La teologia tradotta in “linguaggio da cucina”

11 Settembre 2021

cucina

A cosa serve la teologia? È una cosa astrusa, troppo difficile e troppo lontana dal concreto o semplicemente è la scienza che ci aiuta a comprendere Dio? Ci serve nell’approccio con i nostri figli?

Durante una riflessione tenuta a famiglie e sacerdoti sulla novità di Amoris laetitia, (già affrontato in un precedente articolo) un sacerdote, dopo avermi ringraziato per aver aperto spunti di riflessione nuovi, mi lanciò una provocazione: tradurre il tutto nel “linguaggio da cucina”, aiutare le famiglie ad essere sante e provare a ridire quelle cose in un linguaggio fruibile dai molti e dai più semplici. Spiegai che non esiste una ricetta standard che vada bene per ogni famiglia perché essa comprende tanti universi (genitori, figli di varie età, a volte nonni) coprendo le diverse stagioni della vita. Insomma con la famiglia non funziona come gli ordini religiosi nei quali viene data una regola, “l’ideale di vita”, nella quale, se ci si ritrova, il giovane intraprende quel percorso cercando di “sposare” quel modello di vita. Negli ultimi anni, la teologia non gode della simpatia dei molti, anche sacerdoti, che più volte me lo hanno confidato. La parola stessa è usata come sinonimo di cosa astrusa, alta e, quindi, inutile. Non credo che sia così. Essa tratta dell’Ente più importante per la vita di ognuno: Dio. Richiede qualche sforzo, questo sì, ma è molto pragmatica e pratica. Nei giorni successivi alla “santa” provocazione di questo sacerdote ho deciso, allora, di elaborare due articoli sul tema della santità. Nel primo, pubblicato nel mese di luglio, si è cercato di dire le fondamenta della santità perché senza la conoscenza si fa fatica a progredire per la via della salvezza. Sant’Agostino avrebbe detto: credo ut intellegam, intellego ut credam (credo per capire meglio, capisco per credere di più). Questo secondo contributo, invece, ha la timida pretesa di tradurre quelle notizie nel “linguaggio da cucina” attingendo molto a ciò che vedo e a ciò che vivo come sposa, madre di due figlie e docente.

San Giovanni della Croce, come scritto nel precedente articolo, afferma che il corpo si apre al mondo esterno attraverso i cinque sensi, che sono vista, olfatto, tatto, udito e gusto. Questi sono come delle finestre che si aprono al mondo circostante ed incamerano conoscenze, esperienze sensibili che coinvolgono appieno la corporeità: sono come spugne che assorbono tutto incondizionatamente. Se i cinque sensi hanno questa funzione importantissima, in che modo vigiliamo i nostri sensi e quelli dei figli? Nella nostra società siamo come risucchiati dal lavoro e, a volte, pur di tenere buoni i figli, li “parcheggiamo” davanti ad uno schermo TV o cellulare. Entrambi, tra l’altro, hanno la forma di una finestra che si apre sul mondo virtuale. Trovo terribile vedere bimbi piccolissimi, senza alcuna forma di difesa, essere risucchiati da questi schermi. Nel momento in cui un adulto cerca di togliere loro il cellulare dalle mani o spegnere la TV si scatenano in pianti furibondi perché sono schiavi di quel mondo, hanno quasi una crisi d’astinenza simile a quella di soggetti che hanno dipendenze come alcol, droga, fumo, sesso etc. Per i bimbi piccoli, sarebbe utile correre subito ai ripari limitando il mondo virtuale, avendo la santa pazienza di accompagnare il piccolo alla disintossicazione. Con i piccoli si interviene drasticamente perché non hanno le categorie per gestire una tale dipendenza. Ai genitori, in questi casi, viene chiesto ancora maggiormente di sostenersi a vicenda senza retrocedere nella decisione. La fatica sta nel cercare di parlare al bimbo, proponendo giochi e altre attività, ben sapendo che le sue urla non si placheranno facilmente.

