Il clericalismo? Non rispecchia la Chiesa delle origini

13 Luglio 2023

Juan de Flandes, The Marriage Feast at Cana, ca. 1497 - The Metropolitan Museum of Art - New York

In un precedente articolo dicevamo che la Chiesa delle origini e del primo millennio presenta al centro la corresponsabilità nella quale gli apostoli (gerarchia) ed i battezzati (sposi, vedovi, laici) hanno come unico obiettivo l’annuncio del Vangelo. Oggi riprenderemo l’argomento, mostrando come la vita dei laici e degli sposi sia preziosa per l’edificazione dell’unico corpo di Cristo.

Con la libertà religiosa, il cuore della comunità non è più la casa, ma la Chiesa parrocchiale o la basilica. Gli edifici di culto, in un primo momento, furono costruiti tenendo conto dello stile domestico, l’altare conservava la forma di mensa familiare che si riunisce prima per l’ascolto della Parola e poi nello spezzare il pane. 

Successivamente, però, l’altare venne situato in fondo alla chiesa, non più rivolto verso i fedeli, ma orientato in alto verso Dio a cui è rivolto il culto. Anche la posizione dei fedeli battezzati cambia: se prima ci si guardava in volto stando seduti attorno alla mensa, ora sono tutti rivolti verso l’altare perdendo ulteriormente la dimensione familiare. Il fratello che mi è davanti può essere anche uno sconosciuto e restare tale.

La collocazione dell’altare in fondo alla chiesa porta a creare una separazione sempre più netta tra pastori e comunità di fedeli che si espliciterà con la creazione di una vera e propria barriera architettonica: quella balaustra che il Concilio Vaticano II abolirà. La balaustra sarà anche il segno visibile della partecipazione passiva dei battezzati che, ormai, “assistono” alla liturgia nella quale tutto è delegato al celebrante. Non possono più nemmeno prendere il “Panis angelicus”, il “farmaco di immortalità” nelle loro mani. L’Eucaristia ricevuta direttamente in bocca sembra essere una concessione.

In questo periodo, il ministero ordinato del vescovo e del presbitero viene sottoposto ad un graduale processo di sacerdotalizzazione in senso levitico-sacrale, che li allontana sempre di più dalla comunità dei fedeli. Il Vescovo finisce per essere visto come il sommo sacerdote e fa propri i simboli del mondo imperiale facendo smarrire la consapevolezza del sacerdozio comune dei battezzati (cf, 1Pt 2, 5-9; Ap 5, 10). 

La Chiesa si struttura secondo una forma sempre più istituzionale. Il confronto dialettico con il mondo cede il posto ad una sorta di simbiosi che affievolisce i confini tra la Chiesa Gerarchica e la società. L’allontanamento tra ministero ordinato e comunità dei fedeli viene accentuato anche dalla grande diffusione del battesimo amministrato ai bambini e dall’entrata in massa delle popolazioni barbare che generano uno scadimento del fervore e del vissuto cristiano. La stessa concezione di chiesa domestica finisce per diventare estranea all’idea generale della Chiesa.

Anche la teologia del sacerdozio ministeriale si evolve maggiormente in ambito religioso-liturgico. Il sacerdote diventa “l’uomo del sacro” allontanandosi dall’evangelizzazione e dalla comunità. La teologia del matrimonio, invece, vive una situazione di difficile decollo e di involuzione a causa della concezione prevalentemente negativa della sessualità e la conseguente concezione delle nozze come remedium concupiscentiae.

Di fronte a tutto ciò, la famiglia, da soggetto attivo della Chiesa si trasforma in oggetto da evangelizzare. I compiti affidati a lei diventano molto riduttivi rispetto al sacramento ricevuto: la preghiera e la testimonianza. Per tutto il resto deve far ricorso alla Chiesa parrocchiale.

Alla comunità parrocchiale si affianca, nel corso del primo millennio, il monastero come luogo spirituale. I cristiani, in vista di una sequela totale di Cristo e del Vangelo, si allontanano dalle famiglie e dalla chiesa parrocchiale. I monasteri diventano luoghi di eccellenza della spiritualità cristiana. La comunità monastica si presenta come una nuova famiglia, assumendo le caratteristiche della vita domestica: relazioni di fraternità, momenti comuni di lavoro e di preghiera, ospitalità verso i forestieri, assistenza ai malati. Il responsabile della famiglia monacale è chiamato, a conclusione di tutto ciò, con titoli che si rifanno alla famiglia: padre o madre (abbate o badessa). Per raggiungere la perfezione interiore bisogna imitare lo stile della famiglia monastica riducendo, così, la famiglia ordinaria sempre più alla vita profana.

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L’ordo coniugatorum subisce, come visto, una graduale svalutazione con la fine del primo millennio e l’inizio del secondo. Gli studi teologici sulla mistica e l’ascesi vengono portati avanti da sacerdoti e monaci che insistono sul loro stato di vita generando una certa gerarchizzazione che assegnerà l’ultimo posto proprio ai coniugi, perché la loro vita è legata alla corporeità e all’esercizio della sessualità, nonostante questa sia stata benedetta da Dio Padre nel giardino di Eden come “cosa molto buona”. La più naturale delle conclusioni porta a far prevalere una visione canonistica che legge la Chiesa solo dal punto di vista del clero e dei monaci. 

