MONDO SCUOLA

Puoi essere un eroe a scuola? Sì, se l’eroismo è fare bene il proprio lavoro

Durante gli esami, molti studenti hanno iniziato il loro percorso prendendo spunto da un supereroe. Ci siamo interrogati su questo: o siamo tutti supereroi o nessuno lo è. Non ha senso chiamare eroi gli infermieri o i medici che fanno bene il loro mestiere e poi condurre malissimo il proprio…

Age quod agis è un modo di dire latino che significa Fai quanto stai facendo. Intendendo dire “fallo bene”. La frase è un richiamo a spendere correttamente il presente, dal quale dipende l’avvenire. 

Durante gli ultimi esami di fine ciclo, molti studenti hanno iniziato il loro percorso prendendo spunto da qualche personaggio, in genere un supereroe dotato di qualche potere soprannaturale, di quelli che la Marvel, casa produttrice, propone con sempre più frequenza ed insistenza. 

Si tratta di un media franchise incentrato su una serie di film di supereroi prodotti dai Marvel Studios e basati sui personaggi apparsi nelle pubblicazioni della Marvel Comics. La lista è ormai lunga a partire da Iron man (2008) fino agli Avengers. A turno, soprattutto i maschi, ce li hanno raccontati come metafora e filo conduttore delle loro vicende scolastiche. 

In genere l’eroe è incarnazione di un modello ritenuto positivo e perseguibile dalla società che gli ha dato i natali. È importante notare che di questi eroi moderni non venga colta quella che sembra la più importante delle caratteristiche per una persona positiva del nostro tempo: la capacità di collaborare mettendo al servizio di un progetto o di uno scopo una propria capacità. Se c’è una cosa che il tempo dell’emergenza sanitaria ci ha insegnato, credo possa essere che non esistono eroi o super eroi. Nonostante una narrazione che andava in quella direzione.  

Ripetutamente siamo stati invitati ad intravederli nei medici, negli infermieri, nei virologi, persino in alcuni politici che hanno indossato anche con piacere i panni del “capo popolo” dalle cui labbra dipende la salvezza della Nazione e del mondo intero. La realtà è stata migliore e molto più prosaica. 

Durante gli esami mi è venuto alla mente il detto latino col quale ho iniziato l’articolo. Insieme ad un altro episodio tratto dalla storia di Roma, che forse ha molto da ispirarci in questo anno ancora di crisi, stavolta energetica da stress bellico. 

L’episodio storico a cui faccio riferimento ci è stato tramandato da Tito Livio e riguarda il discorso che Menenio Agrippa, senatore romano, tenne ai plebei rivoltosi che avevano occupato il monte sacro per ottenere la parificazione dei loro diritti con quelli dei patrizi. Stando al racconto dello storico romano, il senatore utilizzò una metafora riferita al corpo umano secondo la quale le diverse membra ruppero le relazioni con lo stomaco, ritenendolo ozioso, decidendo che le mani non portassero più cibo alla bocca, che i denti non lo masticassero e così via. Così facendo però le diverse membra finirono con l’indebolirsi non ricevendo da parte dello stomaco la distribuzione delle energie necessarie. Il senso era ed è chiaro: dalla discordia hanno tutti da perdere mentre con la concordia si rimane in salute

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Tutti abbiamo molto da imparare da questa vicenda. Ciò che dei film della Marvel andrebbe rimarcato è il fatto che il dono del supereroe ha senso quando viene messo a disposizione dell’intera comunità. E che, in fondo, ogni essere umano ha almeno una capacità da mettere a disposizione. I tempi in cui viviamo, tuttavia, tendono a far fruttificare il proprio dono in “ritorno di immagine” che è l’esatto contrario di ciò che serve. Le cronache dei giorni nei quali scrivo, sono piene di contrapposizioni tra famiglie e docenti, per esempio. 

