“Com’è il tuo sguardo sugli altri?” Riflettendo con Papa Francesco

Papa Francesco all’udienza:Ognuno di noi è dunque invitato a chiedersi: com’è il nostro sguardo verso gli altri? Quante volte ne vediamo i difetti e non le necessità; quante volte etichettiamo le persone per ciò che fanno o ciò che pensano! Anche come cristiani ci diciamo: è dei nostri o non è dei nostri? Questo non è lo sguardo di Gesù…”

Nella mattina di mercoledì 11 gennaio, durante l’udienza, il papa ha iniziato nuovo ciclo di catechesi, dedicato a un tema urgente e decisivo per la vita cristiana: la passione per l’evangelizzazione, cioè lo zelo apostolico. “Si tratta di una dimensione vitale per la Chiesa: – ha spiegato il pontefice – la comunità dei discepoli di Gesù nasce infatti apostolica, nasce missionaria, non proselitista”.

Qui, il pontefice si sofferma: “dall’inizio dovevamo distinguere questo: essere missionario, essere apostolico, evangelizzare non è lo stesso di fare proselitismo, niente a che vedere una cosa con l’altra”. 

È lo Spirito Santo che plasma la Chiesa e la invia “perché non sia ripiegata su sé stessa, ma estroversa, testimone contagiosa di Gesù”. La fede, infatti, “si contagia”, “protesa a irradiare la sua luce fino agli estremi confini della terra”. 

È possibile, però, che l’ardore apostolico, il desiderio di raggiungere gli altri con il buon annuncio del Vangelo, diminuisca, divenga tiepido? Il santo Padre è consapevole che questo può succedere. Questo ardore, infatti, spiega A “volte sembra eclissarsi, sono cristiani chiusi, non pensano agli altri. Ma quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’evangelizzazione, l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Senza zelo apostolico, la fede appassisce”. 

Senza missione, però non c’è Chiesa: “La missione è l’ossigeno della vita cristiana: la tonifica e la purifica”. 

A questo punto, il papa prende spunto da un episodio evangelico: la chiamata dell’apostolo Matteo.

“Tutto inizia da Gesù, il quale ‘vede’ – dice il testo – «un uomo». In pochi vedevano Matteo così com’era: lo conoscevano come colui che stava ‘seduto al banco delle imposte’ (v. 9). Era infatti esattore delle tasse: uno, cioè, che riscuoteva i tributi per conto dell’impero romano che occupava la Palestina. In altre parole, era un collaborazionista, un traditore del popolo. Possiamo immaginare il disprezzo che la gente provava per lui: era un “pubblicano”, così si chiamava”. 

Eppure, spiega Francesco “agli occhi di Gesù, Matteo è un uomo, con le sue miserie e la sua grandezza”. “Gesù non si ferma agli aggettivi, Gesù sempre cerca il sostantivo. ‘Questo è un peccatore, questo è un tale per quale…’ sono degli aggettivi: Gesù va alla persona, al cuore, questa è una persona, questo è un uomo, questa è una donna, Gesù va alla sostanza, al sostantivo, mai all’aggettivo, lascia perdere gli aggettivi”. 

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E mentre tra Matteo e la sua gente c’è distanza “perché loro vedevano l’aggettivo, ‘pubblicano’, Gesù si avvicina a lui, perché ogni uomo è amato da Dio. ‘Anche questo disgraziato?’. Sì, anche questo disgraziato, anzi Lui è venuto per questo disgraziato, lo dice il Vangelo: ‘Io sono venuto per i peccatori, non per i giusti’. 

Secondo Francesco “Questo sguardo di Gesù che è bellissimo, che vede l’altro, chiunque sia, come destinatario di amore, è l’inizio della passione evangelizzatrice”.

Ognuno di noi è dunque invitato a chiedersi “com’è il nostro sguardo verso gli altri? Quante volte ne vediamo i difetti e non le necessità; quante volte etichettiamo le persone per ciò che fanno o ciò che pensano! Anche come cristiani ci diciamo: è dei nostri o non è dei nostri? Questo non è lo sguardo di Gesù: Lui guarda sempre ciascuno con misericordia, anzi con predilezione. E i cristiani sono chiamati a fare come Cristo, guardando come Lui specialmente i cosiddetti ‘lontani’”. 

“Dopo essersi alzato e aver seguito Gesù, dove andrà Matteo? Potremmo immaginare che, cambiata la vita di quell’uomo, il Maestro lo conduca verso nuovi incontri, nuove esperienze spirituali. No, o almeno non subito. Per prima cosa Gesù va a casa sua; lì Matteo gli prepara «un grande banchetto», a cui «partecipa una folla numerosa di pubblicani» (Lc 5,20) cioè gente come lui”. 

Su questo il papa si sofferma: “Matteo torna nel suo ambiente, ma ci torna cambiato e con Gesù. Il suo zelo apostolico non comincia in un luogo nuovo, puro, un luogo ideale, lontano, ma lì, comincia dove vive, con la gente che conosce. Ecco il messaggio per noi: non dobbiamo attendere di essere perfetti e di aver fatto un lungo cammino dietro a Gesù per testimoniarlo; il nostro annuncio comincia oggi, lì dove viviamo”. 

E come comincia? “Non comincia cercando di convincere gli altri, convincere no: ma testimoniando ogni giorno la bellezza dell’Amore che ci ha guardati e ci ha rialzati e sarà questa bellezza, comunicare questa bellezza a convincere la gente, non comunicare noi, ma lo stesso Signore”. Poi cita il suo predecessore “Come ci ha insegnato Papa Benedetto, «la Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per attrazione»”.




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