CORRISPONDENZA FAMILIARE

Un amore senza frontiere. La vedovanza annuncia la vita

11 Settembre 2023

In questi giorni le parrocchie riprendono le loro attività, si precisa la programmazione pastorale, eventi e iniziative, ruoli e responsabilità. Un cantiere operoso. Ho buone ragioni per ritenere che tra i molteplici capitoli che verranno attivati non ci sarà spazio per la vedovanza. Eppure le persone vedove, uomini e donne, non sono un gruppo numericamente marginale e, in ogni caso, hanno diritto come gli altri di ricevere un cibo sostanzioso e adatto al loro palato, cioè una Parola che risponde alle domande che portano nel cuore. È un tema che mi sta a cuore. Mi permetto perciò di offrire qualche spunto di riflessione che nasce dall’esperienza e rimando ad altri articoli già pubblicati su questo magazine. 

Molti pensano che la morte del coniuge sia il punto di arrivo del matrimonio. L’estremo limite di un’esperienza bella e… finita. In questa prospettiva la vedovanza appare come un fiore appassito o come un albero privo di foglie. È bene invece presentare la vedovanza come una tappa del vissuto coniugale, il passaggio dall’amore carnale all’amore spirituale, da un’esperienza che cammina nei sentieri faticosi della storia a un legame immerso nella beata eternità. In effetti, chi vive la vedovanza condivide con il coniuge un pezzo di eternità. Se infatti i due sposi sono “una carne sola” (Mt 19,6), se le loro anime sono indissolubilmente congiunte, quando uno dei due varca la soglia della vita, porta con sé anche l’altro. E chi resta porta con sé non solo il ricordo dell’amato ma anche quello che ora vive l’amato. 

Per annunciare la morte di una persona siamo soliti usare diverse espressioni ma tutte o quasi pongono l’accento sull’assenza: “è venuto a mancare” oppure “è scomparso”. È un sintomo della poca fede. Malgrado duemila anni di cristianesimo la morte appare solo come un deficit, una perdita. Ad essere sinceri, a me non piacciono nemmeno le espressioni: “È andato in Cielo”, “è partito per il Cielo”. Dovremmo riprendere le formule più antiche, quelle che annunciano la vita, come fa Paolo: “Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). La fede insegna che la morte è un passaggio. E difatti, quando si tratta dei santi parliamo del “beato transito”. “Non muoio, entro nella vita”, scriveva Teresa di Lisieux. La morte ci introduce nella vita. La vita continua secondo altre modalità che non possiamo conoscere in anticipo. D’altra parte Gesù ha detto a Nicodemo: “il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va”. Non sappiamo ma… ci fidiamo. 

Il matrimonio è davvero un “grande mistero” (Ef 5,32). Se guardiamo il matrimonio secondo le coordinate terrene, la vedovanza appare come la fine del matrimonio. Se invece lo giudichiamo con gli occhi della fede, offre la possibilità per comprenderlo nella sua identità più vera. È il sacramento della fedeltà di Dio, lo spazio umano in cui, pur se condito dei limiti che accompagnano ogni realtà, s’incarna l’amore fedele di Dio. 

Le coordinate umane si rivelano radicalmente insufficienti perché nella sua sostanza l’amore non è solo un sentimento, cioè una realtà che tocca i sensi, ma una corrente di vita, un quid che unisce due persone in modo così intimo e duraturo da sfuggire ad ogni indagine esclusivamente razionale. D’altra parte, nella sua sostanza l’amore stesso è un mistero, cioè qualcosa che non si spiega razionalmente, a meno di non cadere in una lettura solo psicologica o biochimica. 

Leggi anche: La vedovanza, profezia dell’oltre…

L’amore coniugale non è solo un gioco di sentimenti né può essere inteso solo come il velo che nasconde la paura della solitudine. L’amore tocca l’essere umano in tutte le sue dimensioni. Per questo non può restare confinato solo nei giorni dell’esistenza ma è naturalmente proteso verso un per sempre che varca la frontiera della morte. Questa certezza è la logica conseguenza dell’antropologia biblica che presenta l’uomo come “immagine di Dio”. Colui che vive per sempre, veste di eternità anche il fragile amore umano. Chi vive in Dio, riceve una vita che non avrà fine. Chi accoglie da Dio l’amore riceve la grazia di amare per sempre. Non possiamo spiegare né pretendiamo di spiegare ciò che per sua natura viene da Dio e svela il mistero di Dio. L’amore è una realtà teandrica, cioè umana e divina. È il filo invisibile che unisce Cielo e terra. Possiamo applicare all’amore coniugale le parole con le quali Gesù annuncia il battesimo: “Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito” (Gv 3,6). 

L’amore umano è dono di Dio, lo Spirito Santo lo riversa con abbondanza nei cuori dei battezzati e dona la grazia di amare secondo il cuore di Dio e la misura di Cristo. Se accogliamo questo amore, è Dio stesso che conduce la nostra vita lungo sentieri che non conosciamo in anticipo, ed è sempre Lui che ci fa entrare in quella terra che la ragione non conosce, quella che la fede della Chiesa indica come il Paradiso, cioè il giardino fiorito della santità, la casa della gioia. 
In un’epoca in cui l’eternità è sempre più allontanata dal vivere come un’araba fenice di cui tutti parlano ma che nessuno conosce, la vedovanza annuncia che c’è un oltre, una storia che continua e trova in Dio il suo pieno compimento. Gli sposi vedovi sono e hanno una bella notizia da comunicare.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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