IV Domenica del tempo ordinario - Anno B - 28 gennaio 2018

Combattere il demonio con l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo

foto: @Rawpixel.com - Shutterstock.com

di fra Vincenzo Ippolito

Dio permette che Satana operi per imparare a fidarci di Lui, ad abbandonarci alla sua Parola, per vivere un profondo rapporto di amicizia, lasciando che il suo Spirito dimori in noi e ci liberi dal male, come Gesù ci insegna a chiedere nel Padre nostro.

Dal Vangelo secondo Marco 1,21-28
In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

 

La liturgia delle prime domeniche del Tempo Ordinario ci offre di leggere il primo capitolo del Vangelo secondo Marco, formato da racconti semplici che, come piccoli quadri in sequenza, conducono progressivamente il lettore a conoscere chi è Gesù di Nazaret, attraverso i gesti che compie e la parola che annuncia. Unto di Spirito Santo nel battesimo (cf. Mc 1,8-11), vincitore su Satana (cf. Mc 1,12-13), annunciatore della presenza nella storia del Regno di Dio, che muove il cuore dell’uomo alla conversione (cf. Mc 1,14-15), Gesù manifesta oggi il suo potere, guarendo un indemoniato, nella sinagoga dov’è entrato, insieme ai discepoli che ha chiamato a seguirlo (cf. Mc 1,16-20).
La parola chiave della liturgia odierna è profezia. Nella Prima Lettura, infatti, Dio promette a Mosè di suscitare in mezzo al suo popolo un profeta, sulle cui labbra porrà la sua parola (cf. Dt 18,15-20). È quanto si realizza in Gesù. È Lui, infatti, che parla con autorità e “comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono” (Mc 1,28). Nella Seconda Lettura (cf. 1Cor 7,32-35), invece, Paolo, scrivendo ai Corinzi per risolvere alcuni problemi emersi in quella chiesa, offre delle indicazioni pratiche perché, nei diversi stati di vita, si possa vivere seguendo il Signore, fedeli alla sua parola e pronti a piacere in tutto a Lui. La profezia che Cristo vive e dona ai suoi – sembra essere questo il messaggio che la Chiesa oggi ci offre – deve portarci a divenire consapevoli della nostra vocazione, vivendo nella fedeltà al Vangelo e testimoniando la liberazione dal male che Cristo ha operato in noi.

Dal mare alla sinagoga per insegnare

Il brano liturgico odierno, diversamente dalla pericope della scorsa domenica (cf. Mc 1,16-20), è ambientato a Cafarnao. Gesù, insieme con i suoi primi discepoli, fa sosta nella sinagoga, obbedendo alla Legge della santificazione del sabato. È come se il lettore, seguendo l’Evangelista, dovesse compiere una corsa dal mare alla città – la narrazione è priva di qualsiasi particolare e sembra che l’unico interesse di Marco sia quello di far giungere, quanto prima possibile, Gesù in sinagoga – per fermarsi poi, quasi di botto, al quel “insegnava” (v. 21) che rappresenta l’attività principale di Gesù. La sinagoga, diversamente dal tempio, spazio sacro deputato ai sacrifici rituali, è la casa della Parola, il luogo dell’ascolto e dello studio della Scrittura. Gesù vi entra, dimostrando l’irrompere potente del Regno di Dio nei luoghi degli uomini. Prima il mare – lo abbiamo visto la scorsa domenica – vede il passaggio del Messia (cf. Mc 1,14-20), poi nella sinagoga Egli annunzia la buona Novella e scaccia lo spirito del male, in seguito – ne ascolteremo la narrazione nella prossima domenica – guarirà la suocera di Pietro (cf. Mc 1,29-39) – per poi percorrere la Galilea, predicando (cf. Mc 1,35-39). La Parola di Gesù si espande a macchia d’olio e l’Evangelista ci tiene ad appuntare la corsa del Verbo, a descrivere la seminagione del Vangelo, a notare i segni del Regno di Dio che è presente, descrivendo come in tanti seguono il Nazareno e restano stupiti per ciò che proclama, per come annuncia e per i segni che accompagnano la sua parola a convalida che Egli è presente ed operante il Regno di Dio.

