La vera libertà

“Non una (o uno) di meno”: è il motto di Dio

Qualche giorno fa ho ascoltato la storia di un frate che prima di lasciarsi amare da Dio ha messo barriere di ogni tipo. Delle vere e proprie corazze, potremmo dire. Ecco cosa ha raccontato di fronte a decine di giovani…

Salutato il catechismo con l’estrema unzione – mi riferisco alla Cresima – ho detto a me stesso che non avrei più rimesso piede in una chiesa. Finalmente la domenica avrei dormito di più e il tempo dedicato alle favolette della religione avrei potuto spenderlo in cose più interessanti. E così ho fatto. 

Ve lo assicuro, a vent’anni non mettevo piede in una chiesa neppure per visitarla. Per coerenza, capite? Il mio motto era “Arrangiati”. Mi sono presto convinto che la vita dipendesse solo da me, che non dovevo contare su nessuno. Tantomeno su Dio. Da quando ho compiuto 18 anni non ho più chiesto un centesimo alla mia famiglia. Mi sono veramente arrangiato: lavoretti, borse di studio… mi sentivo libero e indipendente. 

Avevo amicizie, studiavo, partecipavo a delle feste, ogni tanto combinavo qualche casino… Eppure, dentro, avvertivo un vuoto abissale, un vuoto che mi divorava, un vuoto che mi sembrava incolmabile. Poi mi sono innamorato, sono arrivato perfino in Spagna per lei, ma è andata male. Che delusione, sentivo che mi logorava tenere tutto dentro. Però, per me, che dovevo farmi vedere forte e indistruttibile, non era semplice parlare del mio dolore. Non lo facevo con nessuno. E “nessuno” significa “nessuno”. Un giorno, un amico mi ha chiesto di accompagnarlo ad Assisi. L’ho fatto, ma senza entrare neppure in una chiesa per tutta la giornata. E voi vi chiederete come sia possibile: ad Assisi ci sono più chiese che case. Per coerenza, ricordate? 

La sera, però, nel luogo dove alloggiavamo, ho incontrato una suora. Le donne: sono pericolose le donne, ragazzi. Lei mi si è avvicinata con uno sguardo… cioè, mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha domandato: “Ma tu, come stai?”. E la cosa più straordinaria era che sembrava interessarle davvero. Sono crollate tutte le mie difese. Il mio amico, che aveva capito tutto, ci ha lasciati da soli… Ed io ho parlato ore con la suora, ho pianto, come non facevo da… come non avevo mai fatto, forse. Quella è stata la prima volta che mi sono sentito amato da Dio. Al termine della nostra chiacchierata, la suora mi ha chiesto se avessi voluto partecipare ad un corso vocazionale. Ho riso. “No, grazie, non fa per me…”, le ho detto. L’ho ringraziata e, il giorno seguente, me ne sono tornato a casa.

Dopo quella sera è passato un anno e mezzo, in cui tra e me e Dio non è cambiato molto. Continuavo a studiare e facevo il servizio civile in una casa di riposo… Per me che rifuggivo la debolezza e la fragilità, immaginate cosa sia stato finire a curare piaghe da decubito… Eppure, anche lì, attraverso quel dolore, il Signore mi ha parlato. È stato in quel periodo che ho iniziato a fare i conti con la finitezza della vita, con la nostra impotenza, con le mie maschere da onnipotente. E mi dicevo che non aveva senso nulla. Non aveva senso vivere, non aveva senso morire. Chi poteva salvarmi da quell’abisso? 

Un pomeriggio, uscito dal ricovero, ero così depresso che ho ceduto: sono entrato in una chiesa. Mi sono seduto su una panca, ho iniziato a fissare il lumicino rosso vicino al tabernacolo. Avevo la sensazione di essere guardato. Erano anni che non mettevo piede in chiesa e non ero pratico di certe cose, ma accanto a me era rimasto un foglietto della Messa. Io che non sapevo neppure da che parte si dovesse leggere, sono capitato con lo sguardo sul Vangelo. E indovinate un po’ cosa aveva da dirmi il Signore? Il Vangelo di quel giorno parlava del pastore che va in cerca della pecorella smarrita. Ho svuotato i serbatoi delle ghiandole lacrimali… ho pianto tutte le lacrime che avevo. Mi sono arreso. Dio voleva proprio me, non si è dato pace finché non gli ho permesso di darmi il suo amore”. 

La storia del frate mi ha fatto pensare a quanto insistente – pur nella sua dolcezza e nella sua pazienza – sia Gesù. È Lui che viene a cercarci per primo, senza pretendere nulla. Sta alle porte del nostro cuore, bussa, ma attende che gli apriamo, ma quanto insiste per averci con Lui.

C’è uno slogan femminista che mi colpisce in modo particolare: “Non una di meno”. Quel frate mi ha insegnato che “non una – o uno – di meno” è pure il motto di Dio, che ci vuole tutti, ma proprio tutti, indipendentemente da come siamo o da dove siamo finiti.

Dobbiamo dircelo onestamente: Dio ci lascia liberi (quante volte ci lamentiamo che il Signore non ferma le guerre, che non stoppa le violenze? Essendo Amore puro, è logico pensare che ne soffra. Eppure, considera invalicabile la nostra libertà); ma ci basta essere liberi per avere la gioia vera, quella che ti riempie il cuore… quella che ha trovato il frate? 

La libertà è un dono, un diritto; va garantita e rispettata. Eppure, non è sufficiente per avere la pienezza della vita. Solo l’amore – quello vero – ci sazia e ci disseta al punto che non desideriamo più nient’altro.




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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