Anno Giuseppino
Non sempre basta essere giusti per fare la cosa giusta

L’anno giuseppino sta per finire, cosa ci lascerà? La certezza che non sempre basta essere giusti per fare la cosa giusta. Spesso c’è bisogno di andare fuori dagli schemi e offrire spazio a Dio come ha fatto Giuseppe.
Si avvia a conclusione l’anno giuseppino e corre l’obbligo di fare una breve riflessione proprio partendo dalla figura di San Giuseppe. Con la conclusione dell’anno liturgico è interessante infatti riflettere su cosa abbia dato questa figura al cammino della Chiesa e al cammino personale di ciascuno di noi.
Sono state tante in questo anno le occasioni per contemplarne la figura e per comprendere cosa può dire il marito di Maria, il padre putativo di Gesù, ancora oggi, alla Chiesa che vive le sfide del terzo millennio. Cosa può dire a ciascun battezzato che è chiamato a farsi interprete del Vangelo nelle difficoltà di questo mondo, la figura del Patrono della Chiesa Universale.
In un recente incontro sono stato profondamente toccato proprio dai passi del Vangelo di Matteo. Al capitolo 1, partendo dal versetto 18 l’evangelista spiega «come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto».
Giuseppe amava Maria, amava Dio, amava la creatura che stava per giungere nella sua vita, eppure la prima decisione, generosa, amorevole, corretta, non è subito quella migliore, quella più giusta. È una scelta corretta, perché Giuseppe è un uomo giusto ma non era la scelta giusta.
Può sembrare un gioco di parole, ma invece è la chiave di lettura che deve aprire alla speranza le prove che affronta ciascuno di noi. Da soli non ce la facciamo ad arrivare alla cosa giusta. È questo l’insegnamento che l’esperienza di Giuseppe mostra a ciascun cristiano e alla stessa Chiesa. Non sempre basta fare la cosa corretta per perseguire la giustizia, alle volte è necessario andare fuori dagli schemi, e aprirsi all’ascolto della Parola di Dio in maniera più autentica e senza pre-clusioni o pre-giudizi.
Il Vangelo ci dice che Giuseppe sente in sé un’agitazione che non lo lascia sereno rispetto alla decisione presa («Mentre però stava pensando a queste cose», Mt 1,20a). Continua a pensarci su… Sta esercitando una forma di giustizia, ma sente nel suo cuore che non è la soluzione giusta.
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Si mette in cammino, si apre al discernimento, all’azione della grazia di Dio che può illuminare la sua mente e il suo cuore. Essere giusto non significa fare la volontà di Dio di default. Giuseppe comprende la pienezza della volontà di Dio in sogno, quando le resistenze razionali sono più allentate. È solo quando decide di lasciare spazio pienamente a Dio che Giuseppe comprende qual è la cosa da fare: «Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù» (Mt 1,24-25).
Giuseppe ci insegna dunque che non basta essere giusti per fare scelte giuste, che abbiamo bisogno di aprirci al discernimento, all’azione della grazia che opera in noi nelle forme più varie. Ci mostra qual è il modo più autentico di vivere la relazione con il Signore e con gli altri. Non limitarsi a quanto il Signore ci ha donato, a quanto il Signore abitualmente muove nel nostro cuore, ma osare di più.
InterpellarLo nelle scelte, ascoltarLo, lasciarLo parlare. È quello che è chiamata a fare anche la Chiesa; è forse proprio questo il patrocinio che San Giuseppe, può offrire, con il suo esempio in questi tempi così difficili da decifrare.
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