Quanto state accogliendo il sacramento del matrimonio?

16 Dicembre 2022

Il dono sacramentale del matrimonio è lo stesso, per ogni coppia. I beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, i santi Luigi e Zelia Martin hanno ricevuto lo stesso dono che ricevono tutti gli sposi. Ciò che distingue e che fa la differenza sono i modi di accogliere e di far crescere il legame coniugale attraverso la Grazia. Noi quanto accogliamo questo dono?

La Grazia del Sacramento del matrimonio può superare la fragilità radicale dell’amore umano, i limiti, le delusioni, la ritrosia, la stanchezza? 

Sempre più persone, anche nell’ambito ecclesiale, se lo chiedono. Questa domanda sembra essere, tuttavia, una grande tentazione che striscia nei cuori di molti cristiani, sia laici che chierici, e che, subdolamente, inizia a sussurrare che la Grazia del Sacramento del Matrimonio sia, in fondo, debole, incapace di superare le ferite e le difficoltà umane. In altre parole, secondo coloro che sono animati da tali pensieri, gli sposi non potranno mai vivere l’indissolubilità del matrimonio e l’ideale del matrimonio sacramento è troppo alto per il loro povero amore. 

Questa può essere definita come la tentazione del “pelagianesimo della fragilità”. È molto attuale, tanto da essere combattuta anche da papa Francesco nella sua Esortazione Gaudete et exsultate (ai numeri 47-49; 57-59). Al numero 57 si legge: «Ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa».

Ovviamente, le forze umane da sole non sono sufficienti. Questo nuovo pelagianesimo della fragilità che non è più abituato a credere nella forza della Grazia, non può fare altro che pensare che la ferita sia più forte di essa. È come se si affermasse che l’uomo, nonostante il battesimo e gli altri sacramenti ricevuti, non potrà mai arrivare o tornare al bene. Ciò lo costringerebbe a vivere una vita mediocre, rassegnata, con lo sguardo rivolto in basso e non al Cielo rinnegando le parole del salmista: «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra. Non lascerà vacillare il tuo piede» (Salmo 120). 

È come affermare che lo Spirito Santo abbia rinunciato alla sua missione. Niente di più falso! Come nelle nozze a Cana l’acqua si trasforma in vino, analogamente, per opera dello Spirito Santo, l’amore degli sposi si trasforma in amore divino. Lo Spirito rende gli sposi capaci di amare come Cristo ci ha amato. Gli sposi, attraverso la carità coniugale (loro proprium), sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo fino al dono di sé sulla croce. A conformarsi alla sua passione che sprigiona la capacità di amare di un amore oblativo, di donazione totale, superando la fragilità umana. Qualcosa di simile accade anche nel sacramento dell’ordine durante la creazione di un nuovo sacerdote. 

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Il vescovo, con la consegna del pane e del vino, dona queste parole al nuovo presbitero: «Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo». Per gli sposi una possibile traduzione potrebbe essere: “Rendetevi conto di ciò che siete diventati, Cristo vivo. Vivete ciò che adesso siete e conformatevi al mistero della croce, cioè amatevi di un amore di donazione pieno”.

Quel particolare rituale del matrimonio bizantino, detto incoronazione, esprime simbolicamente, ma pienamente, questo mistero. La cerimonia dell’incoronazione segna la presa di possesso degli sposi da parte dello Spirito Santo che li unisce mentre il sacerdote pronuncia la preghiera di benedizione con l’epiclesi. L’incoronazione si conclude con il singolare rito della danza nuziale. Il sacerdote tiene la croce nella mano destra e la solleva, mentre con la mano sinistra prende la mano del marito che stringe, a sua volta, la mano della moglie. I testimoni seguono. 

Il corteo così formato, danza in processione attorno al tavolo nuziale, seguendo la croce, mentre si canta il Tropario che evoca i santi sposi martiri: «Santi Martiri che avete combattuto valorosamente e avete ricevuto la corona, intercedete presso il Signore perché abbia pietà delle anime nostre. Gloria a Te, Cristo Dio, fierezza degli Apostoli, gioia dei Martiri, la cui predicazione era la Trinità consustanziale».

Vengono evocati i martiri perché gli sposi possono davvero essere qualificati tali. Non perché, come recitano alcune battute cattive, il matrimonio è una via crucis ma perché lo Spirito Santo, effuso in loro, li abilita ad amare con lo stesso amore con cui Cristo ha amato la Chiesa, fino a donare la propria vita al coniuge. Questo è il dono specifico del matrimonio: la reale e concreta partecipazione all’amore indissolubile di Cristo che dona la sua vita sulla Croce. Forse riusciamo, ora, a comprendere meglio le parole che l’uomo, lasciato dalla moglie, sentì nitide nella sua anima: “Vuoi andartene anche tu? Vuoi lasciarmi? Io rimango!”. Sono le stesse parole che Gesù pronuncia ai suoi discepoli quando il cammino richiede di operare scelte radicali nel senso di radicate in Cristo: «Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 
Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 66-69).




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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