Una comunione eterna, l’importanza dell’Eucaristia per gli sposi cristiani

10 Giugno 2020

Eucaristia

Troppo spesso siamo portati a pensare all’amore umano come un’esperienza transitoria di un qualche cosa che dovrà finire, legata esclusivamente al Kronos, distaccata dal Kairos. Così facendo, si dimentica che l’amore storico, vissuto come sacramento dai coniugi, è forma di Cristo e, dunque, non scompare, ma trova, in Cristo, il suo compimento pieno.

La grande Teresa D’Avila racconta che, in una delle sue visioni, il Signore le mostrò tutta la Sua potenza e bellezza. La manifestazione della potenza di Dio, come quando si manifestò ai discepoli sul monte Tabor, era a tal punto grande che il suo sguardo umano non riusciva a fissare una tale immensità. Ella narra la potenza di questa visione descrivendo alcune sensazioni del corpo e dell’anima. Durante questo trasporto mistico ebbe l’impressione che l’anima, con una pulsione violenta, volesse staccarsi dal corpo per unirsi al suo Creatore. Istintivamente, la Santa, ponendo le mani sul cuore, cercava di trattenere l’anima unita al corpo. Comprese il significato di questa esperienza alcuni giorni dopo quando, all’interno della Celebrazione Eucaristica, il Signore, le mostrò la grandezza dell’Eucaristia e l’importanza di cibarsi di Lui. Ella rivide tutta la potenza e la bellezza di Dio che aveva visto, giorni prima, nell’Ostia che il sacerdote innalzava al cielo. Sua “Maestà”, così amava chiamarlo, le volle mostrare che era pienamente presente nelle particole consacrate, anche se l’occhio umano non vede nulla. 

Teresa racconta che faticò a ricevere Dio nell’Eucaristia perché non si riteneva degna di riceverlo. Soprattutto, temeva l’incapacità del corpo umano di contenere l’immensità di Dio. Il Signore la spinse a riceverlo dentro di sé e mentre si accostava al sacerdote ella poté notare che Cristo era presente pienamente anche nella minuscola particola di Ostia. Sua “Maestà” le ordinò di raccontare quanto aveva visto affinché tutti potessero nutrirsi di Lui. In altre occasioni la Santa poté sperimentare l’importanza dell’incontro Eucaristico e quanta potenza salvatrice esso ha sulle anime che, con fede, vi si accostano. Cristo, oltre ad innumerevoli visioni di anime che operavano il passaggio dal Purgatorio al Paradiso in forza delle Eucaristie ricevute in vita e quelle offerte dai cari ancora sulla terra, le concesse anche una visione che la riempì di una gioia immensa. Sua “Maestà”, mostrandole la gloria del Regno dei Cieli e i vari gradi del Paradiso, le mostrò suo padre e sua madre. I suoi genitori si mostrarono “trasfigurati”, erano giovanissimi e pieni di luce, sorridenti e mano nella mano. Teresa riporta solo la gioia di sapere che i suoi genitori erano in Paradiso, ma non elabora una riflessione su ciò che vide. Per noi, oggi, questa visione risulta molto importante dal punto di vista del sacramento delle nozze. La Santa non intravide la potenza dell’Eucaristia per gli sposi. Sant’Agostino definisce il Matrimonio come il Battesimo della coppia, intendendo dire che esso produce per la coppia ciò che il Battesimo produce per la persona. Così, se il battesimo innesta in Cristo e nella Chiesa, anche il Matrimonio segna l’appartenenza a Cristo ed alla Chiesa, ma come coppia. 

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Gli impegni nuziali che gli sposi assumono con il Matrimonio sono gli stessi impegni battesimali, vissuti, però, in chiave sponsale perché i due diventano una “sola carne”. Kollaomai, diventare una sola carne, è il verbo ebraico usato in Genesi 2,24. Questo verbo non esprime solo unione fisica (espressa per lo più col verbo «conoscere»), ma una comunione totale, profonda: una sola carne, un solo essere. Si tratta della totalità della relazione coniugale che è un’unione spirituale ed una comunione d’amore, che si completa nell’unione fisica. È un’espressione unica nell’Antico Testamento. In Mt 19, versetti 5-6 Gesù cita proprio Gen 2, 24 per affermare l’indissolubilità del matrimonio: “Non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. L’essere una sola carne riguarda la totalità della relazione coniugale. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al numero 1604, si legge: «Avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco amore diventa un’immagine dell’amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l’uomo». Se l’amore reciproco uomo/donna racchiude quanto detto, fin d’ora, non solo non viene meno con la morte di uno dei due, ma, se è stato vissuto come partecipazione al mistero di unità e di amore che lega Cristo e la Chiesa, consente di continuare a partecipare a tale mistero anche dopo la morte fisica. E dove, più che nell’Eucaristia, si celebra maggiormente questo amore di Cristo per la Chiesa? Dove altro si può cercare un esempio di amore oblativo, totale e duraturo, se non nell’Eucaristia? Per tale motivo la “comunione” eucaristica, diventa fonte di vita piena per due sposi cristiani. Anche se il segno sacramentale in Paradiso non avrà più motivo di esistere, infatti, l’amore nuziale, come sacramento, è per l’eternità. Esso è eterno, non finisce. L’eternità è il suo destino proprio come nella visione di Teresa. 

