Il Vangelo letto in famiglia

IV DOMENICA DI PASQUA – Anno B – 21 APRILE 2024

Essere felici ed essere cristiani…

Chiediamo al Signore il coraggio di essere ciò che siamo: dobbiamo riconoscere che Dio ci ha creati nel modo giusto, ci ha fatti nel modo giusto, perché quello che ha fatto di ciascuno di noi è una cosa bellissima, non da disprezzare o da modificare, ma, al contrario, da accettare, curare e ampliare. Quello che tutti noi siamo è la perfezione di Dio, dobbiamo esserne convinti, ciò che Dio ha creato in noi è meraviglioso.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

IL COMMENTO

di don Gianluca Coppola

La quarta domenica di Pasqua è conosciuta anche come la domenica del Buon Pastore, e si tratta di una ricorrenza a me molto cara, perché sono stato ordinato sacerdote proprio nella domenica del Buon Pastore del 2012.

Nel Vangelo di questa domenica, Gesù afferma che c’è bisogno di un ordine precostituito, stabile e forte, ma allo stesso tempo liberante, per essere pastori, ma anche per riconoscersi pecore. Ciò, dunque, implica che la pecora potrebbe anche sopravvivere da sola, ma senza dubbio vive meglio se rispetta l’ordine delle cose e la sua natura: essa infatti è stata creata per essere un animale gregario. Papa Francesco, nell’Evangelii Gaudium, sostiene che la pecora è capace di cogliere il profumo dei prati erbosi e dunque, a volte, precede il pastore. Eppure la pecora, per sua natura, si fida del pastore e sa che soltanto con lui potrà vivere meglio. Sa che, pur essendo in grado di riconoscere il profumo dell’erba buona, di fronte ai lupi non ha alcuna speranza e necessita del pastore. Per noi che viviamo circondati dal cemento, queste possono sembrare metafore molto lontane dal nostro mondo, ma chi vive in campagna sa perfettamente quanto esse siano veritiere e ancora attuali. Dobbiamo comprendere che tutte le cose che ci circondano manifestano la loro bellezza soltanto se vissute nel rispetto del loro ordine. Il mio non vuole essere un discorso fascista o intransigente, tutto ciò è proprio lontano da me. Ciò che sto dicendo è che è importante imparare a rimanere inseriti nella libertà della propria natura, perché soltanto nel momento in cui rispettiamo veramente ciò che siamo possiamo ritenerci davvero felici.

Infatti, la metafora evangelica ci presenta un gregge e un pastore: se si dovessero invertire i ruoli, se per esempio il gregge decidesse di prendere il posto del pastore e il pastore si trasformasse in gregge, allora si verificherebbe l’infelicità di entrambe le parti, la sofferenza sia per il gregge che per il pastore. Ora, se riportiamo quanto appena detto a noi stessi e al nostro mondo, ci accorgiamo di come la metafora sia ancora più lampante, perché purtroppo nella nostra vita è evidente il tentativo continuo di sovvertire la natura. Penso a un vecchio caso di cronaca, verificatosi in Inghilterra, di un bambino disabile che aveva bisogno di ricevere cure specifiche per rimanere in vita. Lo stato inglese ritenne però che la sua vita era ormai inutile e dunque decretò la sua morte, chiedendo ai genitori di farsi da parte e di interrompere le cure. Questo è soltanto un esempio, ma potremmo continuare a parlare di situazione simili, in cui l’essere umano si rifiuta di ricoprire il ruolo di pecora e decide di trasformarsi in pastore, anche dinanzi all’ovvietà della sua natura. Tutto ciò è, appunto, innaturale: noi non siamo i padroni della vita. Siamo nati per essere creatura, non creatore, siamo nati per essere pecore, non pastore. Il Pastore, infatti, è uno solo ed è Gesù Cristo. Affermando questa verità non voglio di certo negare la possibilità di cambiare o di evolversi, che è una possibilità aperta a ciascuno di noi; ciò che voglio affermare è che senza alcun dubbio la pretesa di operare il cambiamento sostituendoci a Dio ci renderà soltanto infelici. Al contrario, quando comprenderemo di essere pecore nelle mani del pastore, del pastore che ci difende dai lupi, soltanto allora saremo capaci di fare cose incredibili.

Siamo nel tempo dello Spirito, tra la Pasqua e la Pentecoste, un tempo in cui celebriamo proprio questo: come un gregge pavido e spaventato, anche gli Apostoli erano riuniti nel cenacolo, per paura dei Giudei, come leggeremo nel giorno di Pentecoste. Ma quando Dio interviene, in maniera vigorosa e gagliarda, e la Scrittura usa proprio il termine “gagliardo”, allora gli Apostoli riescono a uscire da quella limitante condizione di paura, pur continuando ad essere ciò che sono, ovvero pecore, ma stavolta animate da un coraggio eccezionale.

