“Una parte di noi è già in Cielo”: racconto di una mamma che vive da risorta (parte 1)

Oggi inizio a raccontarvi la storia di Andrea: un bambino su cui Dio ha avuto un disegno speciale. Vi parlerò di una croce diventata vita; di come anche le ferite che sanguinano di più possono essere curate dal balsamo della grazia. Chi parla è la mamma… e la sua testimonianza ci farà compagnia per alcune settimane: vi aspetta tutti i mercoledì, a partire da oggi.

Io e mio marito ci siamo sposati cinque anni fa, dopo aver cercato di vivere un fidanzamento alla luce del Vangelo. Ci siamo impegnati a mettere Gesù al centro della nostra relazione sin dall’inizio. 

Lo dico senza paura di sembrare fanatica: era Dio, spesso, ad aiutarci a fare pace. A volte, nel bel mezzo di un litigio, se avevamo la possibilità, ci recavamo in chiesa, affidavamo al Santissimo i nostri problemi. 

Entravamo arrabbiati e distanti; ci sedevamo su due panche diverse… poi, piano piano, dopo un po’ che pregavamo, ciascuno faceva un passo verso l’altro, finché non ci sedevamo sulla stessa panca per trovare una via di riconciliazione. 

Davanti al Signore, ognuno vedeva con più facilità le proprie mancanze e tollerava con più misericordia quelle dell’altro. 

È solo un piccolo aneddoto, per dire che Dio ci ha guidati fino all’altare in modo concreto, giorno per giorno, passo dopo passo. Ha levigato le durezze dei nostri cuori e ci ha aiutato a dire un “sì” sincero e consapevole all’altro. Il che non significa che non avessimo un po’ di paura, ma eravamo certi che il Signore fosse garante di una promessa più grande di noi.    

Il giorno del nostro matrimonio siamo stati investiti, consacrati, uniti da un amore immenso: Dio sigillava la sua alleanza con noi, non ci avrebbe più lasciati.

Non eravamo solo io e mio marito a prometterci fedeltà, Dio per primo la prometteva alla nostra famiglia. Questo ci rassicurava. 

Torno con la memoria a quel giorno, all’emozione grande nel percorrere la navata della chiesa, alla tensione che ci pietrificava. Al sacerdote che, durante l’omelia, ci dona tre simboli: l’ancora, il cuore, la croce. 

Dio doveva essere l’àncora che faceva stare ben piazzata la barca della nostra famiglia, il suo amore doveva esserne il motore… e poi c’era la croce, simbolo di morte, ma, con Dio, anche di Salvezza. 

Ci donava quella croce, la croce di Gesù, perché fosse la nostra forza nelle croci della vita.

Ci pensiamo poco, in quel giorno gioioso e di festa, che nella vita insieme ci attenderanno anche croci. 

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Ricordo bene il momento delle promesse. 

La mia mente, ora, si sofferma in particolare sulla promessa di “accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarci”.

Quanto è grande quella promessa? Fa tremare i vetri, se uno la prende e la pronuncia sul serio. Leggiamola con attenzione: “Ci impegniamo ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarci”.

Lasciavamo a Dio il potere di decidere come, quando e quali figli darci. 

Gli davamo carta bianca. Non è uguale decidere di “fare da sé” o “lasciarsi stupire dal Signore”. Lasciar fare a qualcun altro implica accettare lo stile dell’altro, le scelte dell’altro. Implica anche accettare delle sorprese. 

Così è stato per noi, ma ci arriveremo.

Certo è che, come dice una mia amica, due sposi diventano custodi e “ministri della vita” per il Signore. Diventano custodi dei suoi doni. 

E un dono si accoglie, non si seleziona. 

Arriva quando l’altro sceglie di dartelo, non si programma. 

La prima lettura del rito del nostro matrimonio è stata questa:

Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». (Gn 18, 1-10)

Quel brano non l’avevamo scelto: era la prima lettura di quella domenica.

Eppure, per la nostra famiglia è stata una profezia: perché, esattamente un anno dopo, abbiamo festeggiato l’anniversario delle nozze donando il battesimo al nostro primogenito.

Eravamo così felici di essere diventati in tre…

Per ora ci fermiamo qui, ma continueremo il racconto la prossima settimana!




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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