I giovani come usciranno da tali contrapposizioni? Mi limito a riportare ciò che vedo dalla cattedra. La prima considerazione è che o siamo tutti supereroi o nessuno lo è. O ciascuno di noi mette a frutto pienamente il proprio dono oppure non vale la pena mettersi a decantare gli altri che lo fanno. Non ha senso chiamare eroi gli infermieri che fanno bene il loro mestiere e poi condurre malissimo il proprio. Ognuno di noi, nel luogo dove è chiamato a vivere e/o a lavorare, ha una missione da compiere per la quale ha delle qualità che gli vengono implicitamente o esplicitamente riconosciute. E la missione di ciascuno è grande. Come sarebbe la scuola se docenti e genitori facessero memoria comune della grandezza della rispettiva missione? Se riconoscessero entrambi la ricaduta sociale del proprio “lavoro” sul ragazzo che hanno in comune? Se genitori e docenti procedessero più d’accordo e non, come spesso avviene, in contrapposizione, si perseguirebbe, con maggiore speranza di successo, l’obiettivo comune che è sempre più grande dei singoli obiettivi. La grande vera lacuna dei nostri tempi è la mancanza nel “fare squadra”. 

Per coloro che poi affrontano la vita dal versante di una fede, la missione è addirittura da far tremare il sangue nelle vene: si tratta, in questi casi, di accompagnare il ragazzo sulla via della presa di coscienza della meta ultima della propria vita e di come questa indirizzi le scelte che si fanno qui sulla terra. Per chi crede che l’anima sia immortale, accompagnarla nella sua formazione, ha a che vedere con l’Eterno. Si capisce bene che nel tempo in cui un qualunque tik toker si inventa una semplice idiozia, sicuro che migliaia di ragazzi lo seguiranno, diventa un’impresa titanica. Esempi? Abbiamo già parlato dei riparatori di pareti attraverso lo sfregamento di pezzi di gesso. Negli ultimi giorni i ragazzi ci svengono fintamente in classe perché lo hanno visto su tik tok oppure appendono in infinite copie penne sui righelli appoggiandoli al banco. Nati originali, per l’infinito, finiscono così a replicare in maniera vegetale e acritica stranezze di un tizio che, in definitiva, li sfrutta per il proprio tornaconto economico. Tik tok li segue fin sul cuscino del letto, fino alle due di notte, all’insaputa dei genitori, mentre io o i colleghi abbiamo poche ore per incidere, tra l’altro partendo da un’istituzione, la scuola, che non raccoglie la loro simpatia. Ce la faremo? 

Chi ha paura di lavorare in squadra non va da nessuna parte. Ecco l’atto eroico che ci viene chiesto. Age quod agis: fai bene quel poco che ti viene chiesto. Sappi che da ciò che fai, anche se apparentemente insignificante, dipende il futuro dei nostri ragazzi. 

Su questa scia, anche papa Francesco ha avuto parole di sprono: “Vi chiedo di amare di più gli studenti ‘difficili’, quelli che non vogliono studiare, quelli che si trovano in condizioni di disagio, i disabili e gli stranieri, che oggi sono una grande sfida per la scuola. E ce ne sono di quelli che fanno perdere la pazienza.” 

Parole già sentite dalla bocca del pontefice. Meno scontato è ciò che ha aggiunto dopo: “Gesù direbbe: se amate solo quelli che studiano, che sono ben educati, che merito avete? Qualsiasi insegnante si trova bene con questi studenti.” Infine, la missione indicataci: “In una società che fatica a trovare punti di riferimento è necessario che i giovani trovino nella scuola un riferimento positivo. Essa può esserlo o diventarlo se al suo interno ci sono insegnanti capaci di dare un senso alla scuola, allo studio e alla cultura, senza ridurre tutto alla sola trasmissione di conoscenze tecniche, ma puntando a costruire una relazione educativa con ciascuno studente, che deve sentirsi accolto ed amato per quello che è, con tutti i suoi limiti e le sue potenzialità. Per trasmettere contenuti è sufficiente un computer, per capire come si ama, quali sono i valori, e quali le abitudini che creano armonia nella società ci vuole un buon insegnante”. 

In fondo è questo il compito degli adulti, insegnanti o genitori che siano: saper far prendere coscienza dei limiti e delle potenzialità, facendo, semplicemente, ciò che siamo chiamati a svolgere. 




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stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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Piero Del Bene

Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare.

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