Un feto di nove settimane merita un funerale? La vicenda di Andrea

Angelo

Una mamma racconta la fatica – ma anche la gioia – di essere riuscita, insieme al marito, a ottenere il funerale per il loro piccolo morto ancora in grembo, a nove settimane di gestazione. “Per legge era solo materiale organico, – spiega – ma per noi era già un figlio amato. Le pompe funebri ci hanno ottenuto i permessi e regalato l’intero servizio funebre: un vero, chiaro, segno della Provvidenza”. (Proseguendo la testimonianza delle scorse settimane…)

Mio figlio non c’era più, ma il suo corpicino era ancora dentro di me. Ed io volevo sottopormi ad un intervento, così da poterlo portare via e garantirgli un funerale. La dottoressa, però, mi dice subito che si può: “il materiale” che avrebbero raccolto sarebbe dovuto andare in laboratorio, per l’esame istologico. Inoltre, per legge, io non potevo portarlo via dall’ospedale: era solo “materiale organico”.

Ci sono rimasta male, ma mi sono detta: “Signore, io ci ho provato. Sono in pace”.

“Allora, – mi ha detto quindi la dottoressa – se non è possibile fare il funerale, vuole ancora fare l’intervento?”

“No… se la fine che fa il bambino è la stessa, no…” 

Però, subito dopo averlo detto, mi è venuta in mente un’altra proposta: “Scusate, ma se anche non potrò portarlo via e fare un funerale in chiesa, se dovessi fare l’intervento, sarebbe possibile far venire il cappellano dell’ospedale a fare una piccola preghiera funebre, per salutarlo?”

Inizialmente mi hanno detto che anche questo era molto difficile.

La dottoressa che mi stava visitando in quel momento avrebbe anche accettato di “farmi la cortesia”, ma lei sarebbe stata di turno solo il martedì successivo (5 giorni dopo) e, molto probabilmente, il feto sarebbe venuto via in modo naturale prima, se non avessi fissato l’intervento di lì a poche ore.

“Dovresti fare l’intervento presto, per esempio sabato che c’è posto… – mi ha detto – ma non me la sento di lasciare questa incombenza al collega che verrà…”

Sembrava che non ci fosse soluzione.

In cuor mio: “Signore, se queste ispirazioni me le hai date tu, trova tu le soluzioni!”.

Subito dopo quella mia preghiera, la dottoressa ha ripreso: “Dai, vediamo chi c’è sabato mattina…”

Ha controllato la lista con i turni e ha sorriso. “Ma guarda un po’ chi c’è sabato! – ha esclamato poi – La dottoressa B. …”

Io la guardavo senza capire. Quindi riprende: “Sorrido perché è la dottoressa più credente del reparto… è l’unica che potrebbe acconsentire. Se vuoi, la chiamo!” 

La dottoressa credente, allora, ha detto di sì: sia a fare l’intervento, sia far entrare il cappellano per una benedizione. 

Ero felice, per me era già tanto aver ottenuto questo.

Mio marito, però, non si è arreso e qualche ora dopo mi ha detto: “Proviamo a sentire le pompe funebri. Cosa si fa quando muore qualcuno? Non si chiamano le pompe funebri? Proviamo a sentire loro, diciamo che vogliamo il funerale e vediamo cosa ci dicono…”

“All’ospedale mi hanno detto che non si può… ma se vuoi toglierti il dubbio, chiama…”

Quando abbiamo chiamato ci hanno detto che secondo loro in qualche modo era possibile! Si sarebbero informati meglio e ci avrebbero richiamato.

L’indomani mattina, mio marito era a casa – aveva preso un giorno da lavoro, vista la situazione – e una volta lasciati i bambini ai nonni ci siamo preparati per andare a messa. Avevo bisogno di stare unita al Signore, in quelle ore così difficili.

E proprio mentre eravamo a messa, a ridosso della Consacrazione, il cellulare di mio marito ha iniziato a vibrare. È uscito per rispondere: erano le pompe funebri, dovevano comunicarci che, con tanti permessi e tante firme, era possibile ottenere di portare via il piccolo e seppellirlo al cimitero! Così, dopo la messa, ci siamo recati personalmente in agenzia per definire il tutto.

Mentre eravamo in macchina, io e mio marito ci dicevamo: “Avranno smobilitato il mondo intero perché per loro è un lavoro… sono soldi… per questo hanno perso un sacco di tempo a chiamare il comune, i cimiteri della zona, il distretto sanitario ecc… ma non importa, si spende quello che serve. La vita di nostro figlio vale più dei soldi.”

Mio marito era d’accordo.

Una volta arrivati nella sede delle onoranze funebri ci hanno subito spiegato la questione: la procedura da seguire non era quella standard per le “salme” perché il nostro piccolo purtroppo risultava “materiale organico”.

Il responsabile dell’agenzia aveva quasi paura di pronunciare quella dicitura davanti a me. “Comunque, passando attraverso la ASL ce la faremo…”, ci ha detto. 

E ci ha rassicurato che erano in contatto con l’obitorio e con l’ospedale: la nostra richiesta sarebbe stata esaudita…

Da quel momento ho iniziato a chiedere preghiere alle persone care perché tutto andasse bene, perché potessi fare l’operazione senza problemi e svolgere un regolare funerale. 

Ero in ansia, ma dentro di me sentivo che tutto sarebbe filato liscio.

Infatti, durante la messa, dopo che mio marito aveva ottenuto un primo segnale positivo sulla possibilità di fare il funerale, mi sono rivolta a Dio in questo modo: “Gesù… io mi ero accontentata di una benedizione in ospedale, ma sembra che Tu stai disponendo tutto perché ci sia un funerale vero e proprio, perché? Perché vuoi proprio un funerale? Ne ha bisogno il mio bambino?”

