Come va la comunicazione nella nostra coppia? Alcuni spunti da Pierluigi Bartolomei

Io e mio marito ci siamo presi del tempo per noi, per andare ad ascoltare Pierluigi Bartolomei, padre di cinque figli ed esperto nel campo dell’educazione. Ci ha divertiti (divertendosi lui stesso) usando un cabaret, con cui gira tutta Italia da anni, raccontando le mirabolanti incomprensioni quotidiane tra due persone che parlano tra loro senza capirsi: marito e moglie. 

L’altra sera ho avuto la folle idea di acciuffare mio marito e portarlo ad un evento a due ore d’auto da casa nostra. In realtà guidava lui, quindi non ho il merito di averci condotto a destinazione, con una galoppata di tutto rispetto, per uno spettacolo che avrebbe avuto come tema la comunicazione all’interno della coppia.

Devo dire che nonostante la stanchezza a fine serata, che ci ha fatti crollare un minuto dopo il nostro rientro, l’esperienza è valsa la pena. Per diversi motivi.

In primis perché riuscire a placcare un uomo per due ore consecutive in un luogo fisico da cui non possa evadere, per potergli raccontare cose a ruota libera, è occasione rara che una moglie non può lasciarsi scappare. 

Per me viaggiare senza prole in sottofondo con mio marito di fianco e potergli parlare del più e del meno è sempre motivo di grande soddisfazione (non so se lo sia altrettanto per lui, forse applica livelli avanzati di ascolto selettivo o ha delle cuffie per la musica impiantate sul timpano per non sentirmi).

In secondo luogo, perché Pierluigi Bartolomei, l’oggetto del nostro interesse, è talmente spassoso e intelligente da rendere un argomento complicato e a volte dolente come la comunicazione uomo-donna la cornice ideale per spiegare in scioltezza come siamo fatti e come potremmo fare per capirci meglio, ridendoci sopra peraltro.

In stile one man show, questo signore di mezza età, padre di cinque figli, e esperto nel campo dell’educazione ci ha divertiti (divertendosi lui stesso) usando un cabaret, con cui gira tutta Italia da anni, raccontando le mirabolanti incomprensioni quotidiane tra due persone che parlano tra loro senza capirsi, e che si chiamano marito e moglie.

Sì, ad essere onesti il linguaggio dell’amore in una coppia ha un livello di semplicità paragonabile più o meno al sanscrito, quello antico. Comunicare amore al proprio coniuge è spesso fonte di grande frustrazione, va da sé che siano parecchie le volte in cui non ci si sente compresi, e ancora più spesso siamo oggetto di attenzioni che percepiamo insufficienti quando non addirittura fastidiose.
Il problema di fondo, a detta di Pierluigi (il cui monologo “I cinque linguaggi dell’amore” prende spunto dall’omonimo libro di Gary Chapman, celebre consulente di coppia statunitense) sta nel fatto che comunicare amore nella coppia è complesso, perché di fatto abbiamo a disposizione non uno solo, ma addirittura cinque linguaggi diversi.

Parole d’affermazione, tempo di qualità, doni materiali, atti di servizio e contatto fisico. Ecco, in sintesi, le cinque strade della comunicazione che ciascuno di noi può usare per veicolare il proprio amore all’amato.

Leggi anche: Tempo per sé, tempo di coppia, tempo per i figli: come tenere insieme tutto? (puntofamiglia.net)

E allora come mai, se le possibilità di scambiarci amore sono così varie e molteplici, spesso uomo e donna pare non si sentano soddisfatti da ciò che ricevono dal proprio partner?
L’inghippo nasce dal fatto che ciascuno di noi, per predisposizione naturale e per esperienza affettiva familiare, è allenato a parlare in particolare solo un linguaggio tra i cinque, dunque a riconoscerlo come efficace per sé e a usarlo per il partner. E gli altri quattro linguaggi che fine fanno? Solo due verranno riconosciuti in modo non principale ma comunque significativo. I restanti due rimarranno marginali e non compresi, non parlati, non usati. Lingue di cui si conosceranno di certo i suoni, che però non si sapranno ben interpretare né coordinare.

Un bel problema allora, quando per esempio una donna che parla principalmente il linguaggio del tempo di qualità (la ricerca di momenti esclusivi e piacevoli da vivere con il proprio partner) sposa un uomo che parla principalmente il linguaggio degli atti di servizio (quello del fare cose utili, ad esempio mettere la benzina all’auto di lei o cambiare il sifone della doccia rotto). Lei avrà il broncio sentendosi frustrata, perché il marito non la invita fuori a cena dagli anni ’90, e intanto lui, avendo appena finito di sturare il lavandino, non si capacita di come la moglie non apprezzi la prodezza idraulica, espressione di massima amorevolezza (nel suo linguaggio, ma non in quello di lei).
Ecco che parlare lingue diverse tra due persone che di fatto si amano ma non riescono a dirselo in modo comprensibile possa generare amarezze quotidiane, fino alla convinzione reciproca che nella coppia non ci sia più un sentimento condiviso.Chiaramente, questa sintesi dà un’idea solo per sommi capi di quanto sia importante conoscere e riconoscere il linguaggio dell’amore dell’altro, per i coniugi che abbiano il desiderio di arricchirsi a vicenda.
Ma come si fa a capire qual è il modo migliore per rendersi comprensibili a chi si ama?
Parlando, chiedendo esplicitamente cosa fa sentire amati. E osservando il linguaggio utilizzato in prevalenza dal proprio partner. Un marito che usa gesti d’affetto e prossimità fisica costanti, nonostante possano essere percepiti a volte invadenti dall’altro lato, probabilmente parla il linguaggio del contatto fisico perché è quello che percepisce egli stesso come amorevole quando rivolto a sé stesso.
In conclusione, ringrazio Pierluigi Bartolomei per aver accettato la sfida di raccontare con leggerezza la fatica di un impegno che si rinnova ogni giorno, quello dell’amore coniugale che prova a resistere agli anni. Che nulla ha a che vedere con gli sbalzi ormonali dell’innamoramento iniziale.
Ad ogni coppia l’augurio di sperimentare la bellezza di crescere insieme nella conoscenza reciproca. Parlando lo stesso linguaggio, semplicemente per amarsi un po’ di più.




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Lisa Zuccarini

Lisa Zuccarini, classe '83, è una moglie e mamma che ha studiato medicina per poi capire alla fine di essere fatta per la parannanza più che per il camice. Vive col marito e i loro due bambini. Dal 2021 ha scoperto che scrivere le piace, al punto da pubblicare un libro edito da Berica Editrice, "Doc a chi?!", dove racconta la sua vita temeraria di mamma h24 e spiega che dire sì alla vocazione alla famiglia nel ventunesimo secolo si può, ed è anche molto bello.

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