Ella vedeva le anime sante in diversi gradi del Paradiso mentre i suoi genitori erano l’uno accanto all’altro quasi a sottolineare il perdurare dell’una sola carne che il padre della santa aveva gelosamente custodito in vita rifiutando le seconde nozze dopo la morte della moglie. Ritroviamo un fatto simile nei genitori di santa Teresa di Lisieux. All’indomani della santificazione di quella che poi sarà venerata anche come dottore della Chiesa, più di qualcuno chiese al Papa quando sarebbe iniziata la causa per il papà di santa Teresina. La sua “fama di santità” non era passata inosservata. Tanto che un frate francescano cominciò a mettere il naso nelle “carte” di famiglia. Così vennero alla luce le lettere di Zelia, la madre di Teresa. In poco tempo si capì come in quella storia familiare ci fosse molta più santità di quella fino ad allora osservata. Da lì prese il via la causa di beatificazione dei coniugi. Prima separatamente e poi, per volere di papa Paolo VI, seguendo un unico processo. Si trattava di un fatto nuovo, come ben riconoscono coloro che seguono i processi di canonizzazione, che sembra sottolineare l’una sola carne di questi coniugi santi.

Troppo spesso siamo portati a pensare all’amore umano come un’esperienza transitoria di un qualche cosa che dovrà finire, legata esclusivamente al Kronos, distaccata dal Kairos. Questo ci porta a pensare che i coniugi, pur essendo una sola carne, lo siano solo nella dimensione materiale e non spirituale e che ciò li condurrà, come singoli individui e al di là dell’amore storico, nell’orizzonte infinito dell’Amore trinitario. Così facendo, si dimentica che l’amore storico, vissuto come sacramento dai coniugi, è forma di Cristo e, dunque, non scompare, ma trova, in Cristo, il suo compimento pieno. Quella vissuta sulla terra è solo una parte della storia, quella visibile, quella più breve. San Paolo, in Galati 3, 28, scrive che in Lui “non vi è più né uomo né donna” e, quindi, non vi è più moglie e marito, nel senso della differenziazione che qui sperimentiamo, ma la qualità dell’amore sponsale umano nel regno dei cieli, in Cristo, è elevato alla pienezza e non distrutto. Esso attinge, anzi, alla sorgente della propria sponsalità partecipando alla pienezza dell’amore di Cristo Risorto e della nuzialità trinitaria. Questa particolare partecipazione avviene sulla terra in una forma invisibile, partecipando all’Eucaristia. Quando saremo pienamente incorporati a Cristo non perderemo la nostra individualità personale, altrimenti saremmo annientati. Ciò permetterà di custodire il fondamento del nostro essere “capaci di amore”. Così comprendiamo le parole di Paolo quando afferma che “nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo senza la donna” (1Cor 11, 1). La dimensione dell’eternità cresce all’interno dell’amore sponsale che attraversa tutta la storia dei coniugi, come un seme d’immortalità. La storia prepara l’incontro ultimo e definitivo che, pur differente, sarà in continuità con esso. Non dobbiamo dimenticare che il matrimonio è definito da s. Giovanni Paolo II “Sacramento Primordiale” voluto direttamente da Dio Padre nel giardino di Eden. Dunque, l’uomo, naturalmente, nasce nella chiamata della nuzialità che è compiuta in Cristo all’interno della forma storica dell’amore umano, fino a sfociare nella gloria dell’amore nuziale in Cristo Risorto. Ecco che possiamo fare nostre le parole di W. Shakespeare, che nel sonetto 116, sicuramente ignorando le realtà che abbiamo tracciato, ma intuendole con spirito poetico, dice: «Non è amor l’amore che muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l’altro s’allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta le tempeste e non vacilla mai; è la stella guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio…».




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.


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