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Quello che numeri, statistiche e tabelle non dicono sul Covid…

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di Michela Giordano

Dall’inizio della pandemia i cittadini si sono abituati a cercare le tabelle con i numeri, andando a spulciare la riga che più interessa: i contagi nazionali, oppure quelli regionali e provinciali. È sembrata una buona idea, all’inizio: i numeri non mentono; definiscono i contorni della crisi e contribuiscono a farsi un’idea della sua evoluzione. Quello che le cifre non raccontano sono le persone e le loro storie.

L’ultima tendenza, in fatto di comunicazione ai tempi del Covid, è il “report”. Raccontare la pandemia attraverso i numeri è un must, per chiunque si occupi di comunicazione. Sulla scia degli aggiornamenti quotidiani della Protezione Civile, non c’è resoconto che non parta dalle cifre. Ha cominciato, nei primi mesi dell’emergenza, il capo dipartimento, Borrelli, le cui conferenze stampa, alle 18.00, erano il nuovo “carosello” della tv: tutti incollati allo schermo, per sapere come procedesse il diagramma dei contagiati. 

Una modalità di racconto imitata, in breve, dagli organi di informazione, i blog, gli influencers più seguiti, che hanno rispolverato i rudimenti algebrici del liceo, per tentare di porre a portata di un solo clic il racconto della pandemia mondiale. Nella bolgia di parole, i cittadini si sono abituati a cercare le tabelle con i numeri, andando a spulciare la riga che più gli interessa: i contagi nazionali, oppure quelli regionali e provinciali. È sembrata una buona idea, all’inizio: i numeri non mentono; definiscono i contorni della crisi e contribuiscono a farsi un’idea della sua evoluzione. Quello che le cifre non raccontano sono le persone e le loro storie. 

Dei morti sappiamo “quanti” ma non “chi”; dei contagiati, la “percentuale differenziale”, non il “come”. Abbiamo visto le foto delle “file” alla Caritas, ma non guardato i volti di chi chiedeva un tozzo di pane.

Leggi anche: Come aiutare gli adolescenti a vivere l’era della pandemia?

Tra i molti nervi scoperti determinati dal Covid, la povertà è quello di cui si parla meno: ammettere le “file” implica un riconoscimento dell’incapacità dello Stato di fronteggiarle e, allora, è meglio ridurle ad una delle “cifre” del racconto. Asettiche. Impersonali.

Ma le statistiche generano romanzi, a saperle interpellare. Nel periodo che va da maggio a settembre 2020, nell’immediato post lockdown, le strutture della Cei che promuovono solidarietà concreta hanno registrato +45% di accessi “nuovi”, rispetto al +31% degli stessi mesi del 2019. Il picco nelle grandi città, Milano, Roma, Napoli, che hanno fatto raggiungere la soglia record di 450mila “primigenie” richieste di aiuto. Numeri censiti dalla Conferenza dei Vescovi italiani nel Rapporto 2020 su povertà ed esclusione in Italia. Numeri che possono raccontare. Basta porre le domande giuste. 

Una. Chi sono, questi nuovi poveri? Innanzitutto, donne, le più penalizzate dal lockdown.  Mamme, lavoratrici precarie, messe in ginocchio dal blocco e dalla necessità di stare a casa con i figli; un esercito di “invisibili” che, ogni giorno, prima del Covid, fuori da ogni tutela legale, pulivano case e scale condominiali, accudivano anziani o malati, facevano le commesse in negozio.

E, poi, padri, separati e non, liberi professionisti o partite iva, precari o disoccupati, cui la pandemia ha sottratto le occasioni di guadagno “alla giornata”.

I numeri, interrogati, raccontano di migliaia di capifamiglia, in fila per generi alimentari o un aiuto per le bollette, così da poter considerare falsate le cifre dei contatti, laddove 1 non vale 1, ma almeno 3, padre madre e figlio. 

Estremamente sottovalutata, nell’analisi dei numeri, la crescente richiesta di aiuto per l’aspetto formativo dei figli. Se, da una parte, la diffusione dei telefoni cellulari è da considerarsi capillare, è anche vero che esistono ampie sacche di popolazione non in grado di garantire la fruizione delle lezioni a distanza delle scuole. Non basta internet. Occorre anche un altro tipo di connessione, di tipo mentale. Richiede sforzi in termini di risorse, spazi, attrezzature, supporto domiciliare, per impegnarsi pienamente. Un danno incalcolabile alle possibili eccellenze di domani. 




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