Gesù “entrato nella sinagoga, insegnava” (v. 21) scrive Marco. Ogni ebreo, di sabato, era tenuto alla preghiera e alla lettura della Scrittura e poteva alzarsi e spiegarla, come l’evangelista Luca descrive con ricchezza di particolari, quando narra di Gesù nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,14-21). Lo stile di Marco è semplice ed essenziale, ma egualmente fa comprendere che il Signore esercita quel diritto che spettava ad ogni ebreo e non ha paura di parlare, donando la pienezza dello Spirito che dentro lo anima. Gesù non solo insegna, ma dimostra autorità. I due termini si rincorrono nel brano odierno e sono il segno di come sia incisiva la parola del Nazareno e quanto stupisca il suo dire. Marco, con l’uso dell’imperfetto “insegnava” – nel testo greco, oltre che nella traduzione italiana della CEI – mostra che si tratta di un’azione continuata, che perdura nel tempo. Egli è il Maestro – l’evangelista Matteo per affermare la stessa verità, pone Gesù sul monte dove, seduto come su una cattedra, dona le beatitudini come nuova legge (cf. Mt 5,1-12) – e da Maestro insegna perché questa è la missione ricevuta dal Padre, annuncia la Parola con la sua stessa vita. Gesù, infatti, è la Parola di Dio fatta carne, anche rimanendo in silenzio, parla e agisce pur stando fermo e sempre è in grado di operare la salvezza. In tal modo è come se l’Evangelista volesse decretare la fine della sinagoga come luogo di preghiera e di incontro con Dio – è quello che farà l’evangelista Giovanni in Gv 2,13-22 – perché è Gesù il tempio vivo di Dio, nella sua carne il Padre ha scritto la sua nuova e definitiva legge, il suo Cuore è più prezioso del santo dei santi che, nel tempio di Salomone, custodiva l’arca di Dio, il suo corpo è più santo di tutte le pagine della legge di Mosè.
È Lui il Regno, Lui la sorgente che converte il cuore degli uomini, Lui lo sguardo del Padre che vede e chiama a seguirlo, sua è la forza di lasciare tutto e di accogliere la sequela come cammino che il cuore compie, perché diventi la dimora di Dio. Dire che il Maestro insegnava significa affermare che Gesù si spezza, prende da sé la parola da dire, parla di sé la parola che dona. Il suo annuncio è non è solo un atto personale che si esprime all’esterno, attraverso la proclamazione per trasmettere a quanti ascoltano una struttura di concetti, una dottrina nuova – è quanto diranno i presenti in seguito, cf. Mc 1,27b – perché Gesù si autorivela, traduce in parola la sua esperienza filiale con il Padre, comunica, nel suo dire, la relazione con Dio che ad ogni uomo dona salvezza.

Gesù entra nella sinagoga ed insegna. È quanto deve avvenire anche in noi, nel nostro cuore e nelle nostre famiglie, nelle comunità e nei movimenti ecclesiali. Noi da soli non riusciamo a fare nulla di buono, ci perdiamo nelle attività, ma non riusciamo a dare spazio alle cose che veramente contano, donando tempo alle persone che sono le vere pietre delle nostre case e delle nostre chiese. Dobbiamo lasciare che Cristo entri in noi, che sbaragli la nostra superbia, che vinca l’egoismo che ci divora interiormente. Entrando, non deve trovarci ribelli alla sua presenza, né pronti a gridare come l’indemoniato del Vangelo che si vede scoperto e sul punto si essere messo in fuga. Tante volte la porta del cuore è chiusa, anche se come Paolo – lo abbiamo ricordato alcuni giorni fa, nella festa della sua conversione, cf. At 9,1-19 – siamo convinti di fare tutto in suo nome. Si possono anche organizzare le cose più belle e sante, questo non vuol dire che stiamo compiendo ciò che Dio ci chiede e che saremo riconosciuti dal Signore, quando compariremo dinanzi a Lui (cf. Mt 25,12). È Gesù che deve insegnare sulla cattedra del nostro cuore, Lui che deve sedere ed ammaestrarci interiormente, Lui e non la voce del nostro egoismo che facciamo passare come il dio che noi seguiamo e serviamo, dinanzi al quale bruciamo incensi e che chiediamo agli altri di seguire ed adorare. Nelle nostre comunità deve insegnare Gesù e tutti, pastori e fedeli, devono avvertire la sua presenza, sperimentare la sua autorità, obbedire a ciò che Egli chiede, pur nella diversità dei ministeri esercitati per il bene comune. Lasciare che Dio eserciti attraverso di noi il suo insegnamento, che per mezzo nostro ammonisca e consigli, guarisca e risani richiede maturità e tanta preghiera perché non ci si appropri dei suoi doni, ma si cresca nella consapevolezza di essere solo degli ambasciatori, degli umili servi.