La maggior parte dell’esegesi mistica portata avanti dai monaci esalta la verginità fino a disprezzare la condizione coniugale. Il monaco Abbone di Fleury (+1004), nella sua Apologia arriva a scrivere che i «coniugi non hanno posto nella Chiesa se non secundum indulgentiam» (cf, Abbone, Apolologetica). Altri, come l’abate Goffredo di Admont (+1165), affermano che i coniugi saranno salvati, ma solo in extremis per un dono speciale della misericordia di Dio. Ci sono monaci che collegano l’ordine dei coniugi ai penitenti. Si fa strada anche l’idea che i coniugi possono santificarsi solo individualmente e non come coppia, esclusivamente abbandonando la vita coniugale e ritirandosi in forme di vita monastica. Visione, questa, presente ancora oggi in alcuni ambienti, soprattutto quelli cosiddetti più tradizionalisti.

Va detto che non tutti erano concordi, soprattutto nel secondo millennio della vita della Chiesa. Ad esempio, uno studio del Cardinale Bellarmino (+1621) presenta il matrimonio cristiano come un sacramento permanente, segno reale dell’unione di Cristo con la Chiesa, in parallelo con il sacramento dell’Eucaristia. 

Questa intuizione profetica, però, non venne recepita dalla teologia ufficiale per diverse ragioni. Essa e tante altre sopravvenute negli ultimi due secoli costituiranno l’humus in cui si svilupperà il germe del Concilio Vaticano II, grazie al quale, con una fatica che tuttora perdura, i coniugi ed i laici che nelle epoche antiche si erano limitati a vivere nella Chiesa, cominciano ora a sentire forte il desiderio di vivere la Chiesa

Il Concilio ha inteso, tra le tante altre intenzioni, riprendere e valorizzare ciò che la Chiesa aveva dimenticato a causa delle derive storiche. Ha inteso ridonare alla famiglia l’appellativo di Chiesa domestica, riaccendere lo splendore del sacerdozio comune, osare parlare nuovamente di santità aperta a tutti. Appare più chiaro come anche la riforma liturgica abbia inteso riportare la Chiesa alle origini, smussando le distinzioni tra clero celebrante e assemblea spettatrice, abbattendo le barriere anche fisiche tra clero e fedele, richiamando il sacerdozio universale di ogni battezzato, differenziando per mansioni e non per stato di vita. Su questa via, papa Francesco sta imprimendo una forte accelerazione sul cammino che, per quanto visto, è un ritornare a casa. Un canto ispirato a 1Pt 2, 9, esprime bene questa dimensione, parlando di “popolo regale, assemblea santa, stirpe sacerdotale, popolo di Dio”. In questo modo si potrebbe dare un significato alla frase che spesso ripete papa Francesco quando parla di una Chiesa in uscita. Potrebbe anche voler dire, uscire dai monasteri, per vivere nel mondo come in un monastero a cielo aperto.

Quanto scritto in questo contributo può aiutare a rispondere, in maniera meno superficiale, ad una questione che circola molto nella Chiesa moderna e a cui si è fatto cenno all’inizio: il Sinodo ed il Concilio Vaticano II “sono aperture progressiste che vanno a corrompere la vera Chiesa di Cristo”. Ora possiamo declinare tale affermazione in più domande: è tradizionalista chi propone una visione ecclesiale medievale o chi vuole riportare la Chiesa alle origini? 

Per essere più concreti, è più tradizionale chi prende la Santa Comunione direttamente in bocca dal sacerdote o chi, la prende in mano come gli apostoli nell’ultima cena di Cristo con i suoi? 

È più tradizionalista chi celebra alla maniera del Concilio di Trento o chi crede nel sacerdozio universale delle celebrazioni post-conciliari? 

È più tradizionalista la gerarchia intesa alla maniera clericale o la consultazione sinodale tra tutti i battezzati che sono re, sacerdoti e profeti come riporta Pietro: “Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce”? 

È più tradizionalista chi vuole riportare il Vangelo nelle case o chi vuole portare a tutti i costi le famiglie in Chiesa?

Oltre ogni condizionamento ideologico, tralasciando categorie che, spesso, sono solo giornalistiche e semplificatrici, ciascuno, con cuore libero, faccia le proprie considerazioni.




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Assunta Scialdone

Assunta Scialdone, sposa e madre, docente presso l’ISSR santi Apostoli Pietro e Paolo - area casertana - in Capua e di I.R.C nella scuola secondaria di Primo Grado. Dottore in Sacra Teologia in vita cristiana indirizzo spiritualità. Ha conseguito il Master in Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Da anni impegnata nella pastorale familiare diocesana, serve lo Sposo servendo gli sposi.

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