Leggi anche: Una parte di noi è già in cielo (Parte 5) (puntofamiglia.net)

Dentro di me ho sentito un’ispirazione chiara come risposta: il funerale lo si fa a una persona cara, a qualcuno che c’è stato ed abbiamo amato. Il funerale, oltre ad avere una funzione religiosa (aiutare l’anima a raggiungere prima il Paradiso) ha un grande valore simbolico: indica in modo chiaro, “ufficiale” che si è in presenza di un essere umano per cui Cristo ha versato il suo preziosissimo sangue, non di una cosa. Per tanti, all’età gestazionale in cui era morto il mio bimbo, non c’era ancora una persona, non c’era ancora nessuno. Quella vita per tanti era insignificante. Noi dovevamo testimoniare il contrario.

Durante il colloquio con le pompe funebri abbiamo anche chiamato il nostro parroco, che ha subito acconsentito a svolgere il funerale.

Rimaneva una sola cosa da chiarire: quanto ci sarebbe costato il tutto?

Ma la risposta del titolare ci ha completamente spiazzato: “Niente. Il servizio lo offriamo noi, pagherete solo la cassettina in legno nel quale lo riporremo”.

Eravamo increduli. Possibile che ci regalavano tre giorni di lavoro? Ore impiegate al telefono, viaggi per ritirare i documenti, trasporto del piccolo ecc.? 

D’altronde, era il loro lavoro: lo avremmo capito se ci avessero fatto pagare. 

Anzi, pensavamo che stessero smobilitando mezza regione proprio perché per loro significava guadagnarci.

E invece, in un mondo dove nessuno regala nulla, loro ci regalavano un intero servizio funebre e nemmeno ci conoscevano, solo perché …erano rimasti colpiti dalla nostra testimonianza! 

Il giorno dopo, sabato 6 giugno, io e mio marito ci siamo recati in ospedale verso le 7.30 della mattina. Non sapevamo bene a che ora mi avrebbero operata, ma dovevo farmi trovare lì a quell’ora, digiuna, per essere pronta in qualsiasi momento.

Il reparto di ginecologia in cui sono entrata era lo stesso in cui ero stata ricoverata per il parto del primo figlio. Avrei dovuto provare una tristezza indicibile al pensiero di trovarmi nuovamente lì, ma stavolta non per dare alla luce una vita, bensì perché dovevano togliere da me un figlio già morto.

Eppure, non è stato così. 

Grazie alle numerosissime preghiere che avevo chiesto per la mia famiglia, quella mattina mi sentivo assolutamente serena.

Mio marito era fuori, a causa del Covid. Ho iniziato a recitare il rosario e sono rimasta sorpresa dal meditare proprio in quella occasione i misteri della gioia.

Ricordo gli istanti prima dell’operazione. Ero distesa sul lettino, un braccio da una parte, uno dall’altra, piena di aghi e bottoncini. 

L’anestesista mi ha fatto l’iniezione e io mi sono abbandonata fiduciosa tra le braccia di medici e infermieri. 

Verso le 12.30 mi sono risvegliata dall’anestesia… avevo mal di gola (probabilmente causato dalla bassa temperatura in sala operatoria) e avevo i piedi congelati.

Mi sentivo debole e avevo tanta fame, ma l’infermiera mi ha subito detto che non avrei potuto mangiare nulla almeno per le sei ore successive. Mi hanno detto che sarei stata in osservazione fino alla sera.

A un certo punto, è entrata in stanza la dottoressa che mi aveva operato, mi ha domandato come mi sentissi e ho risposto che, tutto sommato, stavo bene.

Poi mi ha spiegato: “Io ti avevo detto che ti avrei dato il barattolino. Pensavo sarebbe stato semplice, ma in realtà non è affatto così semplice. Sono stata un’ora al telefono a risolvere grane, ma alla fine sono riuscita a ottenerti il permesso. Solo una cosa: non posso darlo direttamente a te, deve essere una cosa ufficiale e passare per le pompe funebri…”

“Certo, nessun problema: le pompe funebri sono già al corrente di tutto! Vengono a prenderlo loro…”

“Va bene. Allora mi devi solo mettere delle firme, in cui mi dici dove sarà sepolto e che provvederai tu, a tue spese, al trasporto dall’ospedale al cimitero e alla sepoltura…”

Ho firmato senza esitazione e ho scritto il luogo del cimitero. 

Poi l’ho ringraziata. In quel momento, non mi importava quasi più della spossatezza fisica: ero felice di aver fatto quanto potevo per onorare fino alla fine la vita del mio piccolo, che nel frattempo avevo deciso di chiamare Andrea… Manca la part più forte, più intensa: ma del giorno del funerale vorrei parlarvi meglio in un altro articolo!




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Cecilia Galatolo

Cecilia Galatolo, nata ad Ancona il 17 aprile 1992, è sposata e madre di due bambini. Collabora con l'editore Mimep Docete. È autrice di vari libri, tra cui "Sei nato originale non vivere da fotocopia" (dedicato al Beato Carlo Acutis). In particolare, si occupa di raccontare attraverso dei romanzi le storie dei santi. L'ultimo è "Amando scoprirai la tua strada", in cui emerge la storia della futura beata Sandra Sabattini. Ricercatrice per il gruppo di ricerca internazionale Family and Media, collabora anche con il settimanale della Diocesi di Jesi, col portale Korazym e Radio Giovani Arcobaleno. Attualmente cura per Punto Famiglia una rubrica sulla sessualità innestata nella vocazione cristiana del matrimonio.

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