CORRISPONDENZA FAMILIARE

Le condizioni per ricevere il battesimo. Fare chiarezza…

13 Novembre 2023

Negli stessi giorni in cui il Sinodo dei Vescovi chiudeva i battenti, alla vigilia della festa di Tutti i santi, la Congregazione per la Dottrina della fede ha pubblicato una Nota sulla “possibile partecipazione ai sacramenti del battesimo e del matrimonio da parte di persone transessuali e di persone omoaffettive”. Il documento ha avuto una risonanza mondiale mettendo in ombra il testo che ha meticolosamente raccolto i lavori sinodali. 

È un tema complesso e carico di implicazioni. Meglio dirlo subito, a scanso di equivoci. Per questo sorprende la lettura piuttosto semplificata che troviamo sulla stampa, compresa quella cattolica. Su Avvenire, a firma di Luciano Moia, leggiamo che la Nota afferma “senza imbarazzi e senza falsi pudori che un transessuale non solo può essere battezzato, ma può essere padrino o madrina di Battesimo” (8 novembre). Tutto qui! Un semplice lasciapassare. Via libera per tutti. Una sorta di Schengen cattolica

Questa lettura non è falsa ma è certamente riduttiva, risponde allo spirito della Nota ma non tiene conto della lettera. È perfettamente in linea con le intenzioni del cardinale Fernandez ma sottace volutamente gli aspetti problematici che il documento vaticano non nasconde. Una lettura semplicistica e perciò fuorviante. È bene fare chiarezza mettendo in luce tutte le implicazioni presenti o presunte. 

In primo luogo è utile distinguere le questioni relative al battesimo da quelle che riguardano il matrimonio. Secondo la legge canonica, infatti, i testimoni di nozze non svolgono un ruolo ecclesiale ma civile, non sono testimoni della fede e non hanno alcun ruolo formativo nei confronti degli sposi, si limitano a certificare l’evento nuziale. Tutti possono svolgere questo ruolo, anche una persona non battezzata. 

La Nota ci tiene a ribadire che le risposte “ripropongono, in buona sostanza, i contenuti fondamentali di quanto, già in passato, è stato affermato in materia da questo Dicastero”. E fa riferimento ad un documento del 2018 che, per volontà del Papa, non era stato reso pubblico. E ci tiene anche a dimostrare che la linea adottata è perfettamente conforme alla grande tradizione della Chiesa, da sant’Agostino a san Tommaso fino a Giovanni Paolo II. Per rassicurare i dubbiosi, gli strenui difensori del nuovo corso affermano che non c’è alcuna rivoluzione dottrinale. È tutto già scritto, si tratta solo di applicare la medesima dottrina alle situazioni nuove. È un mantra che non mi convince. È facile inanellare citazioni diverse per dare l’idea che facciano parte della stessa collana ma resta l’impressione che la proposta si discosti non poco dalla tradizione. E come tale viene percepita da tutti, anche da quelli che sono favorevoli e applaudono con sospetto entusiasmo una proposizione che cambia radicalmente il modo di giudicare eventi e persone.

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Andiamo alla sostanza. La Nota afferma che un transessuale “può ricevere il battesimo, alle medesime condizioni degli altri fedeli, se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli”. Poco dopo, a proposito del ministero di padrino o madrina ritorna lo stesso criterio: “la prudenza pastorale esige che esso non venga consentito qualora si verificasse pericolo di scandalo, di indebite legittimazioni o di un disorientamento in ambito educativo della comunità ecclesiale”. 

Non mi pare che questo punto sia stato attentamente considerato. Eppure non si tratta di una regola complementare e senza conseguenze pratiche. Al contrario, stando alla lettera del testo vaticano, in questo caso non si deve affatto procedere. Insomma, i ministri dei sacramenti tornano ad essere scrupolosi doganieri. La Nota parla di “prudenza pastorale” e non accenna minimamente alla dimensione dottrinale. E tuttavia, questa insistenza sullo scandalo fa nascere una domanda: 

perché mai la condizione di un transessuale dovrebbe suscitare scandalo o disorientamento? 

Il documento non lo dice. E così tutto resta nel vago. Io invece vorrei approfondire e mi sembra che siamo di fronte ad un bivio ineludibile: a) se questo scandalo nasce da un’errata percezione presente nella comunità ecclesiale, va dunque corretto il pensiero diffuso nella comunità; b) se invece nasce dalla condizione del soggetto transessuale, è lui che deve essere corretto e non incoraggiato. Chiedere alla Congregazione per la Dottrina della Fede di fare chiarezza quando è in gioco la dottrina mi pare più che legittimo, anzi assolutamente doveroso.

Sempre a proposito del battesimo di un transessuale il documento ricorda che, stando al magistero della Chiesa, il sacramento può essere ricevuto anche se manca “il pentimento per i peccati gravi”. In questo caso, quale sarebbe il peccato grave? La sua condizione di vita, cioè il fatto di aver deliberatamene scelto di cambiare sesso attraverso uno specifico “trattamento ormonale e intervento chirurgico”? Se questo è peccato perché non affermarlo con maggiore chiarezza? Se invece non lo è più, perché si ha paura di certificare che la Chiesa ha cambiato il suo orientamento dottrinale? Il documento cammina sul filo dell’ambiguità, dice e non dice, lascia intendere ma non afferma e così aumenta la confusione. 

Il Vangelo che oggi proclamiamo nella liturgia invita ad accogliere tutti con misericordia ma pone una precisa condizione: Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai. (Luca, 17,3-4).

Il pentimento è dunque una condizione essenziale per ricevere il perdono. L’invito alla conversione appartiene alla struttura della fede, anzi è il punto iniziale di un cammino che, passo dopo passo, conduce a vivere secondo la verità del Vangelo. Un’accoglienza muta incoraggia a vivere nel peccato, come una sentinella che non mette in guardia dai pericoli. 

Sant’Agostino è il cantore della grazia ma è anche il custode della verità. In un’omelia ricorda che, se mancano le disposizioni adeguate, non è possibile ricevere l’Eucaristia: “Chi ha coscienza di essere altrimenti, non si accosti” (Discorsi, 132). Ci sono quelli che non vorrebbero sentire le sue parole o meglio la sua intransigenza. Ma lui non può fare a meno di dirle. E conclude: “Io posso esporre la parola di Dio ma non posso liberare dal giudizio e dalla condanna di Dio e dissoluti, ostinati di infedeltà” (Discorso 132). 

Il documento della Congregazione offre risposte e suscita domande. Sottolineare solo l’accoglienza indiscriminata mi sembra un sintomo di frettolosa superficialità. Vale la pena riflettere e continuare l’approfondimento.




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Silvio Longobardi

Silvio Longobardi, presbitero della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, è l’ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus. Esperto di pastorale familiare, da più di trent’anni accompagna coppie di sposi a vivere in pienezza la loro vocazione. Autore di numerose pubblicazioni di spiritualità coniugale, cura per il magazine Punto Famiglia la rubrica “Corrispondenza familiare”.

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