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Il mondo virtuale ha tante conoscenze positive ma anche negative e, soprattutto, tanti “buchi neri” nei quali si rischia di essere risucchiati divenendone schiavi. Vigilare le finestre dei figli significa osservare i loro comportamenti, parlare con loro e, soprattutto, ascoltarli. Se i figli si ritirano, in religioso silenzio, nelle loro stanze senza dare alcun fastidio, per molti di noi può essere comodo. Se, però, nel momento in cui facciamo irruzione nella loro camera ravvisiamo degli scatti o reazioni di rabbia, forse è il caso di preoccuparsi. Forse, le finestre si stanno aprendo su cose più grandi di loro che vanno a deturpare la loro voglia di vivere, la loro serenità d’animo. Cosa si fa in questi casi? Rimproverare aspramente facendosi consegnare il telefono? Minacciare una punizione? Vietare il telefono per sempre? Tutto ciò farà crescere ancora di più la voglia della trasgressione e non va certo ad alimentare un rapporto di fiducia con i genitori. Da quel momento bisogna impegnarsi a dialogare con loro, magari iniziando dalle banalità, ricercare un loro parere su delle scelte da operare, coinvolgerli su tutto ciò che riguarda la vita domestica. Si può anche cercare di dare loro dei compiti in casa da svolgere assieme: la preparazione di un dolce, della cena, pulire una parte della casa. Così facendo si va costruendo la fiducia, il dialogo e la stima reciproca. Non andrebbe mai lasciata cadere nel vuoto una loro domanda, anche quella che ci sembra più sciocca. Mentre si svolgono compiti assieme, i ragazzi, spesso, si aprono nel dialogo cosicché noi adulti abbiamo modo di accoglierli senza esprimere alcun giudizio, portandoli ad elaborare ragionamenti, conducendoli così a scelte giuste. Saranno stati loro ad arrivarci. Non sarà stata una nostra imposizione. Se non dialogano con noi ponendoci domande, a chi le rivolgeranno? Ai coetanei, che ne sanno meno di loro, e alle finestre del mondo virtuale che si presentano come il “saggio astuto”? Nel linguaggio biblico il “saggio astuto” è il serpente che dice all’uomo una verità parziale e poi lo abbandona al suo destino. Non lo accompagna, per gradi, alla conoscenza come farebbe il saggio buono, cioè Dio, e come dovremmo fare noi genitori. Così facendo vigiliamo le loro finestre e, un po’ alla volta, facciamo comprendere l’importanza di porre ordine in tutto ciò che si fa iniziando dal cibo, dall’orario di andare a dormire fino all’uso del cellulare. Dove trovare tutto il tempo necessario? Non è facile. Oggi si dice che il nostro stile di vita è contro la famiglia. Penso che lo sia soprattutto quando l’impeto sociale entra tra le nostre mura domestiche e ci impedisce di prendersi il giusto e necessario tempo. Ci preoccupiamo, giustamente, quando li vediamo deperire fisicamente e di solito corriamo repentinamente da un medico. Molto meno ci preoccupiamo quando deperisce la loro anima alla quale però vengono inferti danni peggiori e più duraturi.

