
La mascolinità, la femminilità e… la santità del corpo
21 Maggio 2022

La Teologia del corpo è stata spiegata da papa Wojtyla a un mondo che pigramente replicava all’infinito il disco rotto della sessuofobia cattolica. L’accusa è la stessa anche oggi. Ma, come allora, noi cattolici, rispondiamo che la sessualità coniugale non è un rimedio alla concupiscenza ma il linguaggio che permette la completa conoscenza dei due sposi, maschio e femmina come Dio li pensò sin dall’inizio dei tempi.
«Carne dalla mia carne e ossa dalle mie ossa (Gen 2,23): l’uomo maschio pronuncia queste parole come se soltanto alla vista della donna potesse identificare ciò che in modo visibile li rende simili l’uno all’altro, e insieme ciò in cui si manifesta l’umanità. La mascolinità e la femminilità esprimono… la nuova coscienza del senso del proprio corpo: un arricchimento reciproco, come due modi di ‘essere corpo’ e insieme uomo, che si completano reciprocamente».
Sono parole di san Giovanni Paolo II, tratte dal Compendio della Teologia del corpo che il francese Yves Semen ha pubblicato nel 2017 per le Edizioni Ares di Milano.
Non è la prima meritoria fatica di Semen su questo tema. A lui si deve infatti l’averne approfondito e divulgato lo studio sin dai primi anni del nuovo millennio con diversi contributi che, sia detto tra parentesi, con mia moglie ‘saccheggio’ volentieri quando siamo invitati a parlare ai corsi per fidanzati.
La Teologia del corpo è stata spiegata da papa Wojtyla in modo sistematico nelle catechesi del mercoledì dei suoi primi anni di pontificato. Prendendo spunto, come nel passo sopra citato, dalle Scritture, il Papa spiegava – a un mondo che pigramente replicava all’infinito il disco rotto della sessuofobia cattolica – il valore conoscitivo e liberante della sessualità coniugale: considerata non rimedio alla concupiscenza ma linguaggio che solo permette la completa conoscenza dei due sposi, maschio e femmina come Dio li pensò sin dall’inizio dei tempi.
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Non era estranea a queste intuizioni l’appartenenza di Giovanni Paolo II a quella terra di confine con il cristianesimo orientale, ortodosso e non solo, meno toccato dal (pur rispettabile) razionalismo occidentale, platonicamente portato a svalutare la carne rispetto all’idea. E neppure era estranea la dimensione atletica di Wojtyla, un uomo innamorato della vita e della natura (le nuotate nei fiumi della sua Polonia, lo sci, le passeggiate in montagna…).
Di quest’ultimo aspetto ebbi personalmente una prova tangibile agli inizi del maggio 1981 quando, con alunni ed ex alunni del Collegio Borromeo partecipai a un’udienza particolare concessa dal Papa in una sala del Vaticano. Rimasta prudenzialmente a casa mia moglie, incinta, mi feci accompagnare da mia madre Bruna e dalle due nipotine Arianna e Veronica (figlie di mia sorella Lucilla).
Dell’emozionante incontro con il Papa rimane, con il ricordo vivissimo, una foto con un sorridente Wojtyla che, bello come il sole, afferra e stringe vigorosamente e a lungo la mano di mia madre. Compresi all’istante e per così dire plasticamente il senso della Teologia del corpo. Erano ancora anni in cui anche un innocente contatto fisico tra un consacrato e una donna poteva creare qualche imbarazzo, ma quel grand’uomo abbatteva simili quisquilie con la forza felice della sua fede e del suo amore per Cristo, cioè per Dio incarnato e, dunque, redentore della carne.
Di lì a qualche giorno, nel fatale 13 maggio consacrato alla Madonna di Fatima, il Papa sarebbe stato colpito in Piazza San Pietro da Ali Agca: ne seguirono le drammatiche immagini dell’immediata corsa in ospedale, che continuavano a scorrere sugli schermi di tutto il mondo. E successivamente i giornalieri bollettini medici…Sappiamo che il Papa si salvò, perdonò l’attentatore e continuò in una straordinaria militanza cristiana. E sappiamo anche che il suo fisico, pur indebolito, continuò a rappresentare magnificamente la gioia di essere un figlio di Dio, fatto a sua immagine e somiglianza. Ecco la santità ontologica del corpo.
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