Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,20-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
Il commento
“Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (5,20). Queste parole sono la solenne introduzione ad un’ampia catechesi in cui Gesù presenta le linee guida di un radicale rinnovamento personale e comunitario (5, 21-48). Il brano che oggi meditiamo dice qual è il primo passo di un lungo cammino. La proposta di Gesù è sempre sorprendente. Gli osservanti scrupolosi della tradizione sarebbero partiti dal precetto dello Shabbat; gli innovatori, invece, avrebbero dato il primo posto alla carità verso i poveri. Come sempre, Gesù scompagina le carte. A suo parere il primo passo da compiere riguarda la relazione fraterna, quella che riguarda coloro che condividono l’esperienza di fede (5, 21-23); e quella che riguarda quanti si oppongono risolutamente e cercano di trascinarci in prigione (5, 25-26).
Il Vangelo oggi ci consegna un’esigente provocazione. Partire dalla relazione fraterna significa annunciare apertis verbis che l’assenza di comunione non è compatibile con la fede. Non possiamo celebrare la liturgia se non siamo disposti a vivere la riconciliazione con i fratelli (5,24). Un messaggio chiaro anche se difficile da praticare. La comunione è un’arte da coltivare con pazienza e fatica. Il Vangelo ricorda che la relazione fraterna può essere, e di fatto, viene gravemente ferita dalla collera, dall’insulto o dal giudizio sprezzante. Sono tre espressioni diverse e di diversa intensità. Non si tratta necessariamente di tre situazioni diverse, possono anche indicare un progressivo itinerario che fa passare dall’una all’altra. La rabbia crea una distanza, l’insulto è segno di scarsa considerazione, chiamare qualcuno pazzo significa trattarlo come una persona che deve essere allontanata. L’iniziale distanza è diventata separazione. Se non vogliamo scivolare gradualmente verso una sostanziale divisione, dobbiamo prendere sul serio le parole dell’apostolo Paolo: “Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità” (Ef 4,31). È questa la grazia che oggi chiediamo.
Briciole di Vangelo
di don Silvio Longobardi
s.longobardi@puntofamiglia.net
“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.
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