradi di amore e l’ardore dei desideri che l’accompagnano. Non automaticamente. S. Tommaso, nella quaestio 80, articolo 1, aveva analizzato se sia possibile distinguere i due modi di ricevere il corpo di Cristo. Per lui non è possibile operare una distinzione netta: “La comunione sacramentale è ordinata alla comunione spirituale come al suo fine. Quindi la comunione sacramentale non va distinta da quella spirituale. (…)  – perché – La refezione sacramentale sarebbe inutile se quella spirituale potesse aversi senza di essa. Quindi non è giusto distinguere due refezioni, cioè quella sacramentale e quella spirituale. (…) La refezione sacramentale che giunge a quella spirituale non le si contrappone, ma è inclusa in essa. Invece si contrappone alla refezione spirituale quella comunione sacramentale che non raggiunge il suo effetto”. Per tale motivo, San Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia, cap. 4, scrive: “Proprio per questo è opportuno coltivare nell’animo il costante desiderio del Sacramento eucaristico. È nata di qui la pratica della «comunione spirituale», felicemente invalsa da secoli nella Chiesa e raccomandata da Santi maestri di vita spirituale. Santa Teresa di Gesù scriveva: Quando non vi comunicate e non partecipate alla Messa, potete comunicarvi spiritualmente, la qual cosa è assai vantaggiosa (…) Così in voi si imprime molto dell’amore di nostro Signore”.

Per dirla con un esempio, leggiamo nella bolla di canonizzazione di S. Bonaventura che un giorno egli aveva un desiderio ardentissimo di fare la comunione, ma, per umiltà, non osava accostarsi all’altare. Gesù gradì questa disposizione del suo servo, e mentre il sacerdote pronunciava l’Agnus Dei, una parte dell’ostia si staccò e volò miracolosamente nella bocca del Santo. Succederà invisibilmente per noi la stessa cosa se, come lui, avremo un grandissimo desiderio di riceverlo. Analogamente, Teresa di Lisieux scriveva: “Non posso ricevere la Santa Comunione così spesso come lo desidero, ma, Signore, tu non sei l’Onnipotente? Rimani in me, come nel tabernacolo, non allontanarti mai dalla tua piccola ostia”. A loro fa eco san Pio da Pietrelcina che affermava: “Nel corso del giorno, quando non ti è permesso di fare altro, chiama Gesù, anche in mezzo a tutte le tue occupazioni, con gemito rassegnato dell’anima, ed egli verrà e resterà sempre unito con l’anima mediante la sua grazia e il suo santo amore. Vola con lo spirito dinanzi al Tabernacolo, quando non ci puoi andare col corpo, e là sfoga le ardenti brame ed abbraccia il Diletto delle anime meglio che se ti fosse dato di riceverlo sacramentalmente”. I cristiani che, con desiderio ardente, hanno praticato la comunione spirituale hanno conservato l’unione nuziale con lo Sposo Gesù. Ancora Teresa la grande: “Accostiamoci al Santissimo Sacramento con grande spirito di fede e di amore: ed una sola comunione credo che basti per lasciarci ricche. E che dire di tante? Sembra che ci accostiamo al Signore unicamente per cerimonia: ecco perché ne caviamo poco frutto. O mondo miserabile che rendi cieco chi guarda te…. per non permettergli di vedere i tesori che potrebbe avere in Dio!”. Ecco la sfida per i nostri tempi.

Quanti fedeli cristiani cattolici, nell’accostarsi alla santa Eucaristia sono mossi da questi sentimenti? Quanti scorgono in essa quell’Amore forte più della morte dal quale dipende la propria salvezza? Quanti si struggono di desiderio in questo periodo di privazione? Non molti e ciò può essere il frutto di una certa banalizzazione eucaristica. Ciascuno si esamini, onestamente. Chi coglie i grandi tesori del discorso che si è fatto ha anche l’onere di annunciarli a tutti perché il dramma che sperimentiamo è la constatazione che questo ardente desiderio di comunione spirituale in realtà manca. Può esistere, paradossalmente, anche chi, credendo di fare comunione ma senza questo desiderio, ha solo manducato e chi, invece, pensando di non poterla fare si è consegnato alla forza di tale desiderio, divenendo così più unito a Cristo. La sfida per la Chiesa è e sarà far comprendere ai propri figli la coessenzialità dei due momenti: la comunione spirituale e quella sacramentale. In tempo di coronavirus è, forse, questa la vera emergenza scoppiata all’interno della Chiesa.




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