Il dottore mistico, infatti, afferma a ragione che tutte le conoscenze e le esperienze che passano attraverso i sensi arrivano ad imprimersi nell’anima che è composta da intelligenza, volontà, sentimenti o memoria e personalità. Se attraverso le finestre dei sensi entra conoscenza positiva allora l’anima crescerà in Grazia, altrimenti sarà deturpata dal fango del peccato che porterà sconquasso nell’intimo, producendo insoddisfazione, angoscia e tristezza. Da ciò segue il consiglio che le finestre dei sensi del corpo si aprano per incamerare il bene e si chiudano per evitare il male: per fare ciò, c’è bisogno di vigilare. Come vigiliamo sull’alimentazione, quando abbiamo da tenere sotto controllo qualche patologia, allo stesso modo dobbiamo vigilare sulle finestre dei sensi per non far incancrenire l’anima. Bisognerebbe far capire ai nostri figli che quando avvertono sentimenti di rabbia, insoddisfazione, inappetenza o troppa appetenza, malinconia e tanto altro, probabilmente, se non vi è un serio motivo fisico, tali sensazioni sono prodotte dall’anima. Esse possono essere viste come dei segnali di richiesta a porre ordine nella gestione delle proprie finestre. Sto leggendo in questi giorni di relativa calma estiva, Scientia Crucis di Santa Teresa Benedetta della croce, al secolo Edith Stein. Si tratta della sua ultima opera, pubblicata postuma, incompleta perché la santa fu deportata nel lager. Leggo questi scritti anche per far passare attraverso le mie finestre, cose sante. In essa, riferito ai piccoli, ai bambini, alle finestre, leggiamo: “L’anima del bambino è tenera e plasmabile. Quanto vi entra, può facilmente assumere forma per tutta la vita. Quando gli eventi della storia della salvezza entrano, nella forma adeguata, già nella prima infanzia nell’anima, allora può esservi gettato facilmente un fondamento per una vita santa.” La domanda è quale possa essere la “forma adeguata”. In fondo è ciò che mi chiedeva il sacerdote quando invocava la traduzione in linguaggio da cucina. Cosa possiamo fare noi genitori o educatori per aiutare i nostri ragazzi? Dovremmo imparare a “perdere” (o meglio, investire) il nostro tempo per stare loro vicini. In che modo? Non va fatto mai con invadenza o forme di controllo esasperato, ma osservando, da lontano, i loro comportamenti e, quando ci accorgiamo che questi cambiano, facendo delle discrete domande. Il confronto si deve svolgere sullo stesso livello, mai affermare che siamo i detentori della verità e che loro sono quelli che sbagliano a prescindere. Anche di fronte a scelte sbagliate cercare sempre la via del dialogo e del ragionamento. Così facendo cercheremo di far comprendere loro la necessità di aprirsi al bello e chiudere le finestre al male che ci spegne la gioia di vivere. Si potrebbe anche prendere spunto da una nostra esperienza fatta in età giovanile, da un film, dalla lezione di filosofia o di religione fatta in classe. Vigilare non basta. Bisogna accompagnarli e, soprattutto, preoccuparci del loro nutrimento spirituale. In che modo? Così come si organizzano le vacanze estive, allo stesso modo, come famiglia, si cerca di donare anche il nutrimento spirituale. Molti potrebbero obiettare che la cosa possa essere assurda, ma credo che si debba osare e chiedere loro un po’di fiducia donando loro dei fine settimana per ragazzi o giovani di riflessioni sui temi a loro più “cari” come possono essere affettività e sessualità secondo il disegno del Padre. Per i più piccoli la cosa migliore è il contatto con la bellezza del mondo della natura. Contemplando le meraviglie del creato sarà molto più semplice parlare dell’amore passionale di Dio e della sua bellezza. Potrebbe essere un modo per preparare il terreno alle esperienze di cui parlava Edith Stein. Un vecchio amico di famiglia che vive alle pendici dell’Etna, ci raccontava che portava spesso i figli a fare lunghissime passeggiate nei boschi o alle pendici del vulcano perché li voleva abituare alle cose belle della natura. Secondo lui, il passo da lì a Dio sarebbe stato breve.

Tutto quanto stiamo dicendo per le famiglie risulta vero anche per i pastori e i presbiteri che sono chiamati ad essere custodi e guide delle anime e quindi a custodire le finestre dei fedeli a loro affidati. I pastori ed i presbiteri dovrebbero custodire e accompagnare con amore i numerosi figli a loro affidati con attenzioni e gesti che, anche se semplici riempiono il cuore di gioia. Tra gli educatori, metto, quindi, anche i presbiteri e i vescovi ai quali, evidentemente, è chiesto di sorvegliare e vigilare sulle finestre del gregge a loro affidato. Un parroco mi confidava che organizzava continuamente incontri e feste amene nella sua parrocchia perché così poteva proporre alle sue pecorelle il pane pregiato della meditazione sulle “cose sante” offerte sotto forma di spettacolo leggero. Con lo stesso scopo, don Zeno inventò le serate di Nomadelfia, spettacoli ideati e messi in scena per abbellire le serate della comunità. Ma anche i docenti a scuola dovrebbero avvertire questa esigenza: preoccuparsi di cosa passa attraverso le “finestre” dei loro alunni. Non è previsto dal contratto? Non fa niente. Non per questo siamo esentati dal servizio.