Gesù, divino Maestro, entra nella casa del nostro cuore, come un giorno in quella di Zaccheo, siedi a mensa con noi e spezza il pane della tua Parola, donati nelle parole che ci offri, nello sguardo che ci raggiunge, nella mano che tendi, nell’amore che intorno a te, solo passando, effondi. Entra nelle nostre famiglie con il vento dello Spirito che tutto rinnova, nel buio dei nostri rapporti sii luce di vita nuova. Vinci le durezze dei cuori, sana le ferite degli animi, custodisci i deboli, sostieni i vacillanti e regna in mezzo a noi con la tua grazia che, come il sangue nelle vene di un corpo, comunica vita. Insegna tu, nella voce dei nostri pastori, quando siamo riuniti nel tuo nome e, in ogni occasione opportuno e non opportuna, rendici docili all’ascolto e pronti all’obbedienza per stupirci di quanto che tu operi in noi e, attraverso di noi, nella vita dei fratelli.

Un’autorità che si manifesta in fatti e parole

Coloro che ascoltano Gesù “erano stupiti del suo insegnamento: egli insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi” (v. 22). L’Evangelista sottolinea per ben due volte l’autorità che il Nazareno esercita (vv. 22. 27) e che in seguito (cf. Mc 3,22-30) sarà motivo di disputa con gli scribi. Gesù dimostra, nel suo annuncio, il suo essere Figlio di Dio – Marco con questa confessione di fede aveva iniziato il suo Vangelo, cf. Mc 1,1 – le sue parole manifestano la sua identità divina. Non si tratta semplicemente di un insegnamento edificante, della padronanza nell’uso della parola, della straordinaria capacità espositiva di un contenuto ben studiato. In Gesù c’è la vita stessa di Dio, la sua autorità, l’onnipotenza del suo amore che tutto opera. Chi incontra il Nazareno è chiamato a riconoscerlo Dio e Signore della propria vita e ad aprirsi a Lui, attraverso un cammino di guarigione e di conversione interiore che poi si manifesta naturalmente in una vita trasformata dall’incontro con Gesù. La sua parola guarisce, la sua voce purifica. Ecco perché il Signore potrà dire ai suoi, nella sera della consegna: “Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato” (Gv 15,3). La Parola di Cristo ha in sé la potenza di Dio che opera tutto ciò Egli vuole. Se riuscissimo ad avvertirne la preziosità, a gustarne la dolcezza, a contemplarne la bellezza, a capirne l’importanza, a percepirne l’assolutezza, ad immergerci nelle sue profondità. Cosa non fa la Parola di Cristo! Cosa non opera ciò che esce dalla sua bocca! Nella Scrittura, nel Vangelo, Dio si è fatto parola, come nel grembo di Maria la Parola si è fatta carne. E più lo Spirito mi porta con fede ad accogliere il contenuto di ogni sacra Pagina, maggiormente io sono messo in contatto con la potenza di Dio che opera secondo la sua onnipotenza, con la sua autorità, e secondo la mia fede, come docilità di abbandonarmi a Lui.

