“Troppo spazio” ai laici danneggia la Chiesa? Guardiamo alle origini: non è affatto così!

6 Luglio 2023

Basilica di San Pietro

Spesso si sente dire, da persone che si definiscono “tradizionaliste”, che “aprire ai laici” – come invita il Concilio Vaticano II – significa rinnegare la tradizione della Chiesa. Eppure, se si guarda alle prime comunità cristiane, possiamo affermare l’esatto contrario: è l’eccessivo clericalismo a non rispecchiare la Chiesa delle origini.

La Chiesa, oggi, è chiamata a vivere il Sinodo voluto fortemente da papa Francesco. Alcune persone, sia della gerarchia che dei fedeli, fanno fatica ad entrare nello stile sinodale che coinvolge tutta la vita dei battezzati. Altri, addirittura, rifiutano il Sinodo così come hanno rifiutato il Concilio Ecumenico Vaticano II con la stessa motivazione: “sono aperture progressiste che vanno a corrompere la vera Chiesa di Cristo”. Tale affermazione pone una questione di non poco conto: sarà veramente così? Per dirimere la questione è necessario fare un percorso, ovviamente non esaustivo, a partire dagli albori della comunità cristiana.

La Chiesa delle origini si presentava come una domus Ekklēsía. In Rm 16,1-24, infatti, Paolo rivolge i suoi ringraziamenti elencando le singole famiglie e donne che avevano contribuito alla diffusione del Vangelo e invitando a salutarsi con il “bacio santo” tipico dello stile familiare. I battezzati si chiamano con il titolo di “fratello e sorella” richiamandosi al comando di Gesù (Mc 3, 31-35; Lc 8, 19-20). La casa e il matrimonio sono compresi come luoghi di grazia. San Girolamo, infatti, descriverà la Chiesa come una “tunica multi-colorata” (poichíles) ricca di doni tra cui il matrimonio (Girolamo, Epist. 48,4-5). Sant’Agostino, in De dono perseverantiae, riferendosi alla 1Cor 7,7 («ciascuno ha il suo proprio dono da Dio; l’uno in un modo, l’altro in un altro»), afferma che: «non solo la continenza (vergini), ma anche la stessa vita degli sposi, vissuta con purezza di cuore, rappresenti un dono di Dio». La Chiesa apostolica distingue tra apostoli e “laici” battezzati. Nel corso dei primi secoli, tuttavia, in linea con gli ordines della società del tempo, ne distingue al suo interno tre diversi: dei pastori, dei continenti (vergini), degli sposi. Origene, Agostino, Gregorio Magno e altri padri collegano i tre ordini a tre giusti: rispettivamente Noè, Daniele e Giobbe. 

Noè, che guidò l’arca sulle onde del diluvio, simboleggia i pastori che governano bene la Chiesa. Daniele, noto per il suo mirabile ascetismo, simboleggia la vita dei continenti, i quali rinunciando alle cose del mondo, dominano la vita terrena relativizzandola. Giobbe simboleggia la vita dei coniugi santi i quali, facendo il bene con i mezzi di cui dispongono in questo mondo, percorrendone le vie, tendono alla patria celeste (Cf, Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, I, 14,20). Gli ordini non si presentano divisi tra loro in forma settoriale: sono l’espressione variegata dell’unica Chiesa. Tra i tre ordini non vi è neanche una gerarchia di importanza in quanto tutti concorrono alla costruzione del Regno e ognuno ha bisogno dell’altro (cf, Y. Congar, in Aa. Vv., I laici nella “societas christiana” dei secoli XI e XII).

