“Oltre agli stereotipi, ecco cosa ho imparato dal film Barbie”

12 Settembre 2023

Screenshot film Barbie

Il film Barbie ha risollevato di colpo in tutto il mondo gli incassi cinematografici mai del tutto riavutisi dopo il periodo legato al Covid. L’opera, tuttavia, al netto di coreografie accattivanti e di un inizio tipico di un gioco da bambini, intavola una serie di temi per nulla facili da affrontare nella nostra società. Ecco alcuni spunti di riflessione…

Citando Wikipedia, il cavallo di Troia è una macchina da guerra che, secondo la leggenda, fu usata dai greci per espugnare la città di Troia. Questo termine è entrato nell’uso letterario, ma anche nel lessico comune, per indicare uno stratagemma con cui penetrare le difese. Viene presentato diffusamente nell’Eneide di Virgilio, quando Enea racconta alla regina Didone la triste vicenda della fine della sua città di origine, Troia.

Il cavallo di Troia è stato il primo pensiero che mi è passato per la testa appena ho visto il film Barbie. E credo che non sia stata solo mia quest’impressione. Eravamo entrati in sala tra persone vestite di rosa, non c’erano solo bambini. Anche tanti adulti erano vestiti con qualche piccolo capo dell’iconico colore della bambola che ha accompagnato la fanciullezza di tante bambine. L’enorme attività pubblicitaria aveva convinto la platea mondiale che avrebbe assistito ad uno spettacolo leggero, fanciullesco, innocuo. E infatti siamo corsi in massa. Il film ha risollevato di colpo in tutto il mondo gli incassi cinematografici mai del tutto riavutisi dopo il periodo legato al Covid. L’opera, invece, al netto di coreografie accattivanti e di un inizio tipico di un gioco da bambini, intavola una serie di temi per nulla facili da affrontare nella nostra società. A beneficio di quei tre che ancora non lo hanno visto, per non spoilerare, mi limito solo ad alcune considerazioni che mi hanno portato dritto intorno alla cattedra. Intanto, sia Barbie che Ken vivono una crescita che è presa di coscienza del loro posto nel mondo. Ciò avviene non senza dolore. A tema c’è anche la nostra società che, come Barbie, abbiamo contribuito a creare, ma subiamo nei suoi aspetti che meno ci piacciono. E che dire di Ken, in questi anni segnati dai femminicidi? Anche lui, del resto, impara qualcosa di nuovo su sé stesso e sul mondo in cui vive: il patriarcato, alla fine, gli fa schifo e la sua (di Ken) stessa esistenza significa qualcosa di più che seguire Barbie come un cucciolo. Se all’inizio canta che Lui è solo Ken (“I’m just Ken” è il ritornello della sua canzone) la consapevolezza del proprio posto gli arriva quando Barbie verso la fine del film gli dice “Forse il punto è Barbie e Ken”. La teologa seduta al mio fianco arriva ad intravedere in questa affermazione gli echi dell’antropologia adeguata di origine genesiaca nella lettura che ne fa Giovanni Paolo II. Il film, infatti, può essere letto a più livelli e tutti si tengono coerentemente. Senza dire altro, mi limito a fare due considerazioni dalla cattedra. La prima riguarda il rapporto educativo. L’intera vicenda si mette in moto quando compare l’idea della morte perché Gloria, la signora proprietaria della barbie, vive un momento delicato nella sua vita (si inventa persino la barbie depressa che scorre Instagram per sette ore al giorno). 

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La nostra bambola protagonista arriva allora nel mondo reale che scopre essere fatto di sguardi maliziosi, battute lesive della dignità, assenza di donne ai centri di comando fino a quando finisce con l’essere messa al tappeto dalla giovane Sasha che, in un monologo da studiare, la mette di fronte a tutti gli aspetti negativi portati dalla bambola nel mondo. La Barbie stereotipo va in crisi. Il film, a questo punto, mette in scena un aspetto comune ad ogni rapporto educativo che è per natura asimmetrico. Noi siamo abituati a pensare che ci sia un educatore ed un educando e che gli adulti educhino ed i giovani debbano essere educati. Il punto è che normalmente è così, ma non sempre solo così. Nel film è la giovane Sasha che “insegna” qualcosa a Barbie e alla madre nel momento in cui queste ne hanno bisogno. Se rivedo con onestà la mia carriera di insegnante, catechista, educatore, genitore non posso non chiedermi quante cose importanti per me oggi mi siano state insegnate dai giovani che ho seguito. Penso che un adulto educatore debba ricordare quotidianamente che il percorso tra lui e l’altro è sempre a doppia percorrenza: egli offre stimoli, ma sarà tanto più credibile quanto più saprà riceverne dagli altri. In un rapporto educativo ci si educa entrambi, anche se implicitamente. La seconda considerazione ci riporta al cavallo di Troia. La introduco con una domanda. Supponiamo che tutti questi temi fossero stati inseriti in un film dal titolo “Il senso della vita” con un trailer dal tono profondo: quante persone sarebbero andate a vederlo? Quasi nessun altro oltre qualche masochista. Invece, attraverso un gioco e un sotterfugio, un cavallo di Troia, appunto, una buona fetta dell’umanità è stata accompagnata alle soglie di domande fondamentali per la propria esistenza. Anche a scuola, oggi, siamo chiamati a qualcosa di simile. Sono sempre più rari (ma esistono) i ragazzi e le ragazze che amano studiare. Tutti gli altri (e sono la stragrande maggioranza) vanno catturati, convinti un poco alla volta. La cultura non è più sentita come un passepartout, non è più un obiettivo da perseguire e conseguire perché è già tutto in Internet, è più vista come un qualcosa da cui difendersi e allora noi docenti (ma non solo noi) dobbiamo fare ricorso a strategie come la gamification cioè la possibilità di far passare le conoscenze attraverso i giochi anche digitali. La gamification didattica consiste nell’uso di elementi tipici del gioco, del videogioco e del game design in contesti non propriamente ludici come la scuola, il marketing, la formazione aziendale, ma anche la salute e la politica. Esistono, infatti, piattaforme come, per esempio, kahoot, che permettono di organizzare gare basate su domande a cui tutti, anche i più svogliati, non sanno sottrarsi. E così finiscono con l’aver imparato qualcosa contro la loro volontà. Un po’ come gli abitanti di Troia, che per introdurre il cavallo nella propria città, dovettero aprire una breccia nelle mura. O come tutti coloro, me compreso, che sono andati a vedere il film Barbie attratti da altro e ne sono usciti cresciuti. In questo caso, Barbie ha aiutato a crescere.




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Piero Del Bene

Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare.

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