DIGNITÀ DELLA VITA

Dignità della vita anche nella malattia: perché non parlarne con i ragazzi attraverso dei film?

ospedale

(Foto: Hadafee Yalapae - Shuttertock.com)

Nell’articolo che segue proponiamo tre film per parlare di malattia, eutanasia, rispetto della vita e valore della sofferenza. Spesso l’eutanasia è proposta come opzione per compassione. Piuttosto che domandarci se esiste un diritto a morire, oggi ci chiediamo se non esista, piuttosto, un diritto a trovare sempre un motivo per vivere… 

Il tema dell’eutanasia torna periodicamente a farsi presente nel dibattito pubblico, polarizzando chi difende il “diritto alla morte” e chi sostiene il valore della vita fino alla morte naturale. C’è chi propone la cosiddetta “morte dolce” e chi crede che compito della società sia accompagnare il malato, non sopprimerlo. E poi c’è chi non prende posizione, chi non sa da che parte stare, chi sospende il giudizio dicendo “Io forse non lo farei, ma capisco chi sceglie di morire perché soffre troppo”.

Possiamo, però, anzi dobbiamo chiederci se morire possa essere davvero una scelta libera. Più che parlare di diritto a morire, perché non parlare di diritto a trovare sempre un motivo per vivere? Perché una persona arriva a desiderare di morire? E c’è qualcosa che possiamo fare per prevenire questa richiesta?

Proponiamo di seguito dei film edificanti sul tema della malattia e del fine vita, al fine di muovere la riflessione sull’importanza che ha ogni singolo giorno.

Lo scafandro e la farfalla (Le scaphandre et le papillon, 2007). Regia di Julian Schnabel

Jean-Dominique Bauby è il caporedattore di un giornale: ‘Elle’. Un giorno, in auto, ha un malore. Va in coma, dal quale si risveglia con una bruttissima sorpresa: il suo cervello non ha più alcun collegamento con il sistema nervoso centrale. è a tutti gli effetti un uomo paralizzato.

Non può neppure parlare e ha perso l’uso dell’occhio destro. Comprende tutto, è cosciente, ma vive in un corpo che è diventato una gabbia: per questo lo chiamerà “scafandro”.

C’è una cosa però che può fare: muovere l’occhio sinistro. Lo userà per riprendere a comunicare con il mondo. Potrà dire “sì” battendo una volta le ciglia oppure “no” battendole due volte. In questo modo, detterà un intero libro, uscito in Francia nel 1997 con il titolo che ora ha il film.

Arriverà a dire di essere stato aiutato da quella sciagura: “Le occasioni che non ho voluto cogliere, gli istanti di felicità che ho lasciato scappare via. Ero cieco e sordo. O mi serviva necessariamente la luce di un’infermità per vedere la mia vera natura”.

Leggi anche: Eutanasia legale in Portogallo dove c’è “sofferenza intollerabile”: cosa si intende? (puntofamiglia.net)

La famiglia Savage (2007). Regia di Tamara Jenkins

John e Wendy sono un fratello e una sorella che vivono lontani e non si sentono spesso. Hanno molti impegni e sono insoddisfatti della propria vita, sia dal punto di vista relazionale che professionale. All’improvviso, però, si ritrovano a dover accudire il padre anziano, con cui non hanno un ottimo rapporto, perché affetto da demenza senile. I due figli, “costretti” trascorrere del tempo insieme, impareranno a conoscersi meglio e ristabiliranno dei legami famigliari dimenticati. La malattia diventa l’occasione per volersi più bene.

Un film che, senza finire nel patetico, racconta il valore e il potere, spesso nascosto, della sofferenza.

Nuvole (Clouds), 2020. Regia: Justin Baldoni

Zach ha 17 anni, è appassionato di musica, quando scopre di essere malato terminale a causa di un cancro non curabile. Si tratta di una storia vera: la sceneggiatura è ispirata al libro Fly a Little Higher: How God Answered a Mom’s Small Prayer in a Big Way, scritto dalla madre stessa del giovane subito dopo la morte.

“Io sono un combattente” afferma fin dall’inizio; non pensa a sé ma cerca di “dare a tutti quello che vogliono”, cioè di mostrarsi simpatico e collaborativo, ricevendo in cambio amicizia dai compagni di scuola e affetto dalla sua famiglia (due genitori e tre fratelli) invece che compassione.

Toccante ma non straziante è la sequenza dove lui è in bagno davanti allo specchio, dopo che ha saputo di essere terminale e prova a fare esercizi di sorriso, nonostante l’angoscia che lo assale. Si iscrive al college, pur sapendo che non potrà andarci (d’altronde, chi ha veramente certezza del futuro?) e quando prospetta al professore l’idea di rinunciare alla scuola, lui gli risponde: “Rinunciare non è un’opzione”. Un film che mostra come sia proprio la limitatezza della vita umana a dare maggior valore alle cose, un film che ci fa vedere come un malato non necessariamente viva “di meno”, in molti casi, anzi, vive più appieno.




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