L’autorità di Gesù si manifesta quindi nel suo insegnamento. Il verbo “insegnava” (v. 21) è assoluto, sciolto da ogni complemento oggetto che potrebbe specificare cosa Egli dice alle folle. Se l’Evangelista non specifica l’oggetto della predicazione, è perché già lo ha fatto prima, quel suo “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15) rappresenta il contenuto del suo annuncio, di ogni suo futuro insegnamento. Marco lo ha presentato all’inizio come il modello della predicazione di Gesù, cuore del suo ministero. Tutto ciò che il Maestro sembrerà dire in seguito di nuovo, sarà sempre la traduzione di quest’unica parola donata all’inizio della sua vita pubblica. L’annuncio di Cristo conserverà questo ritmo binario, da un lato Dio irrompe nella storia e si propone come salvezza, dall’altro, l’uomo per accogliere la presenza di Dio nella sua vita, dovrà lasciarsi trasformare dalla grazia che Gesù gratuitamente effonde, grazia che purifica, potenza che converte, farmaco che risana, gioia che rallegra.

L’autorità di Gesù, oltre che nelle parole, si manifesta anche nelle opere, prova evidente che è giunto tra gli uomini il Regno di Dio. Se lo stupore prende quanti ascoltano l’insegnamento di Gesù (v. 22), il timore li assale, vedendo come Egli scaccia gli spiriti impuri. L’evangelista Marco, trasmettendoci questo primo miracolo, dimostra che la profezia di Gesù è credibile, perché si realizza quello che dice (cf. Dt 18,22) ed Egli è il vero profeta perché la parola è comprovata dai fatti. Il Messia è veramente giunto – dalla promessa della Prima Lettura si passa al compimento che il Vangelo annuncia – perché i segni lo manifestano. L’Evangelista pone la sua attenzione su due aspetti: in primo luogo, l’insegnamento impartito da Gesù fa gridare lo Spirito cattivo – “nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio” (v. 24) – perché, scoperto, sa che di non poter continuare a spadroneggiare; in seguito, sull’ordine impartito severamente da Cristo – “Taci, esci da lui!” (v. 25) – al demonio perché si allontani da quell’uomo.

Il combattimento contro lo spirito del male

Uno dei tratti caratteristici della predicazione di Gesù è il combattimento contro lo spirito del male. Già nel deserto, con il duello contro Satana (cf. Mc 1,12-13), Egli dimostra di essere il Figlio di Dio, pronto a custodire la sua relazione con il Padre, rifiutando di assecondare gli istinti che determinano la vita di ogni uomo, dopo il peccato di Adamo ed Eva. Gesù può dichiarare guerra al regno del demonio nel mondo, sgomentandolo, perché Egli per primo ha conosciuto cosa significa combattere e vincere, condotto interiormente dallo Spirito di Dio e nutrito della sua parola. Una volta uscito dal deserto, Cristo non solo libera l’uomo dal potere del male, ma lo guida gradualmente a vivere nella libertà dei figli di Dio per non divenire nuovamente schiavo dell’errore. Gesù sbaraglia il regno di Satana e non deve meravigliare che proprio in un una sinagoga possa trovarsi il Principe della menzogna. Satana non ha paura dei luoghi sacri, ma trema e fugge dinanzi alle persone sante. Ecco perché l’uomo posseduto inizia a gridare contro Gesù, perché Egli è il Figlio di Dio fatto uomo. La sola sua presenza lo scova, la sua voce lo infastidisce, la sua parola gli è insopportabile, il suo sguardo lo mette in fuga.
Sembra che le grida dell’indemoniato vogliano coprire la parola di Cristo, impedirgli di insegnare alle folle, di condurle alla salvezza, mediante la fede in Lui. Satana non sopporta che si annunci il Vangelo, perché dall’ascolto nasce e si sviluppa la fede (cf. Rm 10,17). Il Nemico di notte semina la zizzania (cf. Mt 13,24-27), proprio per impedire che il buon seme cresca e fruttifichi. Per raggiungere i suoi perversi fini, osteggia i ministri di Cristo che, in suo nome, annunciano la buona Novella. Li sfianca interiormente con lo scoraggiamento dinanzi alle difficoltà e ai fallimenti dell’annuncio, o li abbatte, quando si accoglie il loro annuncio, suscitando e fomentando il fuoco della superbia, come se la buona riuscita della missione dipendesse dall’evangelizzatore, al di fuori, invece, suscita ostacoli e la sua voce discredita la vita del predicatore perché la sua parola cada sui sassi della diffidenza, oppure, mentre lo si ascolta, fa sorgere pensieri contrari, distrarre la mente, carpendo l’attenzione con altre cose, presentandole come più importanti. Noi cadiamo nei lacci del Maligno, perché misconosciamo o sottovalutiamo le sue macchinazioni, ma da Cristo dobbiamo imparare l’arte del combattimento spirituale perché Lui vinca e regni in noi per mezzo della sua grazia onnipotente.