Infine abbiamo lo spirito che è la parte più intima dell’uomo nella quale, afferma Giovanni della Croce, risiede Dio, il suo soffio, la sede della grazia sacramentale che riceviamo. Vigilando sul corpo, tenendo pura l’anima, l’uomo entra nella parte più intima della propria “camera”, di se stesso e lì si lascia toccare da Dio. Se riusciamo a custodire il corpo e l’anima, allora sarà semplice incontrare Dio che è presente in noi e potremo avvertire la Sua presenza amorevole e le Sue carezze spirituali che danno coraggio nell’affrontare tutto ciò che la vita ci riserva. Non dovremmo mai permettere che i nostri figli abbandonino i sacramenti. Sarebbe spalancare le loro finestre solo su ciò che è materiale ed effimero. Abbiamo il dovere di chiedere loro di fidarsi di noi e seguirci alla celebrazione eucaristica o alla celebrazione del sacramento della riconciliazione, solo per fiducia verso di noi per adesso, anche se non dovessero avvertire nulla. Proporre loro un cammino di vera crescita spirituale (non intrattenimento o luogo di ritrovo parrocchiale per continuare a vivere come prima, solo senza lo sguardo dei genitori) che produca una presa di coscienza di chi sono e chi sono chiamato ad essere: persone libere, felici e non schiavi del mondo materiale. Una volta che riusciranno a percepire che Dio è con loro, li ama e vuole per essi massimo bene, si avrà un duplice movimento: l’entrare dentro la “camera” attraverso la preghiera e la meditazione e, subito dopo, l’uscirne per annunciare ciò che si è sperimentato, cioè Dio. Sembrerebbe assurdo eppure è così. I nostri ragazzi, quando incontrano veramente il Signore, sanno amare e compiere scelte “folli” che li porteranno ad avvicinarsi sempre più alla Grazia, al bene e al bello. Proprio come fece la fanciulla di Nazareth che di fronte alla proposta dell’arcangelo Gabriele decise di dire il suo “Sì” incondizionato. Un’adesione senza calcoli. Folle! A quei tempi aspettare un figlio al di fuori del matrimonio significava essere lapidata. Ma fare anche come Giuseppe che decise, per amore a Dio e alla Vergine, di pronunciare il suo “Sì”, credendo alle parole dell’angelo e di Maria. Non gli interessavano le critiche amici, familiari o gruppi religiosi, si fidò di Dio. Entrambi, Maria e Giuseppe, si sono lasciati toccare fidandosi e senza aver paura che la loro vita cambiasse. 

Questo contatto con Dio nell’intimo del proprio spirito produce anche una purificazione dei limiti umani facendo progredire l’uomo verso la santità, cioè la felicità, che non significa assenza di sofferenza ma vivere quest’ultima, nel solco della serenità. Il peccato, le fragilità restano, ma vengono assunte e trasfigurate in Dio. Discorso per pochi? Non ci riguarda tutti? È ciò che il mondo vuole farci credere, ma non è così. Riguarda ogni singolo battezzato e saremmo degli sciocchi se privassimo noi e i nostri figli di questa così grande occasione. Non ho parlato di lingue e linguaggi, ma di motivazioni e testimonianza. La prima lingua che deve passare in cucina è proprio la testimonianza di uno che ha scoperto la sua perla preziosa e non la baratterebbe con nulla al mondo. Arriveranno le domande e si daranno risposte che a quel punto saranno solo una conferma di ciò che i figli hanno già visto e percepito. Ogni cucina ha un suo “slang” spesso fatto anche di gesti. Se un padre, per esempio, mostra ai figli che sta approfondendo un aspetto della sua vita di fede, avrà detto molte cose. Che ha una vita di fede. Che quella vita per lui è importante. Che non si sente arrivato. Che non è arrivato. Che è alla ricerca di qualcosa che ha già intravisto e che vorrebbe vivere in pieno tanto che è bello. Che la vita va oltre i beni materiali. E tutto ciò, senza aprire bocca.




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.


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