Leggi anche: Gesù e Lazzaro: quando Cristo, attraverso i laici, smuove la gerarchia (puntofamiglia.net)

La Chiesa delle origini e del primo millennio presenta, dunque, al centro quella corresponsabilità nella quale gli apostoli (gerarchia) ed i battezzati (sposi, vedovi, laici) hanno come unico obiettivo l’annuncio del Vangelo. Tra di loro non vi è distinzione di importanza. La Chiesa delle origini incarna lo stile trasmesso da Gesù, senza alcuna distinzione in quanto tutti sono chiamati alla sequela e alla corresponsabilità dell’annuncio. Per il Maestro non esiste una via privilegiata che conduca al Paradiso. Tant’è vero che l’annuncio della Sua risurrezione è affidato alle donne (facendo così cadere anche la distinzione di genere), che Paolo potrà parlare della diaconessa Febe (Rm 16, 1) e ne esistono molte testimonianze. La più nota è quella di Olimpia (o Olimpiade), diaconessa a Costantinopoli al tempo di Giovanni Crisostomo, del quale fu collaboratrice e corrispondente. Tale ministero sopravviverà fino al IX secolo, ma solo in Oriente. 

L’altro aspetto centrale dello stile di Gesù risiede nell’ascolto e nell’accoglienza di tutti, specialmente di coloro che vivono situazioni di sofferenza e fragilità. Il paradigma di questo stile e della pedagogia del Maestro va ricercato nella lavanda dei piedi: essere servo e maestro verso tutti.

Alla luce di quanto detto, è più comprensibile l’indizione del Sinodo che porti la Chiesa a riappropriarsi dello stile di Cristo, presente nei primi tempi, ma offuscato e, in alcuni ambienti, smarrito. Non si tratta, dunque, di una modernizzazione, ma di un tentativo di ristabilire una corretta tradizione.

Quando tutto ciò si è perso? Quando tra gerarchia e fedeli battezzati si è posto un muro? Per dare una risposta, certamente non esaustiva, bisogna esaminare alcuni fatti accaduti dopo la pace costantiniana dell’anno 313 che portò un graduale e sempre più radicale cambiamento nel quadro dell’organizzazione della comunità cristiana. In questo periodo si assiste al crollo della conflittualità tra cristiani e mondo e ciò porterà a porre in secondo piano la dimensione escatologica del Vangelo che, in parte, perdura ancora oggi. 

Si assiste, quindi, ad uno spostamento dall’esterno all’interno di una certa conflittualità: da quella che vedeva protagonisti la Chiesa ed il mondo a quella giocata più all’interno della Chiesa: tra spirituali (clero e monaci) e i cosiddetti carnali (laici e coniugi). Si ipotizza che la mancanza di un nemico unico esterno abbia indebolito la coesione interna. Il discrimine divenne l’uso della sessualità. Dopo qualche secolo, la situazione si delineò in modo tale da fare trasparire che gli sposi ed i laici non potessero assolutamente vivere la dimensione spirituale e se, talvolta avessero avuto la grazia di viverla, non poteva essere perfetta come quella degli spirituali perché ai primi era concesso l’utilizzo della sessualità.

Ad alimentare questa distanza intervenne anche il fatto che la cultura diventava appannaggio degli spirituali che, in molti casi, orientavano le loro ricerche teologiche a favore del loro stato di vita, contribuendo allo smarrimento dell’ordo coniugatorum e del sacerdozio comune. Tutto ciò porterà, in tempi relativamente brevi, all’estinzione della Domus Ecclesiae per far spazio alla comunità parrocchiale che ne assorbe le funzioni: predicazione, catechesi, culto, preghiera, celebrazioni dei sacramenti. Un po’ alla volta ai coniugi viene sottratta la funzione catechetica che dovevano esplicitare verso la prole perché ritenuti inadatti in quanto ignoranti in materia teologica. Oggi, invece, assistiamo ad un richiamo costante, da parte della Chiesa, alla responsabilità del ruolo educativo dei genitori con la necessità di una formazione che ne deriva…

Continueremo a trattare questo argomento di vasta portata in un altro articolo, che pubblicheremo il prossimo giovedì. Vi aspettiamo!




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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