Il male esiste, il demonio opera incontrastato – bisogna dirlo a chiare lettere e senza paura – e non è bene, dinanzi alle difficoltà nelle quali possiamo incorrere, escludere che ci sia il suo zampino. Egli desidera rompere la nostra amicizia con Dio Padre e le sue trame, le seduzioni che suscita, le voci interiori che ci martellano di prendere strade diverse da quelle che Gesù ci propone ed insegna, servono proprio a far sorgere in noi il desiderio di vivere una vita alternativa rispetto a Dio. Gesù sbaraglia il regno di Satana e prima ancora di mandare i suoi a “scacciare i demoni” (cf. Mc 16,17) Egli stesso esorcizza gli ossessi e libera quanti, nelle maniere più diverse, sono vittime del male.
La Chiesa continua il ministero di Cristo di combattere il demonio e con l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo esorcizza e guarisce, prega sui suoi figli perché ritrovino la pace e vivano nella gioia. Bisogna discernere la presenza di Satana e la sua voce. Le possessioni diaboliche non sono l’unico modo in cui il Nemico opera, perché ci sono tante strade nelle quali egli cammina non visto, soprattutto facendoci credere che lui non esista e che quanto accade non è il frutto della sua istigazione. L’avversione al sacro – lo vediamo nel Vangelo di oggi – è uno dei segni della sua presenza, ma: egli sente anche un’innata ribellione ed una insopprimibile avversione verso il bene che il Signore opera nel mondo, per l’unità che lo Spirito fa sorgere, per il perdono che Cristo comanda ai suoi discepoli di concedere in suo nome, per la misericordia che permea il suo Corpo che è la Chiesa. Il nome di Gesù lo atterrisce, la sua voce, attraverso il ministero della Chiesa, lo disarma.
Dio permette che Satana operi per imparare a fidarci di Lui, ad abbandonarci alla sua Parola, per vivere un profondo rapporto di amicizia, lasciando che il suo Spirito dimori in noi e ci liberi dal male, come Gesù ci insegna a chiedere nel Padre nostro. Come le case degli Ebrei in Egitto furono preservate dall’angelo sterminatore per il sangue dell’agnello sugli stipiti delle porte, quanto più il demonio passerà oltre se la nostra vita sarà imporporata del sangue prezioso del divino Agnello che è Gesù Cristo. La sua voce deve risuonare in noi, il suo nome deve essere continuamente invocato sopra di noi, perché la sua benedizione scenda come rugiada che feconda la terra. Dobbiamo lavorare il terreno del cuore dissodandolo, se vogliamo che la zizzania non attecchisca, estirpare le erbacce del vizio, fin dal suo primo apparire, per questo dobbiamo vegliare, non lasciarci sopraffare dal sonno, pregare e avere sempre Gesù al centro della nostra vita e dei nostri rapporti.

La pace della liberazione

Quando lasciamo al Signore la possibilità di entrare in noi, il male non ci fa più paura perché viviamo nel Regno di Dio e nella nostra vita si effonde la grazia della guarigione e della misericordia che Egli ci ha usato. La liberazione è un cammino, sotto la guida di Gesù, rappresenta la possibilità di fargli spazio in noi per vivere la bellezza della comunione con Lui e tra noi. “Cristo ci libera perché restassimo liberi” (Gal 5,1), scrive san Paolo, libertà dalla schiavitù del peccato, libertà per vivere la grazia della figliolanza divina e della fraternità tra noi. Il Signore ci aiuti a lasciarlo operare in noi e a credere che la sua presenza mette in fuga Satana, la sua parola ci purifica, il suo sguardo ci guarisce e, plasmati dallo Spirito, siamo resi, tra gli uomini, profeti del suo Regno.




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