CORRISPONDENZA FAMILIARE

La luce della fede illumina la notte più oscura. La morte di Zelia

28 Agosto 2023

Nella notte tra il 27 e il 28 agosto 1877 Zelia Guerin Martin, moglie di Luigi e madre di Teresa di Lisieux, lasciava l’esistenza terrena. Nelle ultime lettere della santa, emerge una tempra spirituale che lascia senza parole. Una fede rocciosa, che non si lamenta, non chiede sconti, evita ogni sterile ripiegamento. Resta al suo posto fino alla fine custodendo il suo legame con il Cielo

Quando scopre di avere tumore, Zelia non poteva immaginare che nell’arco di pochi mesi la malattia avrebbe consumato il suo corpo. Fino a quel momento aveva lavorato con straordinaria intensità, come lei stessa ammette: “Ho lavorato per quattro, e quattro capaci di lavorare senza perdere tempo” (LF 205). Era abituata a lottare, pensava di potere resistere più a lungo, il tempo necessario per sistemare le figlie. Ha sperato e pregato con grande fervore ma… è costretta a fare i conti con la drammatica realtà: 

“Non solo il male fa sempre progressi, il dolore al collo, che è stato causato da uno sforzo, mi fa soffrire infinitamente, soprattutto da questa notte. Se la cosa continua, ci sarà da impazzire: dovrò restare in una completa immobilità. Ma durante il giorno è ancora sopportabile, invece la notte, quando bisogna coricarsi od alzarsi, è spaventoso: mi provoca la nausea, mi sento svenire (LF 212, 8 luglio 1877)

La situazione diventa sempre più insostenibile, come registra questa lettera scritta una settimana dopo: “Non posso né vestirmi, né spogliarmi da sola; il braccio, dalla parte malata, rifiuta ogni servizio, ma la mano almeno mi serve ancora a tenere un ago! Di più ho un malessere generale, dei dolori agli intestini e la febbre da una quindicina di giorni; insomma, non posso restare in piedi, bisogna che stia seduta. […] Di giorno non ho quasi crisi, è solo la notte che i miei nervi si irrigidiscono ed allora mi occorrono precauzioni inaudite per cambiare posizione” (LF 213, 15 luglio 1877). 

“Bisogna che veda svanire il sogno di tutta la mia vita al momento in cui stava per diventare una realtà?”, scrive Zelia alla cognata (LF 212, 8 luglio 1877). La malattia avrebbe potuto dare spazio alla depressione, alla lamentazione e perfino alla rabbia. Motivi per essere in pena ne aveva e qualche volta s’intravede il dispiacere di dover lasciare questa vita con largo anticipo rispetto alle previsioni. Vive tutta la sofferenza di una giovane mamma costretta ad abbandonare quelle figlie, piccole e ancora bisognose di essere accompagnate nel cammino della vita. 

La fede non soffoca l’amarezza. E forse anche lei, nel segreto della preghiera, tante volte ha chiesto conto a Dio di questo trattamento così poco … paterno. E tuttavia, la sofferenza non diventa mai aperta ribellione né mai invita i suoi familiari a farlo. L’abbandono alla santa volontà di Dio, anche quando non corrisponde ai suoi desideri, resta l’unica bussola della sua vita. Zelia resta fedele e chissà quante volte ripete le parole di Gesù nel Getsemani: “Non la mia ma la tua volontà”. Resterà fedele alla Messa quotidiana, fino alla fine, fino a quando le forze glielo permettono, come scrive Maria, la figlia maggiore (17 anni in quel momento) che ha condiviso, assieme al papà, tutto il decorso della malattia: 

“Domenica mattina avrebbe voluto ancora andare alla prima Messa, perché il collo le sembrava meno malato e più facile a muovere! E se lei sapesse, zia mia, tutta la fatica che ho fatto per impedirle di alzarsi! Se fosse stata in grado di vestirsi da sé, certamente l’avrebbe fatto”.

Questa lettera, che Maria invia alla zia, porta la data del 9 agosto! La malattia ormai ha raggiunto una fase che non permette più nessuna speranza, nemmeno la più piccola. Per questo, il desiderio di partecipare a Messa assume la forma di fedeltà eroica, una fedeltà che si spiega solo con l’amore che lei nutre nei confronti del buon Dio. 

Leggi anche: Santa Zelia, quando i santi desideri non coincidono con la volontà di Dio

Non abbandona la preghiera, anzi fa della supplica orante il suo bastone per affrontare gli ultimi giorni del viaggio. S.J. Piat, il primo biografo della famiglia Martin, riporta un episodio emblematico:

Sua figlia la trovò un giorno ansante, pallida, quasi livida, intenta a recitare in ginocchio il Rosario intero davanti alla statua di Maria Santissima. Tentò di farla sedere: le rispose con un mesto sorrido: “Perché darsi pena della vita terrena che si spegne? È tanto dolce consumarla al servizio della Mamma celeste!”. 

Nelle lettere di Zelia s’intrufola talvolta il rammarico perché la morte spezza i suoi desideri di sposa e madre. Ma questo pensiero non viene coltivato al punto da generare il rifiuto e la ribellione. Al contrario, troviamo nei suoi scritti frammenti luminosi che manifestano la fede più limpida: in casa Martin la morte non incombe come un destino cieco che ruba i sogni; ma viene accolta come una sorella che prende per mano e conduce oltre. Zelia non teme la morte perché comprende che la tenerezza di Dio è più grande delle legittime trepidazioni di una madre, Dio stesso si prenderà cura delle sue figlie.

Zelia non accetta passivamente la malattia, non ama soffrire, nelle lettere rivolte alla cara cognata ella, senza veli, descrive il suo intimo combattimento con il male che avanza. Non è rassegnata, chiede coraggio, cerca e trova nella preghiera conforto e consolazione. Ma dopo aver fatto tutto, si arrende e, come Maria, pronuncia il suo fiat. E fa della sua morte un’offerta. Nella fede si abbandona perché comprende che anche quella morte appartiene al misterioso disegno di Dio su ciascuno di noi. Così si prepara al momento del passaggio. Nella notte Zelia rimane fedele. Questa fedeltà è il canto, è questa la grazia che da chiedere ogni giorno: imparare a cantare nella notte della vita per poter cantare anche in quella notte in cui saremo chiamati ad accogliere il Signore che viene per sempre.

Questa morte è certamente un’esperienza dolorosa che lascia tracce profonde nella vita della famiglia Martin. Ma è anche un’esperienza di fede. “Vita e morte si sono affrontate”, cantiamo a Pasqua. Apparentemente ha vinto la morte, in realtà in casa Martin trionfa la vita. La fedeltà di Zelia nella notte oscura avvolge a consola il marito; e dona alle figlie la testimonianza di una fede che risplende nella prova. La vita passa, la fede scrive parole che restano per sempre nel cuore dei protagonisti e nella vita della Chiesa. 




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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