Anche noi, dunque, dobbiamo avere il coraggio di essere noi stessi, il coraggio di essere uomini. Sostituirci a Dio, metterci al Suo posto, non ci rende più umani, ma più bestie. Potrei suonare ripetitivo, ma se pensiamo anche solo per un attimo a questo mondo ci rendiamo immediatamente conto che esso è governato da uomini che ritengono di essere pastori universali e che osano sostituirsi a Dio. E quali sono le conseguenze di tutto ciò? Guerre, conflitti, bombe, nulla che sia, neanche lontanamente, buono o gioioso. Soltanto un pazzo potrebbe essere soddisfatto da questi risultati, e pazzi sono i potenti, presi da questa efferata mania di onnipotenza, da questo malato desiderio di affermarsi come pastori universali. Noi, al contrario, dobbiamo avere l’umiltà, il coraggio di riconoscerci pecore. Se vuoi essere lupo o pastore, ricorda che Dio ti ha creato pecora, e la tua gioia deve consistere proprio in questo, essere pecora. Chi sei tu, nel profondo? Cosa c’è scritto nel tuo cuore? Qual è la tua natura più vera? È questa la vera scoperta da fare nelle nostre vite, non la trasformazione repentina, capricciosa e arbitraria in qualche cosa che si allontana dalla nostra natura. Siamo chiamati ad essere ciò che siamo all’ennesima potenza, questa è la vera libertà.

E allora, ci si potrebbe domandare come si fa ad essere liberi, da sé stessi e dai lupi, da questo mondo e da questa società. La risposta è: essere sé stessi nella maniera più profonda possibile. Sii quello che sei nel modo più radicale, forte e deciso, e allora sarai una pecora libera che sta dietro al suo pastore. Dopotutto, il pastore vuole la nostra salvezza, al contrario dei malvagi pastori del mondo, quelli che gestiscono i nostri sistemi economici capitalistici, che dalle pecore ricavano soldi, cibo, latte e lana. Ma Gesù non è come loro, Gesù da noi ricava soltanto amore.

Allora abbi il coraggio di essere te stesso, il te stesso che Dio ha scritto nella tua natura, non quello che tu immagini, e da questo atto di coraggio, scaturiranno cose bellissime. Che meravigliosa scoperta! Abbiamo una natura che Dio ci ha consegnato e che va rispettata in tutto e per tutto. Nella metà del Novecento, ci siamo scandalizzati dinanzi alle ideologie totalitarie, come il nazismo, il fascismo e il comunismo, che cercavano, attraverso la genetica e la scienza, di modificare la natura umana. Per noi è tuttora un atroce scandalo, ma non ci rendiamo neanche conto che stiamo portando avanti le stesse dinamiche, pur rimanendo inorriditi da quelle ideologie. Questa società, continuamente, ogni giorno, tenta di modificare la natura umana. Sembra quasi voler sfidare il Pastore Universale, dirgli che l’uomo sa fare le cose meglio di Lui. C’è un continuo sovvertimento di quella natura bellissima che Dio ha creato. In filosofia si parla di “eugenetica”, ovvero il tentativo di creare un’umanità a modo proprio. Pertanto noi, che siamo persone cristiane, e dunque felici, perché l’essere felici e l’essere cristiani sono la stessa cosa, dobbiamo affermare la bellezza del piano di Dio nella nostra vita, dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di essere pecore, senza cedere alla tentazione di comportarci da lupi.

Dunque, chiediamo al Signore il coraggio di essere ciò che siamo: dobbiamo riconoscere che Dio ci ha creati nel modo giusto, ci ha fatti nel modo giusto, perché quello che ha fatto di ciascuno di noi è una cosa bellissima, non da disprezzare o da modificare, ma, al contrario, da accettare, curare e ampliare. Quello che tutti noi siamo è la perfezione di Dio, dobbiamo esserne convinti, ciò che Dio ha creato in noi è meraviglioso. Non c’è nulla da modificare, dobbiamo soltanto farci guidare da Lui e lasciare che sia Lui a indicare il modo giusto di essere noi stessi. Allora, oggi scegliamo di dire così: «Signore, donaci il coraggio, ma soprattutto l’umiltà di essere pecore felici di stare dietro al pastore. Donaci il coraggio, ma soprattutto l’umiltà di non trasformarci in lupi. Donaci il coraggio, ma soprattutto l’umiltà di riconoscere che Tu sei il Pastore e la Guida e noi veniamo dietro a te».




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Gianluca Coppola

Gianluca Coppola (1982) è presbitero della Diocesi di Napoli. Ha la passione per i giovani e l’evangelizzazione. È stato ordinato sacerdote il 29 aprile 2012 dopo aver conseguito il baccellierato in Sacra Teologia nel giugno del 2011. Dopo il primo incarico da vicario parrocchiale nella Chiesa di Maria Santissima della Salute in Portici (NA), è attualmente parroco dell’Immacolata Concezione in Portici. Con Editrice Punto Famiglia ha pubblicato Dalla sopravvivenza alla vita. Lettere di un prete ai giovani sulle domande essenziali (2019) e Sono venuto a portare il fuoco sulla terra (2020).

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