Genitori israeliani donano cuore del figlio a bambino palestinese: la pace è possibile

28 Novembre 2023

“Appena pronunci la parola pace sembri cominciare a fare la parte del cretino, sembri fare la parte del buonista, del retorico, che appende le bandierine fuori dalle scuole elementari, che fa i disegnini dei bambini e ci prendiamo tutti in giro gridando alè, alè la pace”. Parole di Stefano Massini, scrittore e drammaturgo, in prima serata televisiva nazionale.

Ascolto l’accorato racconto di una famiglia israeliana che dona il cuore del proprio figlio deceduto per salvare con un trapianto un bambino palestinese. L’episodio è bello ed edificante, stringente. Qualcosa però mi va di traverso, mi lascia l’amaro in bocca. Fatico a riconoscerlo. Colgo, infine, l’origine del mio fastidio. Sta tutto in quel riferimento al retorico, buonista da scuole elementari. È il riferimento ad un certo tipo di immagine di scuola che mi ferisce. 

Una piccola premessa. Sono un obiettore di coscienza, non ho fatto il militare, come si diceva una volta. Al momento opportuno passai per l’Ufficio Forze Assenti dell’esercito che mi riconobbe come “disertore”. Passai quell’anno a collaborare con gli educatori di una comunità per il recupero di giovani arrestati per piccoli furti, spaccio. Il giudice del tribunale dei minori riteneva che potessero essere recuperati e li mandava da noi invece che nel degradante ambiente di un carcere, anche se minorile. Pensavo e penso che le armi servano solo ad uccidere, che non risolvano i problemi di relazione, che anzi li acuiscano. Se ne parla molto in questi giorni, da fronti diversi. Papa Francesco, ad esempio, non sa più come dirlo. 

Quell’anno fu una delle scelte migliori che potessi fare nella mia vita. In quel periodo maturava la mia scelta di dedicarmi all’insegnamento. Capii che c’era un mondo da cambiare e decisi che, viste le mie attitudini, ci avrei provato dalla cattedra. 

Proprio così: sono insegnante per cambiare il mondo, niente di meno. C’era e c’è un duro lavoro da svolgere, sempre ostinatamente contro corrente. Quella degli insegnanti è una vita alla maniera dei salmoni, contro correnti rapidissime per generare ad una vita nuova i giovani di domani, nella speranza che riescano a costruirsi un mondo più a loro misura, più accogliente, dialogante, inclusivo, che non faccia più uso delle armi per far prevalere le proprie ragioni. 

Quanti siamo nella scuola a pensarla così? Quanti docenti sentono il desiderio di cambiare questo mondo così degradato? 

Leggi anche: Puoi essere un eroe a scuola? Sì, se l’eroismo è fare bene il proprio lavoro (puntofamiglia.net)

Resisto alla tentazione di fare la conta perché potrei scoprire di appartenere ad un’infima minoranza. La cosa non mi scoraggerebbe comunque. Ho imboccato la strada maestra della mia vita e la percorrerò fino a quando potrò. La questione di fondo, però, quella che mi genera fastidio è la seguente: se insegno ai miei alunni che le armi non risolvono ma aggravano i problemi, sono buonista alla maniera dei bambini delle elementari? Costringo i miei alunni a credere ad un racconto che poi, usciti dalla scuola, dovranno scoprire essere solo “retorico” perché, già lo immagino, ci sarà chi dirà che “si, la pace, ma la vita è un’altra cosa”? L’altra domanda è: i problemi reali del diritto internazionale richiedono qualcosa di più virile come una operazione di peace keeping armata con qualche effetto collaterale (così si definiscono i morti delle operazioni militari chirurgiche di cui sentiamo parlare fino alla nausea)?

E, quindi, perché insegnare la pace a scuola fin da piccoli se poi la vita va in altra direzione? Ecco, in poche parole, spiegato il mio fastidio. Vorrei cambiare il mondo, ma il mondo ci dice che non vuole farsi cambiare. Sembra che le cose vadano bene così. Ma davvero? Ma per tutti? Per la maggioranza? Proporre la pace va bene solo per i bambini?

Su un importante portale del mondo della scuola è stato scritto, in questi giorni che parlare di pace, in queste ore, pare stridere con i venti di guerra che spirano ad Est della nostra Italia. 

Tuttavia, “le ricerche scientifiche e pedagogiche, degli ultimi decenni, sostengono che esiste un valido motivo per far perfezionare e crescere la comprensione e la pratica dell’educazione alla pace nelle scuole e per garantire e permettere alle scuole di svolgere un ruolo cruciale nel promuovere gli obiettivi della pace.” 

Ci sono evidenze che gli interventi di educazione alla pace nelle scuole determinano un miglioramento degli atteggiamenti e della cooperazione tra gli alunni e una diminuzione della violenza e dei tassi di abbandono scolastico. Cosa c’entra questo con la pace nel mondo? Bisognerebbe, è stato detto, iniziare dalla terra sotto i nostri piedi, cioè cominciare a creare un clima di pace e di non prevaricazione già nella piccola porzione geopolitica che è la classe. Talvolta anche tra insegnanti. Gli americani direbbero che bisogna imparare a mettersi “nelle scarpe dell’altro”, imparare a guardare il mondo anche con gli occhi di chi ha esigenze diverse dalle proprie. Basterebbe questo a porre fine a questo stillicidio quotidiano di notizie di violenza a cui siamo sottoposti? Forse no. Per chi crede, la pace è anche dono di Dio. Questo aspetto, nelle relazioni umane può anche entrare in qualche misura, ma in quelle tra stati per definizione laici, sembra non trovare posto. Ma non ci fermiamo. Cominciamo a creare ambienti di classe pacifici. Questo ci compete e, anzi, è un nostro dovere: iniziare dalla terra che abbiamo sotto i piedi.




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Piero Del Bene

Sposo, padre, insegnante di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado. Catechista e formatore. Dopo la laurea in Matematica ha conseguito il Master in scienze del Matrimonio e della Famiglia presso l’Istituto Giovanni Paolo II della Pontificia Università Lateranense. Con la moglie Assunta si occupano di Pastorale Familiare.

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